Rapporti tra liquidazione giudiziale e misure penali

Gabriele Minniti
30 Gennaio 2018

Nell'esercizio della delega per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza, il Governo adotta disposizioni di coordinamento con il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, stabilendo condizioni e criteri di prevalenza, rispetto alla gestione concorsuale, delle misure cautelari adottate in sede penale, anteriormente o successivamente alla dichiarazione di insolvenza.
Premessa

Nell'esercizio della delega per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza, il Governo adotta disposizioni di coordinamento con il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, stabilendo condizioni e criteri di prevalenza, rispetto alla gestione concorsuale, delle misure cautelari adottate in sede penale, anteriormente o successivamente alla dichiarazione di insolvenza.

Nell'esercizio della predetta delega, il Governo adotta disposizioni di coordinamento con la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e in particolare con le misure cautelari previste da tale disciplina, nel rispetto del principio di prevalenza del regime concorsuale, salvo che ricorrano ragioni di preminente tutela di interessi di carattere penale.

La Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza

Tra i criteri generali dettati nella Legge n. 155 del 19 ottobre 2017, entrata in vigore il 14 novembre 2017, recante la delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza, uno tra i più caratterizzanti è certamente quello che contiene l'indicazione dell'eliminazione del termine “fallimento”, strettamente connotato da negatività, che verrà sostituito dall'espressione “liquidazione giudiziale”.

L'impatto più importante della modifica terminologica, per quanto riguarda il diritto penale, sarà rappresentata dal necessario cambiamento, nelle varie disposizioni di legge che incriminano fatti di bancarotta, dell'indicazione “fallimento”; ferma restando, ovviamente, la persistenza di una sanzione penale in presenza delle medesime condotte.

Dal punto di vista sostanziale, invece, le modifiche concernono le misure cautelari del sequestro e della confisca.

La disposizione di interesse penalistico. Cenni di ordine generale

La previsione della Legge Delega che interessa, in via diretta, il diritto penale, è rappresentata dall'art. 13, disciplinante il rapporto tra liquidazione giudiziale, sequestro e confisca penali.

I casi che la norma intende regolamentare sono quelli in cui la procedura fallimentare, rectius liquidazione giudiziale, si intreccia con i provvedimenti ablatori tipici del campo penalistico, al fine di evitare cortocircuiti o sovrapposizioni di competenze sui beni oggetto dei provvedimenti ablativi, nonché di stabilire la prevalenza dell'uno o dell'altro procedimento.

In altre parole, la norma auspica un coordinamento tra le misure del sequestro e della confisca, applicate nell'ambito di un procedimento penale, e le procedure concorsuali; coordinamento che si rende necessario data la diversa finalità, di natura pubblicistica nel primo caso, e volta al soddisfacimento del ceto creditorio nel secondo, dei provvedimenti di apprensione dei beni.

Il riferimento, nello specifico, è non già a tutti i tipi di provvedimenti ablatori, ma unicamente a quelli previsti dal Codice Antimafia (D.Lgs. n. 159 del 2011), che notoriamente possono essere applicati in via “preventiva”, anche allorquando l'azione penale non sia stata ancora esercitata, nonché a quelli stabiliti in tema di responsabilità amministrativa dell'ente, ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001.

Rapporti con sequestro e confisca disposti nell'ambito dei procedimenti di prevenzione

Più in particolare, avuto riguardo al primo caso citato, il problema dei risvolti applicativi a seguito dell'emissione di provvedimenti di sequestro e confisca, adottati nell'ambito dei procedimenti di prevenzione, era già sorto in riferimento alle stesse misure disposte nel corso di procedimenti penali ordinari.

Del coordinamento tra queste ultime, si era occupato l'art. 30 del Codice Antimafia, stabilendo un parallelismo tra le misure di prevenzione e quelle penalistiche in senso stretto.

Ci sembra utile, qui, ricordare che la normativa prevede, invero, che il sequestro e la confisca di prevenzione possono essere disposti anche in relazione a beni già sottoposti a sequestro in un procedimento penale.

Nell'ipotesi in cui la confisca definitiva di prevenzione intervenga prima della sentenza irrevocabile di condanna, che dispone la confisca dei medesimi beni in sede penale, si procede in ogni caso alla gestione, vendita, assegnazione o destinazione ai sensi del Codice Antimafia ed il giudice, ove successivamente disponga la confisca in sede penale, dichiara la stessa già eseguita in sede di prevenzione.

Viceversa, il terzo comma stabilisce che se la sentenza irrevocabile di condanna che dispone la confisca interviene prima della confisca definitiva di prevenzione, il tribunale, ove abbia disposto il sequestro e sia ancora in corso il procedimento di prevenzione, dichiara, con decreto, che la stessa è stata già eseguita in sede penale.

Ciò che si chiede, dunque, al Governo, con la legge Delega in commento, è di intervenire, così come fatto per le interferenze tra procedimento di prevenzione e procedimento penale, fissando “le condizioni e i criteri di prevalenza, rispetto alla gestione concorsuale, delle misure cautelari adottate in sede penale, anteriormente o successivamente alla dichiarazione di insolvenza”.

Una linea guida, quella espressa dalla disposizione citata, che esprime la chiara volontà di “preferire” la disciplina antimafia a quella concorsuale, già, peraltro, affermata dalla costante giurisprudenza di legittimità. Scelta che, comprensibilmente, si giustifica per via della preferenza assegnata alla lotta contro la criminalità organizzata nonché delle preminenti funzioni assolte dal vincolo derivante dal sequestro preventivo, rispetto a quelle proprie della procedura concorsuale.

Infatti nel primo caso l'interesse è all'evidenza di natura pubblicistica, mentre quello diretto alla tutela del soddisfacimento dei creditori ha natura prevalentemente, anche se non esclusivamente, privatistica. Da qui, la preminenza del primo sul secondo.

Il criterio dettato dalla legge Delega altro non fa che recepire l'uniforme indirizzo giurisprudenziale secondo cui, in ragione dell'interesse pubblico perseguito dalla normativa antimafia, il sequestro preventivo, diretto alla confisca, prevale sulla procedura fallimentare tesa alla tutela meramente privatistica della par condicio creditorum, sia che venga disposto anteriormente oppure successivamente rispetto alla declaratoria di fallimento della società (ex plurimis, Cass., Sez. I, 22 marzo 2011, n. 16797).

Il coordinamento con il D.Lgs. n. 231 del 2001, in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche

Diverso il discorso per quanto concerne, invece, l'intersezione che si viene a creare con le disposizioni previste nel decreto che disciplina la responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato.

Ebbene, gli artt. 53 e 54 del decreto n. 231/2001 prevedono, rispettivamente, la facoltà per il Giudice penale di disporre il sequestro preventivo delle cose di cui è consentita la confisca, a norma dell'art. 19 del medesimo decreto, e quella del Pubblico Ministero di applicare il sequestro conservativo a garanzia del pagamento delle sanzioni pecuniarie, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all'Erario.

Non può sfuggire ad alcuno la diversa intensità delle misure ablatorie appena citate, rispetto a quelle prima indicate previste dal Codice Antimafia, ma soprattutto la diversa finalità delle stesse.

Tale diversità giustifica, dunque, la scelta, adottata nella Legge Delega, di dare prevalenza, salvo che ricorrano ragioni di preminente tutela di interessi di carattere penale, al regime concorsuale.

Una parziale inversione di rotta, dunque, rispetto all'indirizzo seguito dalla giurisprudenza di legittimità “ante riforma”, che stabiliva invece la prevalenza della misure cautelare ex D.Lgs. n. 231 del 2001 sulla procedura concorsuale.

Sul punto, si era registrato un conflitto giurisprudenziale tra un orientamento, quello prevalente, ad avviso del quale i beni oggetto di confisca per equivalente non sono intrinsecamente pericolosi e, quindi, spetta al giudice dare conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle che implicano la tutela dei legittimi interessi dei creditori nella procedura fallimentare, specificando che il terzo in buona fede, rispetto alle vicende personali del fallito, è certamente il curatore, come pure i creditori insinuati (Cass., Sez. V, 8 luglio 2008, n. 33425; 9 ottobre 2013, n. 48804) ed un secondo e contrario filone interpretativo che, dopo aver riconosciuto alla confisca del profitto nei confronti dell'ente la natura di sanzione principale ed autonoma anche quando si tratti di confisca per equivalente di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19, comma 2, ed averne, conseguentemente, affermato la obbligatorietà, trattandosi di profitto ottenuto illecitamente in quanto derivante da reato, ha dichiarato la assoluta insensibilità alla procedura fallimentare del sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria (Cass., Sez. V, 10 gennaio 2013, n. 19051).

A dirimere il contrasto ermeneutico, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 11170 del 25 settembre 2014, le quali, ribadendo la natura sanzionatoria, obbligatoria ed autonoma della confisca, anche per equivalente, hanno statuito, anzitutto, che il vincolo imposto dal sequestro ben può coesistere con quello imposto dall'apertura della procedura fallimentare e che, dunque, spetterà al giudice penale della cognizione, qualora non sia intervenuta sentenza di condanna nei confronti dell'ente stesso, ovvero al giudice dell'esecuzione, in caso di declaratoria di responsabilità della persona giuridica, la verifica dei diritti acquisiti dai terzi in bona fede sui beni provento del reato presupposto, potendo essi inficiare la legittimità del provvedimento ablativo.

Come si vede, la Legge Delega si è parzialmente discostata dall'orientamento seguito dal Supremo Consesso, prevedendo, infatti, in via generale, la prevalenza della procedura concorsuale salvo i casi eccezionali in cui ricorrano ragioni di preminente tutela di interessi di carattere penale.

Il vuoto normativo lasciato con riferimento alle misure cautelari di natura processualpenalistica

Nella Legge Delega non è prevista alcuna indicazione in ordine al rapporto tra misure cautelari reali previste dal codice e le esigenze proprie della procedura concorsuale.

La casistica giudiziaria – e giurisprudenziale - offre innumerevoli esempi delle difficoltà che si incontrano nel coordinamento tra la gestione delle procedure fallimentari e i procedimenti penali, nell'ambito dei quali la magistratura emette provvedimenti di sequestro e confisca.

Si pensi ai tanti casi in cui il permanere di misure ablative, disposte dalla Pubblica Accusa, sui beni della (ormai ex) società fallita, impedisce al curatore di realizzare un attivo, da destinare al soddisfacimento del ceto dei creditori.

Non si comprende, pertanto, per quale motivo non siano stati indicati dei criteri applicativi volti a disciplinare le sovrapposizioni che possono nascere tra le misure cautelari reali e le esigenze proprie della procedura.

Ad ogni buon conto, a guidare gli interpreti del diritto, in tali situazioni, è la Giurisprudenza di legittimità e, in particolare, i criteri indicati dalle Sezioni Unite (sentenza Focarelli n. 29951 del 24 maggio 2004).

Secondo la pronuncia “è legittimo il sequestro preventivo, funzionale alla confisca facoltativa, di beni provento di attività illecita e appartenenti ad un'impresa dichiarata fallita, nei cui confronti sia instaurata la relativa procedura concorsuale, a condizione che il giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale, dia motivatamente conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori nella procedura fallimentare. (In ordine alle altre tipologie di sequestro la Corte ha precisato in motivazione che: a) il sequestro probatorio può legittimamente essere disposto su beni già appresi al fallimento e, se anteriore alla dichiarazione di fallimento, conserva la propria efficacia anche in seguito alla sopravvenuta apertura della procedura concorsuale, trattandosi di una misura strumentale alle esigenze processuali, che persegue il superiore interesse della ricerca della verità nel procedimento penale; b) il sequestro conservativo previsto dall'art. 316 cod. proc. pen., in quanto strumentale e prodromico ad una esecuzione individuale nei confronti del debitore ex delicto, rientra, in caso di fallimento dell'obbligato, nell'area di operatività del divieto di cui all'art. 51 l. fall., secondo cui dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento; c) il sequestro preventivo c.d. impeditivo, previsto dall'art. 321 comma 1 cod. proc. pen., di beni appartenenti ad un'impresa dichiarata fallita è legittimo, a condizione che il giudice, nel discrezionale giudizio sulla pericolosità della res, operi una valutazione di bilanciamento del motivo di cautela e delle ragioni attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori, anche attraverso la considerazione dello svolgimento in concreto della procedura concorsuale; d) il sequestro preventivo avente ad oggetto un bene confiscabile in via obbligatoria deve ritenersi assolutamente insensibile alla procedura fallimentare, prevalendo l'esigenza di inibire l'utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente "pericoloso" in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato).

In buona sostanza tale pronuncia esclude la radicale insensibilità del sequestro alla procedura concorsuale, e affida al potere discrezionale del giudice la conciliazione dei contrapposti interessi, ovvero quelli propri della tutela penale (impedire che i proventi di illecito potessero giovare all'indagato) e di quelli tipici della procedura concorsuale, segnatamente la tutela dei legittimi interessi dei creditori nella procedura fallimentare.

In altre parole, il sequestro penale non sarebbe precluso a condizione che il giudice dia motivatamente conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori.

In tema di confisca obbligatoria, invece, la sentenza esclude che vi siano margini di discrezionalità per il giudice, atteso che le finalità del fallimento non sono in grado di assorbire la funzione assolta dal sequestro, prevalendo la esigenza preventiva di inibire l'utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente pericoloso in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato; con la conseguenza che le ragioni dei creditori sono pretermesse rispetto alla prevalente esigenza di tutela della collettività.

Tale decisione, seppur datata, è stata confermata da successivi interventi dei giudici di legittimità. Da ultimo, va ricordata la sentenza n. 23907 del 1° marzo 2016, con la quale la Suprema Corte, richiamando in motivazione il consolidato principio affermato dalle Sezioni Unite, sancisce che “il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, prevista dall'art. 322-ter c.p.p., prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto della dichiarazione di fallimento, attesa la obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro”.

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