Anche la Kafalah convenzionale è istituto di protezione familiare conforme all’interesse del minore
08 Febbraio 2018
Massima
La kafalah convenzionale, prevista in alcuni ordinamenti giuridici che si ispirano all'insegnamento del Corano, è un istituto di protezione familiare inteso a far godere al minore maggiori opportunità di crescita e migliori condizioni di vita, salvaguardando il rapporto con i genitori, che prescinde dallo stato di abbandono del minore e si realizza mediante un negozio stipulato tra la famiglia di origine e quella di accoglienza presentando caratteri comuni con l'affidamento previsto dall'ordinamento nazionale. Tale istituto, quindi, in quanto finalizzato a realizzare l'interesse superiore del minore, non contrasta con i principi dell'ordine pubblico italiano e neppure con quelli della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, che pur opera espressamente, all'art. 20, comma 3, il riconoscimento, quale istituto di protezione del minore, della sola kafalah giudiziale la quale, diversamente da quella convenzionale, presuppone la situazione di abbandono o comunque di grave disagio del minore nel suo ambiente familiare. Il caso
La cittadina italiana S. K. chiedeva all'Ambasciata italiana a Rabat il rilascio di visto per ricongiungimento familiare in favore della minore E. S. L., a lei affidata in Marocco in regime di kafalah mediante accordo omologato dal Giudice notarile di Rabat. Il provvedimento di diniego emesso dell'Ambasciata veniva annullato dal Tribunale di Treviso adito dall'istante. L'impugnazione proposta dal Ministero degli Affari Esteri veniva rigettata dalla Corte d'Appello di Venezia sull'assunto che, alla luce del d.lgs. n. 30/2007 e delle norme costituzionali ed internazionali, non può essere negato il visto per ricongiungimento familiare alla minore extracomunitaria affidata a cittadino italiano in regime di kafalah. Avverso detta pronuncia il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale proponeva ricorso per cassazione, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2 e 3, comma 2, lett. a, d.lgs. n. 30/2007. La questione
La questione al centro della pronuncia è se la kafalah negoziale possa costituire il presupposto per il ricongiungimento familiare ai sensi del d.lgs. n. 30/2007, segnatamente se un minore straniero affidato in regime di kafalah di matrice convenzionale possa rientrare nella nozione di “altri familiari”di cui all'art. 3, comma 2, lett. a, d.lgs. n. 30/2007. Le soluzioni giuridiche
La sentenza in commento si pone in linea di continuità rispetto a quanto già statuito dalla stessa Sezione Prima in Cass. civ., n. 1843/2015, con ciò dimostrando come l'istituto della kafalah sia stato gradualmente recepito dalla giurisprudenza della Suprema Corte. Al fine di meglio comprendere il significato e i limiti di tale opzione ermeneutica, occorre premettere che nei paesi di diritto islamico, secondo i precetti del Corano, la famiglia è concepita come una istituzione di origine divina e il rapporto di filiazione è necessariamente legato alla generazione biologica nell'ambito di un rapporto legittimo tra due genitori mentre l'adozione, in quanto basata su un rapporto che non ha detta matrice, è vietata. In questi ordinamenti l'esigenza di tutela dei minori rimasti senza genitori ed in stato di abbandono viene affidata, invece, allo strumento della kafalah. Per mezzo della kafalah due coniugi (ma l'applicazione dell'istituto può essere anche monogenitoriale), sulla base di una dichiarazione solenne da rendersi davanti ad un Giudice o un notaio, si impegnano a provvedere alle esigenze di vita di un makful (minore abbandonato). In base alla kafalah il minore non entrerà a far parte giuridicamente della famiglia che lo accoglie e non acquisirà il nome del kafil, né acquisirà diritti ereditari (salvo il caso in cui non sia il kafil, mediante una dichiarazione testamentaria, ad inserire il mafkul nel proprio testamento, equiparandolo ad uno dei suoi eredi). In linea generale, le norme di diritto islamico prevedono da un lato la previa dichiarazione d'abbandono del minore e dall'altro l'accertamento dell'idoneità dell'aspirante kafil, al quale è tendenzialmente richiesta la maggiore età, l'appartenenza alla religione islamica e la capacità di far fronte alle responsabilità che derivano dall'impegno di protezione assunto. La kafalah è revocabile e termina in ogni caso con il raggiungimento della maggiore età. Il kafil viene designato con provvedimento giudiziale tutore del minore e la kafalah viene annotata nell'atto di nascita del minore. Il diritto positivo disciplina solo la kafalah che viene riconosciuta mediante un provvedimento giudiziale (c.d. kafalah pubblicistica) ma è molto diffusa la kafalah c.d. consensuale che si realizza mediante un accordo tra la famiglia d'origine e quella di accoglienza siglato davanti ad un notaio e che solo talvolta viene omologato da un giudice. La kafalah, quale istituto di protezione del minore, è altresì riconosciuta da fonti di diritto internazionale, segnatamente dall'art. 20 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e dagli artt. 3, lett. e, e 33 della Convenzione dell'Aja del 19 ottobre 1996, sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione del minore, sottoscritta e recentemente resa esecutiva dall'Italia con l. n. 101/2015. L'istituto è divenuto oggetto di attenzione nel nostro ordinamento allorché, a seguito dei flussi migratori, è divenuto non infrequente che adulti già immigrati in Italia chiedessero il visto per l'ingresso di minori loro affidati in virtù di kafalah. In particolare si è posta la questione del ricongiungimento familiare, ovvero dell'inclusione o meno nel significato di familiare del minore affidato in kafalah ed i rapporti con l'istituto dell'adozione. Con particolare riguardo alla prima questione evidenziata, in giurisprudenza si è operata inizialmente una distinzione tra l'ipotesi in cui il soggetto richiedente il ricongiungimento fosse un cittadino extraeuropeo o un cittadino comunitario. Nel primo caso, operando una lettura dell'art. 29, d.lgs.n. 286/1998 secondo il canone ermeneutico dell'interpretazione costituzionalmente adeguata, la giurisprudenza era giunta a riconoscere il diritto al ricongiungimento, facendo eccezione per la kafalah esclusivamente negoziale. Tale affinità rende possibile estendere ai soggetti minorenni affidati con provvedimento di kafalah la disciplina del ricongiungimento familiare di cui all'art. 29, comma 2, d.lgs. n. 286/1998, il quale equipara i minori affidati ;ai figli biologici. A diversi esiti è giunta la giurisprudenza in merito, invece, al ricongiungimento familiare con minore extracomunitario affidato in kafalah a cittadini italiani, in quanto, nella nozione di “familiare” di cui al d.lgs. n. 30/2007, non rientrerebbe il minore affidato in kafalah. A riguardo, la giurisprudenza ha assunto una posizione di netta chiusura, dichiarando non riconoscibili tali misure di protezione nel nostro ordinamento se emesse nei confronti di un cittadino italiano. In particolare, gli interpreti hanno ritenuto che in questo caso l'intento del kafil fosse quello di aggirare la normativa in materia di adozione internazionale prevista dalla l. n. 184/1983, la quale prescrive un complesso iter amministrativo e burocratico per ottenere l'adozione di un bambino con cittadinanza straniera. Lo scopo spiccatamente elusivo avrebbe determinato poi una contrarietà del riconoscimento del provvedimento straniero di kafalah all'ordine pubblico e, conseguentemente, la giurisprudenza consolidata non ammetteva l'efficacia automatica nel nostro ordinamento di decisioni di tale tipo. Questa conclusione veniva avvalorata sulla scorta del differente dato normativo di cui al Testo unico sull'immigrazione, che disciplina il diritto al ricongiungimento familiare dello straniero, e del d.lgs. n. 30/2007, concernente specularmente il cittadino europeo; nel primo caso la norma si riferisce al ricongiungimento con i “familiari ricongiungibili”, ivi ricompresi espressamente i minori affidati; nel secondo caso il diritto concerne i discendenti, con esclusione quindi dei bambini affidati. Inoltre, si sosteneva che il differente trattamento tra cittadino europeo e straniero fosse determinato dalla differenza delle situazioni sottostanti. Invero, per il cittadino straniero il cui ordinamento vieta l'adozione, l'unico provvedimento riconoscibile sarebbe la kafalah; mentre per il cittadino europeo sussiste una normativa espressa, ossia la disciplina dell'adozione internazionale. La delicatezza della questione ha reso necessario l'intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione chiamate a pronunciarsi sull'ammissibilità di un'interpretazione estensiva della nozione di “familiare” di cui al d.lgs. n. 30/2007 (Cass. civ., S.U., n. 21108/2013). Interrogata sulla possibilità di rilasciare il visto di ingresso a un minore extracomunitario (nella specie di nazionalità marocchina) per ricongiungimento familiare con cittadini italiani, residenti in Italia, ai quali sia stato affidato con provvedimento giurisdizionale di kafalah, la Corte ha definito il significato di familiare comprensivo del minore affidato in kafalah anche con riguardo al cittadino di uno Stato membro soggiornante in Italia o al cittadino italiano richiedente il ricongiungimento. ; Le Sezioni Unite, muovendo dalla centralità della tutela dell'interesse del minore giungono ad interpretare in senso estensivo le ipotesi previste dagli artt. 2 e 3, d. lgs. n. 30/2007, ritenendo che tale opzione interpretativa sia l'unica costituzionalmente orientata e conforme ai principi affermati nelle norme sovranazionali, pattizie o provenienti da fonti dell'Unione europea ;. La tappa successiva nella giurisprudenza della Suprema Corte in ordine all'interpretazione del rapporto tra l'istituto della kafalah ed il ricongiungimento familiare è segnata da Cass. civ., sez. I, n. 1843/2015, la quale afferma che la kafalah “convenzionale”, in quanto finalizzata a realizzare l'interesse superiore del minore, non contrasta con i principi dell'ordine pubblico italiano e neppure con quelli della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, che pure opera espressamente, all'art. 20, comma 3, il riconoscimento quale istituto di protezione del minore della sola kafalah giudiziale (la quale, diversamente da quella convenzionale, presuppone la situazione di abbandono o comunque di grave disagio del minore nel suo ambiente familiare). La Corte precisa a riguardo che la valutazione circa la possibilità di consentire al minore l'ingresso in Italia ed il ricongiungimento con l'affidatario, anche se cittadino italiano deve essere effettuata caso per caso in considerazione del superiore interesse del minore, non potendo essere esclusa in considerazione della natura e della finalità dell'istituto della kafalah negoziale. Appunto in tale alveo si inserisce la pronuncia in commento la quale consolida l'orientamento della Suprema Corte nel senso di ritenere che anche un istituto diverso da quelli previsti nel nostro ordinamento a tutela del minore, e per di più nella sua forma meno “tipica”, possa essere recepito allorché da ciò consegua una maggiore tutela del minore. Osservazioni
L'evoluzione giurisprudenziale che ha riguardato l'istituto della kafalah nel suo rapporto con il ricongiungimento familiare e con gli istituti a protezione del minore contemplati dal nostro ordinamento è esemplificativa di quel processo di globalizzazione culturale e quindi anche giuridica tipica dell'epoca attuale in cui si assiste al confronto con istituti diversi da quelli riconosciuti dal nostro ordinamento ed alla progressiva ma inesorabile erosione di alcuni orientamenti giurisprudenziali proprio per l'effetto dell'avanzare di nuovi valori. Con riguardo al tema che ci occupa, dopo l'iniziale chiusura, può ritenersi ormai consolidata la qualificazione della kafalah come strumento di protezione dei minori abbandonati o in difficoltà nel loro nucleo familiare originario, sia ai fini del ricongiungimento familiare, secondo le norme in materia di immigrazione, sia ai fini della realizzazione dell'unità familiare, nell'ipotesi di affidamento dei minori in kafalah a cittadini italiani o europei. Alla base di tale recepimento vi è la considerazione dell'istituto alla luce dei valori costituzionali e del quadro normativo internazionale che riconoscono la preminenza del principio dell'interesse del minore. L'orientamento della Corte di legittimità sottolinea la necessità di verificare l'effettività del controllo sulla sussistenza di requisiti e circostanzecheconsentano di escludere il perseguimento di finalità elusive della legislazione sull'immigrazione e sull'adozione e di verificare in ogni caso la rispondenza in concreto dell'affidamento all'interesse del minore. A riguardo va segnalato la recente ratifica ed esecuzione (l. 18 giugno 2015, n. 101) della Convenzione de L'Aia del 1996 da parte dell'Italia con lo stralcio delle disposizioni strumentali ad un efficace adattamento dell'istituto della kafalah al fine della sua operatività in un diverso contesto giuridico e ordinamentale. Deve ritenersi, pertanto, la difficoltà dell'innesto di tale istituto nel nostro ordinamento, compito che viene demandato, pertanto, al legislatore. |