Sospensione della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado che nega l'assegno divorzile
26 Gennaio 2018
Massima
È ammissibile e deve essere esaminata nel merito, per la valutazione della sussistenza dei gravi e fondati motivi dedotti con riguardo sia al fumus bonis iuris sia al periculum in mora, l'istanza di sospensione della sentenza di primo grado che determina l'immediata cessazione di ogni contributo al mantenimento dell'ex coniuge. La sospensione della provvisoria esecutività della sentenza che ha determinato la revoca del provvedimento provvisorio e urgente emesso in sede presidenziale, confermativo delle condizioni di separazione in punto di mantenimento, fa rivivere sino alla definizione del giudizio di appello, il precedente provvedimento provvisorio che mantiene la sua efficacia ex art. 189 disp. att. c.p.c. sino alla decisione di appello sulla domanda di assegno divorzile. Il caso
La Corte di appello di Milano, su ricorso dell'ex coniuge, ha provveduto alla parziale sospensione della provvisoria esecutività della sentenza di divorzio con cui il Tribunale di primo grado aveva respinto la domanda di assegno divorzile, disponendo la riviviscenza, sino alla definizione del giudizio di appello, delle condizioni della separazione consensuale, confermate in via provvisoria nel corso del giudizio di primo grado in punto di assegno divorzile. Nel dettaglio, i Giudici di appello, in sede di sospensione, hanno rilevato come il rigetto della domanda dell'assegno divorzile potrebbe porre la ricorrente, al momento disoccupata e incapace anche per il futuro di godere di un'adeguata pensione, di fronte ad un serio ed attuale pericolo di depauperamento a causa dell'impossibilità di provvedere, oltre al proprio mantenimento, anche alle esigenze dei figli, abituati ad un elevato tenore di vita, a fronte di un contributo mensile per la sola prole insufficiente anche a coprire le spese relative alla costosa abitazione. La questione
La decisione in commento s'inserisce nella linea interpretativa offerta da Cass. civ., n. 11504/2017 in merito alla valutazione dei «mezzi adeguati» per ottenere l'assegno divorzile di cui all'art. 5, l. n. 898/1970, oggi «non più rapportati al tenore di vita goduto durante il matrimonio»ma valutati in considerazione dell'autosufficienza economica del richiedente. Inoltre, in riferimento all'istanza di sospensione della provvisoria esecutività della sentenza di rigetto della richiesta di assegno divorzile, afferma che il principio per cui il suo accoglimento farebbe rivivere, sino alla sentenza di appello, il provvedimento presidenziale provvisorio e urgente ex art. 4, comma 8, l. n. 898/1970, in punto di assegno di mantenimento. Le soluzioni giuridiche
Per una migliore comprensione della soluzione giuridica assunta dalla Corte di appello di Milano, si ritiene di dover brevemente ricordare il recente revirement della Cassazione con Cass. civ., 10 maggio 2017, n. 11504. (v. anche A. Simeone, L'assegno di divorzio secondo la Cassazione: chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto, in IlFamiliarista.it). Dopo ben ventisette anni di pronunce in tema di assegno divorzile (orientamento inaugurato da Cass., S.U., 29 novembre 1990, n. 11490) che davano rilievo al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, nonché alla disparità reddituale degli exconiugi al momento del divorzio, la Suprema Corte giunge oggi ad affermare il principio per cui il presupposto per percepire l'assegno divorzile sia l'assenza d'indipendenza o autosufficienza economica dell'ex coniuge richiedente, alla stregua di quanto accade per il mantenimento dei figli non autosufficienti ex art. 337-septies c.c.. All'indicata idea della Cassazione sembra aderire anche la decisione in esame, la quale accoglie però solo parzialmente l'istanza, presentata dall'ex moglie, di sospensione dell'esecutività provvisoria della sentenza con cui il Giudice di prime cure, seguendo il nuovo orientamento, aveva respinto la sua domanda di assegno divorzile (Trib. Varese, 17 giugno 2017, n. 602; v. No all'assegno divorzile nonostante la consistente disparità patrimoniale tra gli ex coniugi, in IlFamiliarista.it); pur superando espressamente il principio per cui il diritto all'assegno si fonda sul tenore di vita seguito dalla coppia in costanza di matrimonio, nel caso in esame, sulla base di una sommaria valutazione svolta in via cautelare, i Giudici di appello ritengono comunque verosimile la presenza delle condizioni di legge per l'attribuzione dell'assegno ovvero la mancata indipendenza o autosufficienza economica del richiedente. Ai sensi dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, il diritto all'assegno di divorzio è - secondo la nuova interpretazione offerta dalla Cassazione - condizionato dal suo previo riconoscimento in base ad una verifica giudiziale che si articola in due fasi, distinte e poste in ordine progressivo dalla norma: «una prima fase, concernente l'an debeatur, informata al principio dell'autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall'accertamento volto al riconoscimento, o meno, del diritto all'assegno e una seconda fase, riguardante il quantum debeatur, improntata al principio della solidarietà economica dell'ex coniuge obbligato alla prestazione dell'assegno nei confronti dell'altro quale persona economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.)»(Cass. civ., 10 maggio 2017, n. 11504). A detta della Corte di appello, ci sarebbero, nel caso posto alla sua attenzione, gravi e fondati motivi per disporre la sospensione dell'efficacia della sentenza di primo grado ex art. 283 c.p.c., che essendo provvisoriamente esecutiva ai sensi dell'art. 4, comma 14, l. div., viene direttamente ad incidere sulla situazione patrimoniale delle parti. Probabile, difatti, appare, alla Corte, «una riforma della sentenza in punto di assegno divorzile, tenuto conto del contesto sociale nel quale la ricorrente ha vissuto e della necessità attuale per la stessa di disporre di somme adeguate con cui provvedere (...) al proprio mantenimento, sia pur non rapportato al tenore di vita goduto durante il matrimonio». Insomma, la provvisoria esecutività della pronuncia di primo grado per i Giudici milanesi potrebbe costituire un serio ed attuale pericolo di depauperamento della ricorrente, economicamente non autosufficiente, atteso che la stessa non sembra attualmente avere un lavoro né «godere di una pensione adeguata in futuro e dispone di risparmi non particolarmente elevati in relazione alle prospettive di vita futura». La sospensione ex art. 283 c.p.c. della provvisoria esecutività della pronuncia di primo grado comporta, dunque la riviviscenza, sino alla decisione di appello, del provvedimento provvisorio e urgente emesso in sede presidenziale ex art. 4, comma 8, l. n. 898/1970. Invero, ai sensi dell'art. 189 disp. att. c.p.c., l'ordinanza con la quale nel processo di divorzio il Presidente del Tribunale concede i provvedimenti di cui all'art. 4, comma 8, l. div., è immediatamente esecutiva in ordine alle disposizioni di natura economica relative al mantenimento del coniuge e dei figli (Cass. civ., 31 gennaio 2012, n. 1367; v. A. Trinchi, È titolo esecutivo il provvedimento che revoca l'assegnazione della casa familiare?, in Fam. e Dir. 2012, 880, estende l'immediata esecutività del provvedimento, attribuendogli efficacia di titolo esecutivo per il rilascio dell'immobile, anche in punto di assegnazione della casa familiare). Tale ordinanza gode, inoltre, per l'espressa disposizione di cui all'art. 4, comma 8, l. div., della c.d. ultrattività: a differenza degli altri provvedimenti interinali che, ex art. 310 c.p.c., non avendo forma di sentenza, non sopravvivono all'estinzione del processo, l'ordinanza presidenziale «conserva la sua efficacia anche dopo l'estinzione del processo» (art. 189, comma 2, disp. att. c.p.c.). Tuttavia, essendo il fine di tale previsione quello d'impedire che il nucleo familiare in crisi rimanga privo di tutela a causa dell'anomalo andamento del processo, la regola dell'ultrattività non può che trovare un limite a fronte della sentenza definitiva: in base ai principi generali quest'ultima esplica i suoi effetti su tutto quanto avvenuto nel corso del processo, assorbendo e/o travolgendo l'ordinanza presidenziale. Se l'ordinanza perde i suoi effetti al momento della pubblicazione della sentenza (C. Vullo, Procedimenti in tema di famiglia e stato delle persone, 155 ss., Modena; R. Barchi, voce Separazione personale dei coniugi. II) Disciplina processuale, in Enc. Giur., XXVIII, Roma 1992, 1-14), non essendo, in virtù dell'art. 4, comma 4, l. div., necessario il passaggio in giudicato (C. Mandrioli, Separazione per ordinanza presidenziale?, in Riv. Dir. Proc., 1972, 239; F. Cipriani, I provvedimenti presidenziali “nell'interesse dei coniugi e della prole”, Napoli, 1970, 306, 338; Cass., 7 agosto 1962, n. 2428, Pert. Venezia, 26 giugno 1962, in Riv. Dir. Proc., 1962, 664, con nt. F. Carnelutti, Efficacia del rigetto esecutivo della domanda di separazione coniugale sul provvedimento urgente del presidente intorno agli alimenti), tuttavia, nel caso oggetto della decisione annotata, si afferma come la sussistenza di gravi e fondati motivi per sospendere in appello ex art. 283 c.p.c. la provvisoria esecutività della decisione di primo grado, non possa che comportarne la riviviscenza. Osservazioni
La Corte, che con la sentenza in commento sembra conformarsi alla nuova concezione del matrimonio inteso come atto di libertà e di autoresponsabilità, luogo di affetti e comunione di vita che, in quanto tale, è, però, dissolubile, appare seguire la linea di pensiero della giurisprudenza al momento dominante (cfr.: Cass., 9 ottobre 2017, n. 23602; Cass., 29 agosto 2017, n. 20525; Cass., 22 giugno 2017, n. 15481; Trib. Bologna, 9 agosto 2017, n. 1813; App. Salerno, 26 giugno 2017, n. 29; Trib. Bari, 20 giugno 2017, n. 3163; Trib. Milano, 5 giugno 2017; Trib. Venezia, 25 maggio 2017; Trib. Milano, 22 maggio 2017; Trib. Mantova, 16 maggio 2017. Sembra discostarsi da tale orientamento Trib. Udine 1 giugno 2017). Tuttavia, anche questa linea di pensiero mostra - alla stregua della decisione in esame - come sia poi in sede di merito che di fatto debbano essere presi in considerazione i vari elementi. Insomma, per l'applicazione del principio espresso dalla Suprema Corte, importante è sempre l'analisi specifica del singolo caso: nell'assumere la decisione i Giudici di merito sono tenuti ad adattare i principi generali alle singole situazioni concrete. Non essendo, in altri termini, più possibile, nella nuova ottica, riconoscere in capo all'ex coniuge un interesse giuridicamente protetto a conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, il diritto all'assegno divorzile potrà ravvisarsi solo nel caso in cui manchi l'indipendenza economica, la quale, però, sebbene da valutare a prescindere da ogni il riequilibrio delle condizioni degli ex coniugi, dovrà comunque rapportarsi non solo alla capacità lavorativa, effettiva o potenziale, e/o alla presenza di redditi, ma, secondo l'annotata decisione, anche al«contesto sociale nel quale la ricorrente ha vissuto». E. Al Mureden, L'assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale, in Fam. e Dir., 2017, 642 ss.; F. Danovi, Assegno di divorzio e tenore di vita matrimoniale: il valore del precedente per i giudizi futuri e l'impatto sui divorzi già definiti, Fam. e Dir. 636; A. Di Lallo, La Cassazione dà l'addio al tenore di vita e rivoluziona i parametri per l'assegno divorzile, in dirittoegiustizia.it. |