Gli orientamenti della Sezione Fallimentare di Milano sul sovraindebitamento

Sergio Rossetti
06 Febbraio 2018

La sezione fallimentare del Tribunale di Milano esprime normalmente i propri orientamenti attraverso le decisioni prese nei plena (art. 47 ord. giud.), percepiti tendenzialmente come vincolanti dai giudici della sezione. Il tema del “sovraindebitamento” è stato oggetto di discussione in sede di plenum in una sola occasione e per disciplinare un profilo di tipo organizzativo, ma con alcune ricadute pratiche che vale la pena di segnalare.
Nomina dell'O.C.C., archiviazione e sospensione delle procedure esecutive

La sezione fallimentare del Tribunale di Milano esprime normalmente i propri orientamenti attraverso le decisioni prese nei plena (art. 47 ord. giud.), percepiti tendenzialmente come vincolanti dai giudici della sezione.

Il tema del "sovraindebitamento" è stato oggetto di discussione in sede di plenum in una sola occasione e per disciplinare un profilo di tipo organizzativo, ma con alcune ricadute pratiche che vale la pena di segnalare.

L'art. 15, comma 9, L. n. 3/2012 stabilisce che i compiti e le funzioni attribuiti agli organismi di composizione della crisi possono essere svolti da avvocati, commercialisti, ragionieri, ragionieri commercialisti, notai e società tra professionisti nominati dal presidente del Tribunale o da un giudice da lui delegato.

Attualmente, spetta al Presidente della sezione fallimentare di Milano la nomina dell'O.C.C., mentre fino a poco tempo fa tutti i giudici assegnati alla sezione avevano per delega tale potere.

Nella stragrande maggioranza dei casi, peraltro, avveniva ed avviene che alla nomina dell'O.C.C. non segua il deposito di alcuna proposta per la composizione della crisi né alcuna richiesta di liquidazione. Ciò determinava, dal punto di vista statistico, un considerevole numero di procedure di sovraindebitamento che risultavano pendenti pur in assenza, per il giudice designato, del dovere di svolgere ulteriori attività ovvero del potere di assegnare un termine per il deposito di una proposta a norma della L. n. 3/2012.

In sede di plenum si è quindi affermato che la richiesta di nomina dell'O.C.C. integri un procedimento di volontaria giurisdizione che si esaurisce con la ridetta nomina e la contestuale autorizzazione all'O.C.C. di accesso all'anagrafe tributaria (art. 15, co. 10, l. sovr.), all'esito del quale la procedura deve essere archiviata. In caso di successivo deposito di un accordo, di un piano o di una richiesta di liquidazione, la proposta per la soluzione della crisi assume un nuovo numero di ruolo (ciò che determina il pagamento di un ulteriore contributo unificato rispetto a quello versato per la nomina dell'O.C.C.) e viene assegnata al Giudice secondo i consueti criteri di turnazione.

Tale decisione ha determinato l'eliminazione di una serie notevole di “false pendenze”, ancorché non sempre risulta che tale orientamento sia stato condiviso dal foro e alcuni avvocati hanno proposto reclamo avverso tali provvedimenti di archiviazione.

Al netto del fatto che nemmeno i provvedimenti di inammissibilità della proposta di composizione della crisi hanno carattere di decisorietà e definitività, ben potendo sempre essere reiterata la proposta (Cass. 6516/2017; Cass. 1869/2016), deve osservarsi che questa “resistenza” avverso i provvedimenti di archiviazione a seguito della nomina dell'O.C.C. denotano una non corretta percezione del fenomeno processuale di cui si discute.

Il tema del sovraindebitamento risulta evidentemente connesso con il tema delle esecuzioni civili e costituisce, dal punto di vista concettuale, una rivoluzione copernicana al problema dell'insolvenza civile rispetto al parametro classico - per i sistemi di civil law - della responsabilità patrimoniale universale del debitore (art. 2740 c.c.).

Capita molto spesso che, in sede di esecuzione civile ex artt. 474 e ss c.p.c. , i debitori chiedano, magari formulando opposizione, la sospensione del processo esecutivo solo perché risulta depositata un'istanza di nomina dell'O.C.C.

Tale istanza risulta, però, priva di fondamento in quanto le azioni esecutive possono essere sospese o addirittura precluse solo nei casi espressamente stabiliti dalla legge (artt. 10, comma 2, lett. c) e 12, comma 3, per l'accordo; 12-bis, comma 2, e 12-ter, comma 1 e 2, per il piano del consumatore, 14-quinquies, comma 2, lett b), per la liquidazione), che presuppongono, quantomeno, il deposito di una proposta per superare la crisi, se non la relativa omologazione.

In un'occasione la sezione, in sede di reclamo, ha delibato, decidendo conformemente al Giudice Designato, un caso in cui i debitori, con la nomina dell'O.C.C. chiedevano anche la concessione di un termine per il deposito di una proposta di composizione della crisi e il c.d. automatic stay per il tempo occorrente alla definizione della procedura.

Il collegio (decreto 24.11.2016) ha, da una parte, escluso che trovi fondamento nel diritto positivo la richiesta di un termine per il deposito di una proposta ai creditori (nel senso dell'impossibilità di concedere un termine per il deposito del piano, dell'accordo o della richiesta di liquidazione, v. anche il decreto 8.2.2017) e, dall'altro, evidenziato che il sistema prevede la concessione della protezione dalle azioni esecutive in favore del debitore solo a valle della presentazione di una proposta, anche precisando che “il debitore, piuttosto, dovrebbe anticipare l'accesso agli strumenti della l. 3/2012 acquisendo prima che i creditori abbiano iniziato ad aggredire esecutivamente il suo patrimonio la consapevolezza di trovarsi in una situazione di perdurante squilibrio” finanziario.

Il fatto stesso che, però, la sospensione sia richiesta (in sede esecutiva o di domanda di nomina di O.C.C.), dimostra quale significato (del tutto indebitamente) sia a volte attribuito al procedimento di nomina dell'O.C.C. e la ragione per cui alcuni debitori, non ben consigliati, potrebbero ritenere importante la perdurante persistenza di una “procedura di sovraindebitamento” ancorchè limitata alla nomina dell'O.C.C. La Sezione è tendenzialmente orientata per l'applicabilità del disposto di cui all'art. 13, comma 1-quater, d.p.r. 115/2002 per il caso di totale rigetto o dichiarazione di inammissibilità del reclamo proposto contro i provvedimenti del Giudice Designato per la procedura di sovraindebitamento (ad es. decreto 18.6.2015; decreto 24.11.2016); sotto diverso profilo, in un'occasione (decreto 18.8.2016), il Tribunale ha avuto modo di precisare che se l'O.C.C. è legittimato a partecipare nel procedimento di reclamo, non essendo contraddittore del debitore, non ha diritto di ricevere le refusione delle spese legali eventualmente sostenute per la sua costituzione in giudizio.

Deve, peraltro, osservarsi che la tematica sopra riferita potrebbe perdere la propria importanza. Nel circondario di Milano, infatti, sono stati e saranno costituiti alcuni O.C.C., ciò che, almeno secondo l'orientamento da ultimo espresso dalla Suprema Corte (Cass. 19740/2017), dovrebbe precludere la nomina dell'O.C.C. per provvedimento giudiziario a norma dell'art. 15, comma 9, L. n. 3/2012.

Presupposti soggettivi: profili sostanziali e processuali

Se pure non condivisi tra i colleghi a livello di plenum, l'esame dei casi decisi dalla sezione consente di evidenziare, se non prassi consolidate, quantomeno alcune linee di tendenza comuni.

Dal punto di vista soggettivo, come noto, l'art. 6 L. n. 3/2012 ammette alle procedure di sovraindebitamento, in negativo, le persone (fisiche e giuridiche) non assoggettabili ad altre procedure concorsuali.

All'accordo o alla richiesta di liquidazione (e non al piano del consumatore) possono, in primo luogo accedere anche gli imprenditori cc.dd. sotto-soglia.

In alcune occasioni, il giudice designato (ad es. decreto 21.4.2016), sulla base del rilievo per cui l'imprenditore individuale istante avesse superato i limiti di fallibilità di cui all'art. 1, comma 2, l.fall., non solo ha escluso la sua assoggettabilità ad una procedura di sovraindebitamento, ma, inoltre, ha negato la nomina dell'O.C.C., anche trasmettendo gli atti in Procura a norma dell'art. 7, n. 2, l.fall.

In particolare, nel precedente appena richiamato, il giudice ha stabilito che nel caso in cui il superamento dei limiti di fallibilità “emergano prima facie dalla documentazione prodotta a corredo della domanda di nomina dell'organismo (istanza propedeutica al deposito della proposta e ai conseguenti provvedimenti inibitori delle procedure espropriative in corso) e non siano idonei a mutare sino al momento del deposito della proposta medesima, tale inammissibilità possa essere rilevata immediatamente dal giudice designato, sia pure finalizzato tale rilievo al propedeutico rilievo dell'inammissibilità della nomina dell'O.C.C., in quanto apparirebbe al contrario antieconomico gravare di costi il ricorrente per un'attività che non potrebbe essere oggetto di esame da parte del giudice”.

Analogamente, lo stesso Giudice (decreto 6-9.5.2015) aveva dichiarato inammissibile l'istanza di nomina di un OCC proposta da una società in nome collettivo evidenziando l'estrema rilevanza del patrimonio immobiliare in capo alla stessa e tale decisione ha trovato conferma in sede di reclamo (decreto 18.6.15).

Discusso in dottrina, invece, è il tema relativo all'ammissibilità della procedura di sovraindebitamento da parte di quanti rivestano la qualifica di soci illimitatamente responsabili in società di persone e, come tali, suscettibili di fallimento a norma dell'art. 147 l.fall.

Non dovrebbe, in primo luogo, dubitarsi della possibilità di accedere alla procedura di sovraindebitamento da parte del socio illimitatamente responsabile di società a sua volta non fallibile.

In tale direzione potrebbe leggersi il precedente della sezione (decreto 23.2.2016) che ha affermato il principio per cui è il socio illimitatamente responsabile a dovere dimostrare che la società non è assoggettabile, per ragioni dimensionali, alla procedura fallimentare.

Discussa in dottrina è la posizione del socio illimitatamente responsabile di società a sua volta fallibile. Esemplificando: accanto a chi ritiene che i soci illimitatamente responsabili non possano accedere alle procedure di sovraindebitamento in quanto “in astratto” fallibili, vi è chi ritiene che vi possano accedere se, “in concreto”, con la procedura di sovraindebitamento il debitore intenda sistemare la sua propria ed esclusiva situazione debitoria.

Il tribunale ha affrontato in un'occasione tale questione (dapprima avanti al giudice designato, poi, in sede di reclamo, avanti al Collegio) tradendo gli stessi dubbi che agitano la dottrina, pur giungendo nel caso di specie alla medesima statuizione di inammissibilità della domanda.

Secondo il primo giudice (decreto 22.7.2016) i soci illimitatamente responsabili sono “in quanto tali, assoggettabili alle procedure concorsuali” e, pertanto, esclusi dalle procedure di sovraindebitamento. Secondo il giudicante, infatti, “chi non è fallibile né in proprio né in quanto socio di una società di persone può predisporre un ragionevole piano di ristrutturazione o accordo con i creditori, ma chi è sottoponibile … a fallimento in estensione non può in quanto i suoi debiti sono anche quelli sociali di cui è illimitatamente responsabile, perciò, sembra incongruente procedere ad una sistemazione della situazione debitoria senza considerare tutti i debiti sociali oltre a quelli della socia … . Va altresì considerato che in qualunque momento la società potrebbe fallire trascinando il socio nel fallimento, a meno che non si voglia affermare che il sovraindebitamento produce la sottrazione all'effetto di cui al 147 l.fall., affermazione che in concreto pare assai priva di riscontro legislativo valido e di supporto logico”.

In sede di reclamo (decreto 13.10.2016) il Collegio ha ritenuto inammissibile la domanda “non sulla mera circostanza in sé che [la socia] sia esposta in astratto al fallimento ex art. 147 l.f. in quanto socia illimitatamente responsabile di società fallibile” quanto piuttosto perché con la procedura di sovraindebitamento intendeva i) sanare l'indebitamento derivante in percentuale significativa dall'indebitamento della società; ii) società fallibile perché sopra la soglia di cui all'art. 1, comma 2, l.fall.

La sezione, inoltre, in due occasioni si è occupata della nozione di consumatore che l'art. 6 L. n. 3/2012 definisce come “il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”

In un primo caso (decreto16.5.2015) è stato escluso che potesse rientrare nel concetto di consumatore un debitore che aveva, da una parte, debiti IVA (per loro natura inerenti all'esercizio di attività imprenditoriale o professionale) e, dall'altra parte, debiti quale fideiussore di società di capitali di cui era socio ed amministratore unico.

In un'altra occasione (decreto 13.6.2017) è stata negata la qualifica di “consumatore” ad un istante che aveva consistenti debiti a titolo di risarcimento del danno erariale in conseguenza di una pluralità di fenomeni corruttivi di cui si era reso protagonista. Nella fattispecie il giudicante ha escluso la qualifica soggettiva evidenziando che le obbligazioni che hanno determinato una situazione di sovraindebitamento devono derivare da un'attività negoziale e non da sanzioni penali, amministrative o nascenti da responsabilità extracontrattuale, come anche l'avverbio “volontariamente” di cui all'art. 9, co. 3 bis, lett. a) dimostra; anche evidenziando che il sovraindebitato non potrebbe beneficiare dell'esdebitazione ai sensi dell'art. 14-terdecies, comma 3, lett, b) e che, comunque, egli aveva colposamente determinato il proprio sovraindebitamento ai sensi dell'art. 12-bis, comma 3.

Sotto il profilo più strettamente processuale è stata dichiarata (decreto 28.3.2017 ) l'inammissibilità della domanda proposta congiuntamente da due ricorrenti “pur in … presenza di sottomasse passive ed attive non pienamente coincidenti, in contrasto con un dato normativo che non consente un accesso “per gruppi” alle procedure di sovraindebitamento, la cui struttura è compatibile solo con domande individuali”.

In altre occasioni, peraltro, il Tribunale ha ritenuto ammissibili le domande proposte congiuntamente, ma solo a condizione che vi fosse distinzione tra masse passive.

Pure non risultando precedenti conclusivi (omologhe di accordi o piani e decreti di apertura di liquidazione) che si occupano precipuamente della questione (trattata al più in sede di primo esame della domanda, con provvedimenti interlocutori), risulta controverso se, ai fini della domanda, il sovraindebitato, oltre che ricorrere all'O.C.C. debba anche munirsi di un difensore.

La difesa tecnica, invece, risulta senz'altro necessaria nel caso in cui il debitore intenda promuovere reclamo al collegio avverso il provvedimento adottato dal Giudice designato.

Profili oggettivi di ammissibilità: il creditore ipotecario

Capita spesso che i debitori civili e specialmente i consumatori ricorrano alle procedure di sovraindebitamento per tentare di sottrarre la propria casa di abitazione alle pretese dei creditori.

Tali strategie devono fare il conto con i principi in tema soddisfacimento delle cause di legittima prelazione e con il disposto dell'art. 8, comma 4, L. n. 3/2012 nella parte in cui afferma che “la proposta di accordo con continuazione dell'attività d'impresa [evenienza che allo stato non risulta giunta al vaglio dei giudici della sezione] e il piano del consumatore possono prevedere una moratoria fino ad un anno per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione”.

In una prima occasione, il giudice designato (decreto 30.3.2017) ha affermato l'inammissibilità del piano del consumatore proposto in quanto si prevedeva il soddisfacimento del creditore ipotecario – che già aveva messo a sofferenza le proprie ragioni - in un periodo di tempo superiore a quello previsto per i creditori chirografari, senza alcun accordo con il creditore ipotecario.

In un'altra occasione, il consumatore aveva proposto un piano che prevedeva il pagamento, in misura falcidiata, del creditore ipotecario su un arco di tempo di 23 anni a mezzo di rate mensili a partire dal 13° mese con conservazione del diritto di proprietà sull'immobile. Il giudice (decreto 10.4.2017) in applicazione del principio di cui al ricordato art. 8, comma 4, L. n. 3/2012, ha dichiarato inammissibile il piano in quanto con la previsione della moratoria di un anno per il pagamento del creditore privilegiato “il legislatore intende accordare un possibile differimento temporale fino ad un anno del soddisfacimento del creditore garantito, cosicchè allo scadere dell'anno il pagamento del creditore garantito … sia ultimato”.

Ancora tale principio è stato successivamente ribadito (decreto 24.4.2017) in una fattispecie analoga (pagamento in rate mensili del creditore ipotecario per 14 anni, dopo il pagamento della prededuzione, il tutto con conservazione del cespite immobiliare), ancora confermando che entro un anno debba essere pagato integralmente il creditore ipotecario.

Ugualmente, tale principio è stato ulteriormente ribadito in una fattispecie in cui il piano prevedeva, senza il consenso dell'istituto di credito, il pagamento del creditore ipotecario, che già era intervenuto in un'espropriazione immobiliare, in un termine di 15 anni, termine, tra l'altro, maggiore di quello previsto per il pagamento del creditore chirografario, in mancanza di qualsiasi atto di adesione da parte dell'istituto di credito (decreto 18.10.2017).

Differentemente è stato affermato che, nell'ipotesi in cui il consumatore si proponga di soddisfare integralmente il creditore ipotecario, continuando a pagare regolarmente il mutuo e senza che la relativa posizione sia mai stata messa a sofferenza, il piano che tanto preveda risulta ammissibile, salvo il giudizio sulla maggior convenienza dell'alternativa liquidatoria in caso di contestazione degli altri creditori (art. 12- bis, comma 4, L. n. 3/2012), non esistendo nella disciplina sul sovraindebitamento una disposizione analoga a quella di cui all'art. 55, comma 2, l.fall. e non ostandovi la previsione di cui all'art. 9, comma 3 quater, L. n. 3/2012 (decreto 18.10.2017).

Gli atti in frode ai creditori

Le disposizioni sul sovraindebitamento contengono una specifica disciplina in punto di “iniziative o atti in frode ai creditori” nell'accordo di composizione della crisi (art. 10), di “atti in frode ai creditori” nel piano del consumatore (art. 12-bis) e nella liquidazione del patrimonio (art. 14-quinquies).

Il Tribunale, sia in sede monocratica (decreto 18-22.11.2016) che in sede collegiale (decreto 12.1.2017) si è occupato del tema in una fattispecie in cui il debitore solo un anno e mezzo prima della presentazione di un accordo di composizione della crisi aveva donato alle figlie la nuda proprietà di un appartamento e due autorimesse, mantenendone l'usufrutto.

Il Tribunale (decreto 12.1.2017) ha in primo luogo affermato che in materia di “atti in frode ai creditori” “non risulta applicabile in via analogica … il disposto di cui all'art. 173 l.f. - così come è interpretato dalla Suprema Corte - in punto di “atti di frode” in quanto la disciplina sul sovraindebitamento contiene una specifica disciplina [sul] punto”.

E' stato poi precisato (decreto 12.1.2017) che “in tutte le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (piano del consumatore, accordo di composizione della crisi, liquidazione dei beni) … la legge riconosce al giudice il potere ufficioso di verificare la mancanza di atti di disposizione patrimoniale di natura fraudolenta che rendono il debitore immeritevole dei vantaggi che derivano dal buon esito della procedura, indipendentemente dalla loro idoneità decettiva”e chea fronte della pervasività della disciplina comune della responsabilità patrimoniale universale del debitore civile “ben si comprende come i benefici riconosciuti al debitore debbono prevedere, quale contrappeso, un rigoroso controllo giurisdizionale sull'assenza di atti di frode (o solo di iniziative in tal senso) che diminuiscano oggettivamente la consistenza patrimoniale del debitore o aumentino fittiziamente le relative passività”.

Nel caso di specie, inoltre, era stato osservato come decettiva e fraudolenta fosse la stessa combinazione dell'atto dispositivo (donazione della nuda proprietà con conservazione del diritto di usufrutto) con la richiesta di accesso ad una procedura di sovrindebitamento in quanto “ove il debitore avesse ottenuto il provvedimento di omologazione richiesto, infatti, si sarebbe giovato della conseguente esdebitazione, con l'effetto, mai esplicitato, per cui il creditore ipotecario avrebbe perso (per atto del debitore) la garanzia reale del proprio credito, non potendo ulteriormente agire nei confronti delle terze proprietarie [come invece avrebbe potuto in sede di espropriazione forzata], quantomeno per somme eccedenti quelle offerte in sede di accordo” (decreto 12.1.2017).

Conclusioni

Da quando è entrata in vigore la legge sul sovraindebitamento (2012), sono state introdotte a Milano meno di 400 istanze, la grandissima parte delle quali volte alla sola nomina dell'O.C.C.

Nello stesso periodo (2012 – 2016), sono state introdotte circa 20.000 espropriazioni immobiliari e 50.000 espropriazioni mobiliari e presso terzi.

Le procedure di sovraindebitamento latamente intese (pochissime sono quelle effettivamente introdotte, se si esclude la richiesta di nomina di un OCC), quindi, rappresentano lo 0,5% delle procedure generalmente introdotte nei confronti dei debitori civili e, a giudicare dai numeri, il principio della responsabilità patrimoniale universale del debitore (art. 2740 c.c.) resta culturalmente quello assolutamente prevalente.

Di più: con la riforma del 2015, il legislatore ha imposto al creditore di avvisare il debitore della possibilità di ricorrere alle procedure di sovraindebitamento, evidentemente per finalità “promozionali” del nuovo istituto, ma tanto è radicata l'idea per cui l'unico modo di (non) comporre le crisi civili è l'espropriazione forzata individuale che i debitori, anziché ricorrere per tempo ai nuovi istituti (significativo sul punto è il monito contenuto nel decreto 24.11.2016 ricordato nel par. 1) , hanno preferito seguire la strada, più tradizionale ma del tutto priva di vie d'uscita (v. Tribunale di Milano, ord. 18.2.2016 e Tribunale di Milano, sentenza 30.3.2016 n. 4347), dell'opposizione a precetto, perché carente dell'avvertimento sul sovraindebitamento, per tentare al più (ma senza riuscirvi) di ritardare l'inizio di un'espropriazione forzata.

Eppure, la dottrina italiana aveva fin da tempi assai risalenti indicato nel “fallimento civile” il luogo di composizione della crisi dei debitori non commerciali. Nel suo monumentale trattato di diritto commerciale (ed. Francesco Vallardi, Milano, 5° ed., 1928, 323 e ss), ad esempio, Cesare Vivante aveva dedicato un'appendice al “fallimento civile” appunto, denunciando le insufficienze logiche e pratiche delle espropriazioni forzate, ricordando come la commissione per la riforma del Codice di Commercio nominata nel 1919 avesse proposto “l'istituzione di una procedura collettiva di concorso per tutti i cittadini, commercianti e non commercianti”, fornendo importanti spunti di riflessione sui dati delle esecuzioni civili di inizio secolo e sulla legislazione inglese e tedesca che già dalla fine dell'800 conoscono forme di composizione concorsuali delle crisi civili.

Purtroppo il coraggioso e davvero innovativo pensiero di Vivante – si legge nell'appendice al trattato: “un fallito che deve lavorare per tutta la vita per pagare i debiti arretrati perde ogni energia: è un cittadino perduto e la legge lo salva redimendolo dai debiti” – è rimasto per circa un secolo privo di riscontro normativo e di adeguate riflessioni teoriche.

La scarsa diffusione delle procedure di sovraindebitamento, al di là della fattura delle norme, dipende in primo luogo da un'impostazione culturale di fondo, estremamente radicata in primo luogo nella società, ma poi tra i professionisti e i giudici.

Eppure, è facile prevedere che il sovraindebitamento prenderà col tempo necessariamente piede perché la soluzione della crisi del debitore civile (concordata o meno, come nell'ipotesi di liquidazione) con conseguente esdebitazione se il debitore è meritevole, se messa a confronto con l'alternativa della responsabilità patrimoniale universale tipica dei sistemi di civil law, è l'unica perseguibile razionalmente in una società evoluta.

La giurisprudenza e l'organizzazione giudiziaria dovrebbero favorire e governare l'inevitabile crescita e sviluppo di tale disciplina che è destinata ad occupare, in buona parte, il posto tradizionalmente assegnato alle esecuzioni civili.

A dispetto della disciplina positiva, che ricorda molto più da vicino quella concorsuale piuttosto che quella esecutiva individuale, pertanto, la materia dell'insolvenza del debitore civile dovrebbe essere assegnata tabellarmente - in un Tribunale come quello di Milano in cui la materia delle esecuzioni individuali e concorsuali è divisa per sezioni - ai giudici che ordinariamente si occupano delle esecuzioni promosse contro il debitore civile, evidentemente, con la dovuta gradualità nei tempi e nei modi, per una più razionale distribuzione, in una prospettiva futura, dei carichi di lavoro tra i magistrati.

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