Il conflitto di interessi del creditore nel concordato fallimentare

Simone Marzo
12 Febbraio 2018

Il concordato approvato con il voto determinante di un creditore in conflitto di interessi (in quanto controllato dal creditore proponente della medesima proposta concordataria) può essere omologato qualora la proposta non sia idonea ad arrecare alcun pregiudizio agli altri creditori, alla luce di una verifica condotta dal Tribunale sulla convenienza della proposta medesima rispetto alle alternative concretamente praticabili; tale potere di sindacato giurisdizionale costituisce corollario del più generale potere di sanzionare eventuali tentativi di abuso dello strumento concordatario.
Premessa

Il decreto in commento si segnala per l'esame particolarmente attento di una tematica che, seppur non nuova, è andata assumendo negli ultimi anni rilevanza centrale nell'ambito delle c.d. “soluzioni negoziali della crisi d'impresa”: il conflitto di interessi del creditore nell'approvazione del concordato fallimentare.

Prima di esaminare il contenuto del provvedimento è opportuno illustrare brevemente il contesto dal quale esso scaturisce. A fronte di tre proposte concorrenti di concordato fallimentare portate all'attenzione dei creditori ai sensi dell'art. 125, secondo comma, l.fall., quella che raccoglieva il maggior numero di consensi era la proposta avanzata da una società creditrice della fallita; tale maggiore consenso, però, era determinato proprio dal voto favorevole espresso dal medesimo creditore-proponente e, soprattutto, da un'altra società creditrice controllata dalla proponente.

Il soggetto che aveva formulato una delle altre proposte concorrenti, quindi, si opponeva all'omologazione del concordato, lamentando l'illegittimità del voto espresso in conflitto di interessi dal creditore-proponente e dalla sua controllata. Il Tribunale, dunque, è stato chiamato a pronunciarsi sulla configurabilità e sulla rilevanza, ai fini dell'omologazione del concordato fallimentare, del conflitto di interessi in capo al proponente ed alla società da questo controllata.

Il voto in conflitto di interessi nel concordato fallimentare

Come detto in premessa, il tema del conflitto di interessi del creditore nel concordato fallimentare (ma il discorso potrebbe essere esteso al concordato preventivo) ha assunto, negli ultimi anni, grande rilievo. Le ragioni dell'accresciuta attenzione verso detta problematica vanno probabilmente rintracciate in alcuni aspetti caratterizzanti della disciplina concorsuale emersa a seguito della riforma organica del 2005/2007. Non sembra necessario ricordare come, tra le fondamentali direttive di intervento sottese a tale novella, vi fosse l'esaltazione del ruolo dei creditori e, più in generale, dell'autonomia privata nella regolazione della crisi d'impresa, con una contestuale rimeditazione del ruolo in tale contesto assegnato al Giudice.

Con particolare riferimento al concordato fallimentare, tali direttive sono emerse chiaramente in alcuni importanti aspetti della novellata disciplina: la grande flessibilità circa i possibili contenuti della proposta concordataria; l'attribuzione della legittimazione a proporre il concordato anche a soggetti diversi dal fallito (ivi compresi i creditori); l'affievolimento del ruolo del Giudice, al quale è stato tendenzialmente sottratto il potere di sindacare la convenienza della proposta presentata. Ciascuno dei ricordati caratteri del “nuovo” concordato fallimentare ha evidentemente acuito le criticità connesse ad eventuali conflitti di interesse in capo ai creditori votanti sulla proposta concordataria, tanto più che il legislatore non ha contestualmente avvertito l'esigenza di dettare una disciplina generale finalizzata a sterilizzare o, quanto meno, ad attenuare le distorsioni che da simili fenomeni potrebbero derivare.

Nel silenzio legislativo cui si è appena fatto cenno, l'esigenza di tutelare i creditori minoritari a fronte di condotte più o meno “interessate” tenute dai creditori di maggioranza, ha indotto parte della dottrina ad affermare l'applicabilità nella materia in discussione del divieto di voto in conflitto di interessi. Sul fondamento sistematico di tale principio, tuttavia, vi sono molti dubbi.

Alcuni osservatori affermano che il divieto di voto in conflitto di interessi sarebbe immanente in tutte le fattispecie in cui vi sia un corpo deliberante secondo il principio di maggioranza, desumendo da ciò la sua applicabilità anche nell'ipotesi del voto sul concordato. Nell'intento di individuare un fondamento giuridico positivo all'affermato divieto di voto in conflitto di interessi, altra parte della dottrina ha poi assunto come dato di partenza il principio generale di correttezza e buona fede o, più spesso, l'elaborazione teorica riguardante le norme sul conflitto di interessi del socio nelle deliberazioni assembleari sociali (art. 2373 c.c. e 2479-ter, comma 2, c.c.); su tali basi si afferma, dunque, che nell'esprimere il proprio voto sulla proposta di concordato, nessun creditore potrebbe anteporre i propri personali interessi all'interesse comune a tutti i creditori, consistente nel miglior soddisfacimento possibile di tutti i crediti o, più in generale, nella “migliore regolazione della crisi”. In definitiva, sarebbe viziato il consenso alla proposta concordataria animato non già dall'intento di raggiungere il maggior soddisfacimento per tutti i creditori, ma dall'obiettivo di raggiungere un proprio personale vantaggio.

La difficile trasposizione in ambito concordatario delle norme in tema di voto in conflitto di interessi

Le fragilità delle tesi cui si è fatto cenno nel paragrafo precedente, volte a sostenere l'applicabilità in ambito concordatario delle norme in tema di voto in conflitto di interessi, dovrebbero essere evidenti. La pretesa di individuare in capo ai creditori concordatari un comune interesse alla “migliore regolazione della crisi” rappresenta, invero, una mera astrazione; in concreto, difficilmente si potrebbe trovare un creditore davvero interessato alla “migliore regolazione della crisi” o al “miglior soddisfacimento possibile di tutti i crediti pregiudicati dalla crisi”. Più verosimilmente, ciascun creditore sarà (e del tutto legittimamente) interessato alla migliore soddisfazione del proprio credito, interesse che, in un contesto di accertata insolvenza (o, nel caso del concordato preventivo, di crisi), può normalmente essere soddisfatto soltanto a costo di sacrificare l'identico interesse degli altri creditori.

Da tale prospettiva si coglie il tratto distintivo fondamentale tra la posizione del creditore nel contesto concordatario e quella del socio nell'ambito della compagine assembleare. Invero, tale differenza non consiste tanto nell'impossibilità di riconoscere nella massa dei creditori votanti un “centro autonomo di interessi” (come affermato dalla Suprema Corte nella sentenza del 10 febbraio 2011, n. 3274), poiché è ormai assodato che nemmeno le norme in tema di conflitto di interessi del socio siano destinate a regolare un ipotetico conflitto tra l'interesse del socio e l'interesse della società quale ente distinto dal primo, bensì l'eventuale conflitto tra l'interesse individuale del socio e l'interesse “sociale” facente capo a tutti i soci “in quanto tali”. Sotto questo profilo, quindi, il meccanismo normativo previsto con riguardo ai soci potrebbe astrattamente essere applicato anche i creditori concordatari.

Il punto distintivo tra le due fattispecie pare essere un altro. Nell'ambito delle società, ciò che impone al socio di votare anteponendo l'interesse “sociale” (che è pur sempre un interesse suo proprio) a quello “extra-sociale” contrastante con il primo, è l'esistenza del rapporto sociale che lo lega agli altri soci. Proprio il vincolo che scaturisce dal contratto sociale, se da un lato obbliga i soci al rispetto delle deliberazioni approvate dalla maggioranza, dall'altro attribuisce ad ognuno di essi il diritto di pretendere che nessun altro possa orientare la decisione assembleare al perseguimento di un suo interesse “extra-sociale” incompatibile con gli interessi “sociali” comuni a tutti.

Nell'ambito dei concordati, però, tutto ciò non si verifica; in questo contesto i creditori non sono legati tra loro da null'altro salvo che dall'occasionale circostanza di essere tutti creditori di un soggetto insolvente o in crisi, e sembra davvero difficile dimostrare che una simile eventualità sia in grado di far sorgere in capo a ciascun creditore l'obbligo di anteporre il proprio interesse “come creditore” rispetto ad altri suoi eventuali interessi individuali non comuni agli altri creditori.

Non è chiaro, in definitiva, la ragione per cui il creditore dovrebbe votare sul concordato tenendo in considerazione anche gli interessi degli altri creditori, mancando tra detti soggetti un vincolo giuridico volontariamente assunto ed assimilabile al rapporto esistente tra i soci di una società.

La soluzione prospettata dal Tribunale di Teramo

Con il decreto in commento il Tribunale di Teramo interviene sul complesso tema appena accennato, fornendo alcuni originali spunti di riflessione il cui interesse sembra travalicare la peculiare fattispecie concretamente esaminata.

In primo luogo, il Tribunale si dimostra ben consapevole della difficoltà (se non dell'impossibilità) di trasporre nella materia in questione le norme in materia di voto in conflitto di interessi del socio di società di capitali, escludendo espressamente che di tale norma si possa fare applicazione analogica nel caso sottoposto al suo esame. Al contempo, il Giudice riconosce anche che le norme in tema di limitazione al diritto di voto comunque presenti nella disciplina sul voto nel concordato fallimentare (art. 127, commi 5, 6 e 7, l.fall., che escludono dal voto il fallito ed i soggetti a questo collegati, nonché gli eventuali cessionari dei crediti) devono ritenersi di stretta interpretazione, non essendo perciò possibile dedurre da esse l'esistenza di un generale divieto di voto del creditore in conflitto di interessi.

Il Tribunale, però, non è rimasto insensibile alle esigenze di tutela sottese all'opposizione sul quale era chiamato ad esprimersi. Nella particolare fattispecie sottoposta al suo esame, invece, il Giudice ha ritenuto di poter affrontare il problema del voto in conflitto di interessi ricorrendo al principio generale del divieto dell'abuso del diritto.

Il percorso argomentativo esposto nel decreto annotato può essere così sintetizzato: poiché la concessione anche ai creditori ed ai terzi della legittimazione a proporre il concordato fallimentare è funzionale alla migliore soddisfazione del ceto creditorio, detta facoltà non dovrebbe poter essere usata per proporre ed approvare con il proprio determinante consenso proposte concordatarie peggiorative rispetto alle alternative concretamente praticabili. Ove ciò si verificasse, il Giudice dovrebbe rifiutare l'omologazione del concordato, anche se approvato; in caso contrario, lo strumento concordatario messo a disposizione dalla legge verrebbe infatti usato per raggiungere scopi non voluti, ed anzi, disapprovati dall'ordinamento.

Nell'impostazione seguita dal Tribunale di Teramo, dunque, l'attenzione viene concentrata non tanto sul momento del voto e sugli interessi sottesi alla prestazione del consenso (che possono essere i più vari, non necessariamente comuni a tutti i creditori votanti e tutti meritevoli di tutela), quanto sul momento, logicamente e cronologicamente anteriore, della formulazione della proposta concordataria. In definitiva, ferma restando l'autonomia di ciascun creditore nell'esprimere o meno il consenso verso la proposta concordataria portata al voto, se detta proposta è astrattamente idonea ad assicurare ai creditori una migliore soddisfazione rispetto alle alternative concretamente praticabili, la sua approvazione non potrà essere censurata, nemmeno se ottenuta con il voto “interessato” di alcuni di essi.

È chiaro che il ragionamento esposto dal Tribunale rende indispensabile procedere ad un esame nel merito della proposta concordataria approvata, poiché soltanto all'esito di tale esame è possibile stabilire se la proposta avanzata dal creditore ed approvata con il suo determinate consenso sia o meno abusiva. In definitiva, come si legge nel decreto in commento, “occorre accertare se, in concreto, in assenza di ogni automatismo che solo una disposizione di legge ad hoc potrebbe stabilire […] e di ogni tentativo di introspezione psicologica, quindi da un punto di vista rigorosamente obiettivo, il voto favorevole del creditore proponente e della società da esso controllata, il secondo dei quali determinante per l'approvazione della proposta, abbia generato un risultato peggiorativo a quello che avrebbero consentito le alternative concretamente praticabili” (così, pag. 67-68).

Nel caso di specie, poiché all'esito di tale verifica la proposta approvata non è risultata peggiorativa rispetto alle altre e rispetto all'alternativa fallimentare, il concordato è stato omologato.

L'abuso del diritto come limite all'esercizio del diritto di voto ed il sindacato giurisdizionale sulla convenienza del concordato

Il decreto in commento riguarda, come già detto, un caso peculiare. La soluzione prospettata, tuttavia, potrebbe ispirare una più ampia riflessione sul tema del conflitto di interessi nel concordato, ed in ciò consiste il principale motivo di interesse per la pronuncia in questione.

Seguendo l'impostazione fatta propria dal Tribunale di Teramo, la tutela dei creditori di minoranza dovrebbe essere perseguita non già imponendo ai creditori di votare “dimenticandosi” dei propri legittimi interessi, come se fossero “creditori ideali” (inesistenti per definizione) più interessati alla migliore regolazione della crisi che alla maggiore soddisfazione del loro credito o agli altri vantaggi che la proposta concordataria potrebbe portare loro, bensì consentendo l'omologazione soltanto di quei concordati di cui sia stata accertata la convenienza per tutti i creditori.

In presenza di concordati davvero convenienti per tutti i creditori, infatti, avrebbe poco senso domandarsi se l'approvazione sia stata o meno determinata dal “genuino” interesse alla migliore regolazione della crisi oppure da interessi egoistici di alcuni soltanto dei creditori, poiché nessuno (nemmeno i creditori “di minoranza”) avrebbe ragione di lamentarsi dell'approvazione del concordato.

Non sfugge, ovviamente, come la generale percorribilità della soluzione prospettata dal Tribunale sia resa difficile dagli stretti limiti in cui è attualmente consentito il controllo giurisdizionale di convenienza sulle proposte concordatarie (tanto nel concordato fallimentare quanto in quello preventivo). Proprio perché ben consapevole di detti limiti, il Tribunale di Teramo ha probabilmente avvertito la necessità di fare riferimento alla categoria dogmatica dell'abuso del diritto ed al principio generale del divieto di abuso dello strumento concordatario, espressamente indicato come il fondamento del potere di sindacato sulla convenienza del concordato che il medesimo Tribunale ha esercitato.

Prescindendo dalle ipotesi in cui è possibile invocare correttamente il divieto di abuso, comunque, non si può fare a meno di cogliere gli spunti forniti dal provvedimento commentato, anche in una prospettiva de iure condendo (riguardante tanto il concordato fallimentare quanto quello preventivo, ancorché nella legge delega di riforma delle procedure concorsuali recentemente approvata non si faccia espresso riferimento alla eventuale disciplina del conflitto di interessi nel concordato fallimentare).

Il decreto in oggetto sembra suggerire, in effetti, che una salvaguardia davvero efficace degli interessi dei creditori “di minoranza” nell'ambito dei concordati possa essere assicurata soltanto mediante un rafforzamento dei poteri di eterotutela giurisdizionale dei medesimi interessi, piuttosto che con l'affermazione di un obbligo (invero poco realistico, oltre che di dubbio fondamento sistematico) per i creditori di perseguire un astratto interesse alla “migliore regolazione della crisi”. In tal senso, l'opzione normativa appena indicata sembrerebbe anche più coerente rispetto ad un sistema nel quale, pur affermandosi il ruolo preminente dell'autonomia privata anche nella regolazione della crisi d'impresa, si finisce in sostanza per vincolare l'esplicazione di tale presunta autonomia privata al perseguimento di interessi astratti, sulla cui reale esistenza è quanto meno lecito dubitare.

In conclusione, l'obiettivo di garantire efficace tutela anche ai creditori “di minoranza” potrebbe essere meglio perseguito, probabilmente, rafforzando i poteri di sindacato giurisdizionale sulla convenienza del concordato, senza che ciò debba necessariamente comportare un ripensamento radicale del ruolo complessivo dell'autonomia privata nell'ambito delle “soluzioni negoziali della crisi d'impresa”.

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