La sosta è condizione da sola sufficiente per l’operatività della garanzia RCA?

09 Febbraio 2018

La mera sosta di un veicolo integra il requisito della circolazione stradale, idoneo a rendere operativa la garanzia assicurativa?
Massima

Il concetto di circolazione stradale di cui all'art. 2054 c.c. include anche la posizione di arresto del veicolo e ciò in relazione sia all'ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione, sia alle operazioni propedeutiche alla partenza o connesse alla fermata, sia, ancora, rispetto a tutte le operazioni che il veicolo è destinato a compiere e per il quale può circolare sulle strade, sicché per l'operatività della garanzia prestata per la RCA è sufficiente che il veicolo, nel suo trovarsi sulla strada di uso pubblico o sull'area ad essa parificata, mantenga le caratteristiche che lo rendano tale in termini concettuali e, quindi, in relazione alle sue funzionalità non solo sotto il profilo logico ma anche delle eventuali previsioni normative, risultando invece indifferente l'uso che in concreto se ne faccia, sempreché esso rientri nelle caratteristiche del veicolo medesimo.

Il caso

Tizio agiva in giudizio chiedendo il risarcimento dei danni subiti a seguito della caduta del carico trasportato da un trattore, in sosta al centro della strada.

Si costituiva in giudizio la società assicuratrice chiedendo il rigetto della domanda, mentre il proprietario del veicolo rimaneva contumace. Il Tribunale, senza espletare la richiesta prova per testi, rigettava la domanda e condannava l'attore al pagamento delle spese di lite.

La pronuncia, impugnata da parte soccombente, era confermata dal Giudice distrettuale con conseguente condanna dell'appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.

Avverso detta sentenza, Tizio proponeva ricorso per Cassazione.

La questione

La questione è la seguente: la mera sosta di un veicolo integra il requisito della circolazione stradale, idoneo a rendere operativa la garanzia assicurativa?

Le soluzioni giuridiche

Oggetto della sentenza in commento è la questione riguardante l'applicabilità o meno delle norme in materia di circolazione stradale e, conseguentemente, l'operatività o meno della garanzia prestata per la RCA ad un veicolo in sosta.

L'elemento peculiare della vicenda è il totale contrasto tra il Giudice di legittimità e i Giudici di merito, colpevoli ad avviso della Cassazione di non essersi minimamente confrontati con l'orientamento giurisprudenziale già confermato dall'autorevolezza delle Sezioni Uniti civili, ulteriormente richiamato con la sentenza in commento.

La Corte, infatti, riafferma che qualsiasi atto di movimentazione di un veicolo o delle sue parti, se interpretabile come attuato in funzione del suo avvio nel flusso della circolazione, laddove avvenga sulla pubblica via, va sussunto nel concetto di circolazione stradale, donde l'applicabilità della normativa in materia di RCA quando da tale atto consegua un danno ingiusto a terzi.

Di più: il Giudice di legittimità ribadisce che il concetto di circolazione stradale è integrato anche dalla posizione di arresto del veicolo in relazione sia all'ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione, sia alle operazioni propedeutiche alla partenza o connesse alla fermata, estendendo così l'ambito di applicazione della disciplina in materia di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli.

Per l'operatività della garanzia assicurativa è dunque sufficiente «che il veicolo, nel suo trovarsi sulla strada di uso pubblico o sull'area ad essa parificata, mantenga le caratteristiche che lo rendano tale in termini concettuali […] risultando invece indifferente l'uso che in concreto se ne faccia, sempreché esso rientri nelle caratteristiche del veicolo medesimo».

Di qui, la cassazione con rinvio della difforme sentenza appellata.

Osservazioni

La pronuncia merita senza dubbio adesione, giacché, nel riaffermare un principio già consolidato nella giurisprudenza civile di legittimità, ha il pregio di ancorarlo con la giurisprudenza del Giudice europeo.

Come noto, infatti, il rapporto tra la Corte di Giustizia dell'Unione Europea e la Corte costituzionale italiana - dopo una prima fase di netta contrapposizione (v. in primis C. cost., sent. n. 14/1964, Costa c. E.N.E.L., contra CGUE, sent. n. 6/1964, Costa c. E.N.E.L.; in secundis C. cost., sent. n. 232/1975, I.C.I.C., contra CGUE, sent. n. 106/1977, Simmenthal) in ordine alla sovra-ordinazione del diritto europeo rispetto al diritto interno (il c.d. “principio del primato dell'Unione”) - ha trovato la sua composizione in C. cost., sent. n. 170/1984, Granital, ove la Consulta, rifiutandosi di assimilare le norme dell'Unione a norme nazionali di legge, affermava l'impossibilità di applicare ai conflitti tra le une e le altre i metodi di risoluzione previsti per le ipotesi di conflitto tra norme entrambe appartenenti all'Ordinamento interno, compresa la dichiarazione di incostituzionalità ex art. 134 Cost. Di qui, l'affermazione del criterio della competenza quale criterio in base al quale risolvere i conflitti tra Ordinamento europeo e Ordinamento interno.

Meno noto, invece, è che nella successiva giurisprudenza costituzionale la Consulta ha riconosciuto il potere del Giudice interno di applicare direttamente le norme dell'Unione, lasciando inapplicate le norme interne incompatibili, con riferimento a tutte le fonti comunitarie capaci di produrre effetti diretti (v. C. cost., sent. n. 168/1991, Giampaoli), così come con C. cost., sent. n. 131/1985, BECA, analoga decisione era stata applicata «alle statuizioni risultanti […] dalle sentenze interpretative della Corte di giustizia».

Ebbene, nel caso di specie, la Cassazione fa applicazione, seppur non esplicitamente, proprio del richiamato ultimo principio, giacché àncora il proprio decisum ad una sentenza della CGUE (v. CGUE, sent. 4 settembre 2014, C-162/13) resa a definizione di un caso, in fatto, assai simile a quello portato alla sua attenzione: il Giudice rimettente slovacco, infatti, interrogava la Corte di giustizia sul se l'art. 3, par. 1, DIR. n. 72/166/CEE (relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in fatto di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e di controllo dell'obbligo di assicurare tale responsabilità) dovesse essere interpretato nel senso che la nozione di «circolazione dei veicoli» comprendesse circostanze come quelle oggetto del procedimento principale, ossia la manovra di un trattore, nel cortile di una casa colonica, per immettere in un fienile il rimorchio ad esso agganciato.

Il giudice del rinvio rilevava che nelle diverse direttive in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione degli autoveicoli erano utilizzati termini quali «circolazione», «circolazione dei veicoli», «utenti della strada», senza però indicare una definizione di cosa si dovesse intendere per circolazione del veicolo e quale criterio fosse decisivo al riguardo.

Come si evince pacificamente, la questione è la medesima portata all'attenzione del Giudicante nella pronuncia in commento: ci si chiede, in entrambi i casi, se sia possibile considerare che l'assicurazione obbligatoria includa soltanto i danni causati da un veicolo nella circolazione stradale o se, invece, copra qualunque danno sia comunque collegato all'uso o al funzionamento del veicolo, a prescindere dal fatto se sia possibile definire la situazione come di circolazione.

Per dirimere il conflitto, occorrendo preventivamente individuare la fonte di diritto applicabile, la Cassazione, nel richiamare la decisione europea, implicitamente ne richiama l'intera giurisprudenza. La CGUE, infatti, dopo aver premesso che nessuna delle disposizioni di diritto europeo in materia di assicurazione obbligatoria rinvia al diritto degli Stati membri per quanto concerne la nozione di circolazione stradale, fa discendere dall'imperativo tanto dell'applicazione uniforme del diritto dell'Unione, quanto del principio di uguaglianza, il principio in base al quale una disposizione di diritto dell'Unione, che non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per la determinazione del suo senso e della sua portata, deve di regola essere oggetto, nell'intera Unione europea, di un'interpretazione autonoma e uniforme che tenga conto non solo dei suoi termini, ma anche del suo contesto e della finalità perseguita dalla normativa di cui è parte.

Secondo la giurisprudenza europea, infatti, nelle ipotesi di conflitto, le nome interne vanno interpretate secondo il canone ermeneutico della letteralità, mentre le disposizioni del diritto dell'Unione in una prospettiva teleologica.

Di qui, la cristallizzazione dell'orientamento in commento -peraltro già autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite civili- mediante il suo collegamento al decisum della CGUE, a mente del quale se, da una parte, nessuna delle direttive sull'assicurazione obbligatoria degli autoveicoli contiene una propria definizione delle nozioni di «incidente» o di «sinistro», come pure delle nozioni di «circolazione» o di «uso del veicolo», dall'altra, dette nozioni devono essere intese alla luce del duplice obiettivo di tutelare le vittime degli incidenti causati da un autoveicolo e di liberalizzare la circolazione delle persone e delle merci, in previsione della realizzazione del mercato interno perseguita dalle medesime direttive.

La decisione in commento è dunque assunta alla luce dei principi stabiliti negli atti giuridici legislativi richiamati in CGUE, sent. 4 settembre 2014, C-162/13, dalla piana interpretazione dei quali, ad avviso del Giudicante europeo -decisione che il Giudicante interno fa propria- non si può ritenere che il Legislatore dell'Unione abbia voluto escludere dalla tutela accordata da dette direttive le persone lese da un incidente causato da un veicolo in occasione del suo uso, purché uso conforme alla funzione abituale del veicolo medesimo, ivi ricompresa la mera sosta.

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