Mancato reperimento dei fascicoli di parte

Francesco Bartolini
12 Febbraio 2018

La Cassazione si è occupata di stabilire che cosa succede in caso di mancato reperimento nel fascicolo di parte, al momento della decisione, di alcuni documenti ritualmente prodotti.
Massima

In virtù del principio dispositivo delle prove, il mancato reperimento nel fascicolo di parte, al momento della decisione, di alcuni documenti ritualmente prodotti, deve presumersi espressione, in assenza della denuncia di altri eventi, di un atto volontario della parte stessa, che è libera di ritirare il proprio fascicolo e di omettere la restituzione di esso o di alcuni dei documenti ivi contenuti; ne consegue che è onere della parte dedurre quella incolpevole mancanza (ove ciò non risulti in maniera palese anche in assenza della parte e di una sua espressa segnalazione in tal senso) e che il giudice è tenuto ad ordinare la ricerca o disporre la ricostruzione della documentazione non rinvenuta solo ove risulti l'involontarietà della mancanza, dovendo, negli altri casi, decidere sulla base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione.

Il caso

Il ricorso alla Suprema Corte impugna la pronuncia del giudice di appello che ebbe a rigettare il gravame sull'assunto per cui non erano reperibili tra le carte processuali i fascicoli di parte contenenti la documentazione occorrente ad assumere una decisione sul merito del gravame. I fascicoli di parte relativi al processo di primo grado non risultavano materialmente presenti tra gli atti di causa né risultava che ne fosse stata effettuata la produzione nel giudizio successivo. L'appellante aveva indicato tra le produzioni in appello il suo fascicolo di primo grado ma, all'atto dell'iscrizione a ruolo del procedimento di impugnazione, si era riservato di depositare detto fascicolo in seguito, senza più provvedervi. L'appellato, a sua volta, aveva anch'esso indicato tra le sue produzioni il fascicolo di parte: e si era poi limitato a chiedere che fosse ordinata alla locale Agenzia delle entrate la trasmissione di tale fascicolo, così ammettendo di non avere eseguito la produzione. A fronte di tale situazione, la Corte territoriale aveva affermato che, dovendosi implicitamente ricondurre la mancata produzione della documentazione alla volontà delle parti di non avvalersene, l'appello andava respinto per l'impossibilità di valutare la fondatezza dei motivi.

Avverso la sentenza è stato proposto ricorso per cassazione dall'appellante soccombente; controparte ha depositato una “memoria di costituzione” e una “memoria autorizzata”.

La questione

La Corte di cassazione ha preliminarmente dichiarato l'inammissibilità degli atti difensivi di parte resistente, così riducendo la materia del decidere alle sole questioni dedotte con il ricorso. Con tale atto si deduce (in principalità) la violazione degli artt. 123 disp. att. al c.p.c., 347, ultimo comma, e 116, comma 2, c.p.c., posto che, asseritamente, il giudice di merito avrebbe dovuto ordinare alle parti di produrre i rispettivi fascicoli e la relativa documentazione.

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha ricordato che, in virtù del principio dispositivo delle prove, il mancato reperimento nel fascicolo di parte, al momento della decisione, di alcuni documenti ritualmente prodotti, deve presumersi espressione, in mancanza della denunzia di altri eventi, di un atto volontario della parte, che è libera di ritirare il proprio fascicolo e di omettere la restituzione di esso o di alcuni dei documenti in esso contenuti. Ne consegue, si legge nella motivazione della pronuncia, che è onere della parte dedurre l'incolpevole mancanza (ove ciò non risulti in maniera palese anche in assenza della parte e di una sua espressa segnalazione in tal senso) e che il giudice è tenuto a ordinare la ricerca o disporre la ricostruzione della documentazione mancante solo ove risulti l'involontarietà della mancanza, dovendo, negli altri casi, decidere sulla base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione. Nel caso specifico la parte interessata non aveva provveduto ad assolvere al suo onere di segnalazione e per questa ragione doveva ritenersi che essa stessa avesse dato causa alla decisione sfavorevole. Né risultava inosservato il disposto dell'art. 123 delle disp. att. al c.p.c., cui si era riferito il ricorrente, in quanto tale disposizione è applicabile unicamente al caso delle sentenze non definitive.

Osservazioni

Sul tema del difetto, tra gli atti processuali utili alla decisione, dei fascicoli di parte, l'ordinanza della Corte di cassazione ribadisce un principio già affermato in precedenza da altre pronunce non soltanto conformi, nell'enunciazione, ma anche da essa riprese, letteralmente, nell'esposizione delle motivazioni (si vedano, in esatti termini, Cass. civ., n. 10224/2017 e Cass. civ., n. 10819/1998). Nonostante questo aspetto di non novità delle questioni esaminate, la detta ordinanza si rivela munita di attualità sotto un profilo di realtà nella pratica delle attività difensive dinanzi alle autorità giurisdizionali. É ormai trascorso del tempo dalla radicale trasformazione imposta alla distribuzione territoriale degli uffici giudiziari a seguito della soppressione dei così detti “tribunali minori”: ma non sono cessate le disfunzioni create dagli accorpamenti che a questa trasformazione sono inevitabilmente conseguiti. La prassi ha evidenziato casi numerosi di dispersione di fascicoli processuali, di perdita di documenti e di ricerche demandate ai difensori in cumuli cartacei disordinatamente custoditi in cancellerie improvvisamente divenute insufficienti per il sovraccarico. Anche nella vicenda esaminata dalla Corte la parte ricorrente accenna ad un mancato reperimento del suo fascicolo presso il tribunale di Varese; mentre controparte ha invano chiesto che venisse ordinata la restituzione del suo fascicolo consegnato all'Agenzia delle entrate per un adempimento fiscale e finito tra le cose irraggiungibili.

Ne segue l'utilità di recuperare le regole enucleate dalla giurisprudenza al fine di disporre di una guida da seguire nell'evenienza, tutt'altro che impossibile, di perdere la documentazione che deve sostenere le argomentazioni formulate al giudice in primo grado o che deve dare fondamento all'impugnazione da proporre nel grado successivo. E questo anche perché le dette regole assegnano oneri alle parti, che in sostanza aggravano la loro posizione: a fronte di eventi dei quali spesso non hanno responsabilità, esse sono tenute ad attivarsi per non subirne le conseguenze.

L'ordinanza n. 29716/2017 e le sentenze n. 10224/2017 e n. 10819/1998 hanno affermato che il mancato reperimento nel fascicolo di parte, al momento della decisione, di alcuni documenti ritualmente prodotti, deve presumersi espressione, in assenza della denuncia di altri eventi, di un atto volontario della parte stessa, che è libera di ritirare il proprio fascicolo e di omettere la restituzione di esso o di alcuni dei documenti ivi contenuti. Per la Corte, la parte è padrona del proprio fascicolo e della documentazione che in esso va custodita. Pertanto, se fascicolo e documenti mancano, ciò va imputato direttamente alla parte e alla disponibilità di essi che la parte conserva. Da tanto è stata tratta la conseguenza per cui è onere della parte dedurre e dimostrare che quella mancanza (ove ciò non risulti in maniera palese anche in assenza della parte e di una sua espressa segnalazione in tal senso) non è ad essa dovuta (è “incolpevole”); con l'ulteriore conseguenza per cui il giudice è tenuto ad ordinare la ricerca o disporre la ricostruzione della documentazione non rinvenuta solo ove risulti l'involontarietà della mancanza, dovendo, negli altri casi, decidere sulla base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione.

La regola così enunciata appare limpida nella sua semplicità. Chi ha la disponibilità delle proprie cose deve dimostrare di averle perdute senza colpa, se intende servirsene e farle ricercare: altrimenti si presume che non voglia esibirle e utilizzarle. La regola, tuttavia, appare poco esauriente se si tiene conto del fatto che i fascicoli di parte vengono consegnati alla cancelleria e che del loro ritiro, come della riconsegna, deve farsi annotazione dal cancelliere. In altre parole, quella disponibilità del fascicolo che onera la parte di risponderne, deve risultare da una certificazione ufficiale, la quale interferisce necessariamente sulla regola come sopra enunciata.

E infatti è stato affermato che: «Ove non risulti alcuna annotazione dell'avvenuto ritiro del fascicolo di una parte, il giudice non può rigettare una domanda, o un'eccezione, per mancanza di una prova documentale inserita nel fascicolo di parte, ma deve disporre le opportune ricerche tramite la cancelleria, e, in caso di esito negativo, concedere un termine all'appellante per la ricostruzione del proprio fascicolo, presumendosi che le attività delle parti e dell'ufficio si siano svolte nel rispetto delle norme processuali e, quindi, che il fascicolo, dopo l'avvenuto deposito, non sia mai stato ritirato. Soltanto in caso di insuccesso delle ricerche da parte della cancelleria, ovvero in caso di inottemperanza della parte all'ordine di ricostruire il proprio fascicolo, il giudice potrà pronunciare sul merito della causa in base agli atti a sua disposizione» (Cass. civ., sez. I, n. 12369/2014). In senso conforme, Cass. civ., sez. lav., n. 29262/2008: «Ove non risulti alcuna annotazione dell'avvenuto ritiro del fascicolo di una parte - che, come il successivo rideposito, deve necessariamente avvenire per il tramite del cancelliere che custodisce l'incartamento processuale - il giudice non può rigettare una domanda, o un'eccezione, per mancanza di una prova documentale inserita nel fascicolo di parte, ma deve ritenere che le attività delle parti e dell'ufficio si siano svolte nel rispetto delle norme processuali e quindi che il fascicolo non sia mai stato ritirato dopo l'avvenuto deposito. Conseguentemente il giudice deve disporre le opportune ricerche tramite la cancelleria, e, in caso di insuccesso, concedere un termine all'appellante per la ricostruzione del proprio fascicolo, non potendo gravare sulla parte le conseguenze del mancato reperimento. Soltanto all'esito infruttuoso delle ricerche da parte della cancelleria, ovvero in caso di inottemperanza della parte all'ordine di ricostruire il proprio fascicolo, il giudice potrà pronunciare sul merito della causa in base agli atti a sua disposizione».

Le citate pronunce trovano conferma se confrontate con l'ipotesi contraria: «Il giudice che accerti che una parte ha ritualmente ritirato, ex art. 169 c.p.c., il proprio fascicolo, senza che poi risulti, al momento della decisione, nuovamente depositato o reperibile, non è tenuto, in difetto di annotazioni della cancelleria e di ulteriori allegazioni indiziarie attinenti a fatti che impongano accertamenti presso quest'ultima, a rimettere la causa sul ruolo per consentire alla medesima parte di ovviare alla carenza riscontrata, ma ha il dovere di decidere la controversia allo stato degli atti» (Cass. civ., sez. I, n. 10741/2015).

In definitiva, la parte che risulta aver ritualmente depositato il proprio fascicolo può pretendere che esso sia ricercato, per disposizione del giudice, non potendosi, in linea generale, attribuire a suo comportamento la scomparsa dello stesso dagli atti del processo. Diversamente, se il fascicolo è stato ritirato, la decisione che di esso non tiene conto è da imputare a sua negligenza, a meno che la parte provi la sua assenza di colpa. In questo quadro, così ricostruito, vale il principio per cui: «Se al momento della decisione della causa risulti la mancanza di taluni atti da un fascicolo di parte, il giudice è tenuto a disporne la ricerca o, eventualmente, la ricostruzione solo se sussistano elementi per ritenere che tale mancanza sia involontaria, ovvero dipenda da smarrimento o sottrazione» (Cass. civ., sez. III, n. 18237/2008; Cass. civ., sez. I, n. 12369/2014). Ma la regola deve poi essere, ancora, collegata all'esigenza che la documentazione mancante sia utile per la decisione e che sussista un interesse alla sua produzione. E, infatti, la massima citata prosegue con lo specificare che: «Ove, pur in presenza di tali elementi, il giudice ometta di disporre la ricerca o la ricostruzione degli atti mancanti, tale omissione può tradursi in un vizio della motivazione, ma la parte che intenda censurare tale vizio in sede di legittimità ha l'onere di richiamare nel ricorso il contenuto dei documenti dispersi e dimostrarne la rilevanza ai fini di una decisione diversa».