Il nuovo concordato preventivo nello schema di decreto delegato

13 Febbraio 2018

La Legge delega n. 155/2017 per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza, dedica molto spazio (ed un intero articolo) al riordino della procedura di concordato preventivo. In particolare, l'art. 6 della Legge n. 155/2017 detta una serie di principi e criteri direttivi ai quali il Governo si deve attenere nell'esercizio della delega.
Premessa

La Legge delega n. 155/2017 per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza, dedica molto spazio (ed un intero articolo) al riordino della procedura di concordato preventivo.

In particolare, l'art. 6 della Legge n. 155/2017 detta una serie di principi e criteri direttivi ai quali il Governo si deve attenere nell'esercizio della delega.

Tali principi e criteri direttivi sono stati recepiti (o così dovrebbe essere) nella bozza del Codice della crisi e dell'insolvenza (si tratta dello schema di decreto legislativo destinato a dar vita ad un codice della crisi e dell'insolvenza, che dovrà rimpiazzare integralmente il r.d. n. 267 del 1942 e la Legge n. 3 del 2012) attualmente sul tavolo del Ministro Orlando. Codice che si occupa del concordato preventivo - per lo più - nel Titolo quarto (articoli da 89 a 125) dedicato agli strumenti di regolazione della crisi in generale.

Senza addentrarci in una analisi dettagliata delle norme che dovrebbero disciplinare l'istituto del (nuovo) concordato preventivo nel prossimo futuro, nel presente contributo proveremo ad analizzare alcuni di quelli che – ad avviso di chi scrive – sono gli elementi di maggiore novità che caratterizzano il ridisegnato strumento di regolazione della crisi.

Concordato in continuità e concordato liquidatorio (art. 89)

Il primo articolo del Codice dedicato al concordato preventivo (Art. 89 - Concordato in continuità e liquidatorio) - dopo l'esordio, al primo comma, con la frase Il concordato preventivo, ove la proposta non preveda diversamente, è in continuità aziendale o liquidatorio (frase non chiarissima nella finalità, ma destinata a far comprendere che le tipologie di concordato preventivo non si esauriscono nelle sole due normativamente disciplinate del concordato con continuità aziendale e del concordato liquidatorio, ben potendovi essere altre varianti - ad es. il vecchio concordato per garanzia che sia al contempo senza liquidazione e non in continuità) - traduce in norma la volontà del legislatore delegante

  • di trasformare il concordato preventivo in una procedura essenzialmente riservata alle imprese che hanno una prospettiva di continuità aziendale, nonché
  • di limitare l'ammissibilità di proposte di concordato di natura liquidatoria ai soli casi in cui l'apporto di risorse esterne (non viene - almeno per ora - codificato il concetto di “risorsa esterna”, anche se essa deve essere valutabile economicamente e comportare un aumento di almeno il 10% del soddisfacimento dei chirografari. Potrebbe essere opportuno aggiungere una definizione in più così chiarendo anche il concetto di risorsa esterna) aumenti di almeno il 10% il soddisfacimento dei creditori chirografari, che non può essere in ogni caso inferiore al 20% dell'ammontare complessivo dei crediti chirografari (comma 4).

A questo punto, è probabile che il concordato preventivo di natura liquidatoria - già pressoché scomparso dalla circolazione dopo l'introduzione della soglia minima del 20% - sia destinato all'estinzione. Non sembrano esserci molti motivi per i quali “qualcuno” possa essere invogliato ad apportare risorse esterne per procedere con la liquidazione concordataria anziché con quella giudiziale.

Nello stesso articolo 89 vengono – quindi – delineati i contorni della figura del concordato in continuità aziendale, riconducendo espressamente sotto l'etichetta del concordato in continuità sia le ipotesi di continuità diretta/soggettiva sia quella indiretta/oggettiva. In tal modo superando anche i contrasti interpretativi sulla riconducibilità della continuità oggettiva o (anche) indiretta nell'ambito dell'attuale art. 186bis l.fall.

Nel nuovo Codice viene esplicitato che la continuità aziendale può essere

(i) diretta, in capo all'imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, ovvero

(ii) indiretta, in caso sia prevista la gestione dell'azienda in esercizio in capo a soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, affitto, stipulato anche anteriormente alla presentazione del ricorso, conferimento dell'azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, o a qualunque altro titolo.

In ogni caso, però, il piano di concordato dovrà prevedere che l'attività d'impresa è diretta ad assicurare il ripristino dell'equilibrio economico finanziario nell'interesse prioritario dei creditori (l'interesse prioritario dei creditori” appare un concetto difficilmente coniugabile in diritto e, a mio avviso, predicato nei termini dell'attuale art. 89, non aiuta l'interprete), oltre che dell'imprenditore e dei soci (comma 2).

Ma ciò non basta, perché per potersi parlare di concordato in continuità sarà, altresì, necessario che:

  • i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta, ivi compresa la cessione del magazzino, e che
  • a ciascun creditore sia essere assicurata un'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile; utilità che può anche essere rappresentata da vantaggi fiscali o dalla prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa (comma 3).

Quindi, come già fatto presente nei primi commenti alla legge delega (F. LAMANNA, La riforma concorsuale in progress: dalla legge delega alla sua (rapida) attuazione, in questo portale, 23 ottobre 2017), con tali previsioni si è cercato di rendere ammissibili i concordati delle sole imprese che siano idonee a proseguire l'attività realizzando flussi finanziari e un profitto tali da consentire di soddisfare progressivamente i creditori in misura maggiore di quella che potrebbero ottenere con la mera liquidazione immediata degli assets patrimoniali.

La verifica della sussistenza delle condizioni su indicate - anche con riferimento alla fattibilità del piano - ai fini dell'apertura del concordato preventivo è rimessa al tribunale, che tiene conto dei rilievi del commissario giudiziale (art. 51 Codice).

L'attestazione facoltativa e l'accertamento in capo al tribunale della veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità (e convenienza) del piano

Nel nuovo impianto normativo post-riforma è prevista una (ri)espansione dei poteri di verifica e controllo in capo al tribunale.

Ci dovremmo trovare dinanzi ad un ampliamento dell'oggetto del sindacato giurisdizionale sul contenuto del piano e della proposta concordataria.

Al tribunale dovrebbero essere, così, attribuiti poteri di controllo e verifica anche sulla fattibilità economica - oltre che giuridica - del concordato.

Come accennato più sopra, l'art. 51 del Codice in itinere prevede che a seguito del deposito del piano e della proposta di concordato, il tribunale - prima di pronunciare il decreto di apertura del concordato preventivo (ma anche in momenti successivi) - verifica le condizioni di cui agli articoli da 89 a 93, anche con riferimento alla fattibilità del piano e tenuto conto dei rilievi del commissario giudiziale.

L'altra faccia della medaglia – che contribuisce al raggiungimento di un altro obiettivo della riforma: il contenimento dei costi a carico dei creditori – è l'abolizione dell'attestazione obbligatoria, praticamente conseguente al ripristino di un pieno controllo in capo al tribunale (e al commissario giudiziale). Attestazione, a questo punto, vista come un inutile costo per attività di controllo che verrà comunque svolta dall'Organo pubblico.

Infatti, a differenza della disciplina attuale del concordato preventivo - che vede il piano di concordato sempre accompagnato dalla relazione di un professionista, designato dal debitore, che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano - nel concordato ridisegnato nel Codice in bozza, la nomina da parte del debitore proponente di un esperto indipendente che attestati la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano di concordato èprevista, di regola (l'art. 92, comma 2, prevede che: Il debitore può presentare, insieme alla domanda, la relazione di un professionista indipendente da lui designato che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. Analoga relazione deve essere presentata nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano, nonché, in caso di prevista continuità aziendale, avendo riguardo al miglior soddisfacimento dei creditori), come facoltativa.

Le due novità appena analizzate sono entrambe figlie di alcune delle principali motivazioni di fondo che sembrano aver ispirato il legislatore della riforma: economicità, efficienza, rapidità, ma anche ritorno ad una maggiore giurisdizionalizzazione del concordato.

Probabilmente è anche fisiologico – dopo anni di concordato “privatistico” con risultati a dir poco scoraggianti sia per i creditori, sia in termini di (non) ripresa delle imprese in crisi – voler “stringere le maglie” e riservare l'accesso al concordato preventivo a quei soli casi in cui ciò può arrecare davvero utilità (ai creditori e alla stessa realtà economica in crisi) e sia più conveniente rispetto ad una precoce apertura della liquidazione giudiziale.

Così come è comprensibile (anche se non necessariamente condivisibile) che si voglia ripristinare il controllo pubblico dopo anni in cui si è predicata – ma senza risultati (alla fine, sono quelli che contano) - un'autonomia decisionale in capo ai creditori.

Solo i dati futuri sapranno confermare o smentire la nuova impostazione del sistema.

La suddivisione dei creditori in classi, il calcolo delle maggioranze e la disciplina delle situazioni di conflitto di interessi nel voto dei creditori

Un'altra delle novità rilevanti che troviamo nello schema del Codice, è l'indicazione dei casi in cui il piano di concordato deve prevedere la formazione obbligatoria di classi (de iure condito è assolutamente prevalente l'orientamento che ritiene facoltativa – tranne alcuni casi limite – la suddivisione dei creditori in classi) di creditori.

La legge delega, infatti, demandava al legislatore delegato anche di individuare i casi in cui la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei, è obbligatoria, prevedendo, in ogni caso, che tale obbligo sussiste in presenza di creditori assistiti da garanzie esterne.

Ne è venuto fuori un testo (art. 90, comma 3, lett. d) dal quale si evince che la formazione delle classi (lo stesso - schema del - Codice, all'art. 2 - definizioni -, n. 18, definisce classe di creditori": l'insieme di creditori raggruppati secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei) è obbligatoria per quanto concerne la suddivisione dei:

  • creditori privilegiati

- dei quali non sia previsto l'integrale pagamento o

- sia previsto il pagamento dilazionato ai sensi dell'articolo 91 (Il piano può prevedere, fermo quanto disposto dall'articolo che precede, una moratoria fino a due anni dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. In tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente hanno

diritto al voto per l'intero credito

) e a seconda dell'oggetto della garanzia

  • creditori titolari di crediti previdenziali o fiscali dei quali non sia previsto l'integrale pagamento;
  • creditori che vengono soddisfatti anche in parte con utilità diverse dal denaro;
  • creditori titolari di garanzie prestate da terzi;
  • creditori proponenti il concordato e parti ad essi correlate;
  • creditori postergati.

Il piano può prevedere la formazione di ulteriori classi ma, al di fuori dei casi espressamente contemplati, la suddivisione dei creditori in classi è solo eventuale.

Nel caso di classamento dei creditori, viene ribadito che il piano deve prevedere trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse; e che il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione.

Il controllo sull'esistenza e sulla corretta suddivisione dei creditori in classi dovrebbe essere – almeno così si evince dal testo normativo in commento – affidato al tribunale già in sede di ammissione (e, successivamente, in sede di eventuali modifiche e/o di omologazione).

Il comma 7 dell'articolo 95 (in tema di proposte concorrenti) precisa che “La proposta concorrente prima di essere comunicata ai creditori, deve essere sottoposta al giudizio del tribunale che verifica la correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi”.

La suddivisione dei creditori in classi ha incidenza anche sul calcolo delle maggioranze ai fini del voto (art. 114 - Maggioranza per l'approvazione del concordato).

Voto che d'ora in avanti – se verrà confermato il testo attuale del Codice – potrà essere espresso solo in via telematica (anche perché viene soppressa l'adunanza dei creditori dinanzi al GD).

Voto che dovrà essere “espresso” in tutti i sensi, posto che nel (nuovo) concordato preventivo non è stato riproposto il meccanismo del silenzio-assenso, invece previsto per il concordato minore all'art. 84 (il 3° comma dell'art. 84, recita: Ove i creditori non facciano pervenire alcuna comunicazione all'OCC nel termine assegnato, si ritiene che abbiano prestato consenso alla proposta nei termini in cui è stata loro comunicata. Analoga previsione non è inserita nella disciplina del concordato preventivo).

Tornando alle classi e al calcolo delle maggioranze ai fini del voto, l'articolo 114 (replicando in parte l'art. 177 dell'attuale l.fall.) – dopo aver affermato che il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto – precisa che il concordato è approvato se la maggioranza dei crediti ammessi al voto è riportata anche nel maggior numero di classi.

È, quindi, di immediata evidenza il ruolo fondamentale che assumerà la suddivisione dei creditori in classi ai fini della stessa ammissibilità della domanda di concordato preventivo.

Ma le innovazioni più rilevanti che troviamo nello stesso articolo 114 sono (i) l'adozione di un sistema di calcolo delle maggioranze anche «per teste», nell'ipotesi in cui un solo creditore sia titolare di crediti pari o superiori alla maggioranza di quelli ammessi al voto (cd. “creditore tiranno”) nonché (ii) una apposita disciplina delle situazioni di conflitto di interessi.

Pertanto, nel caso in cui un unico creditore sia titolare di crediti in misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi al voto, il concordato sarà approvato se, oltre alla maggioranza dei crediti ammessi al voto, avrà riportato la maggioranza per teste dei voti espressi dai creditori ammessi al voto.

Infine, per quanto riguarda il conflitto di interessi, il comma 6 dell'articolo in commento - dopo aver ampliato la platea dei soggetti esclusi dal voto - precisa che “Sono inoltre esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto d'interessi. Sono in conflitto d'interessi i creditori portatori di un interesse in conflitto con il miglior soddisfacimento dei creditori, fatte salve le cause legittime di prelazione”.

Anche tale definizione di “creditori in conflitto di interesse” può essere certamente migliorata dal legislatore delegato, in modo da lasciar il minor spazio possibile a diverse interpretazioni che potrebbero creare complicazioni al momento del voto e del calcolo delle maggioranze per l'approvazione del concordato.

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