Dichiarazione giudiziale di paternità e risarcimento dei danni causati dall’assenza del genitore

Edoardo Rossi
13 Febbraio 2018

È ammissibile, in assenza di una norma specifica, la domanda di risarcimento dei danni presentata da una figlia nei confronti del padre che non ha provveduto al suo riconoscimento e si è completamente disinteressato di lei?
Massima

Il figlio nato fuori dal matrimonio e riconosciuto da un solo genitore può chiedere, oltre all'accertamento giudiziale dello status filiationis, anche il risarcimento dei danni non patrimoniali causati dall'assenza del genitore, trattandosi di diritto garantito dagli artt. 2 e 30 Cost.; tale diritto è azionabile solo dal momento della sentenza di accertamento della filiazione naturale che, conseguentemente, costituisce il dies a quo della decorrenza dell'ordinaria prescrizione.

Il caso

Parte attrice conviene in giudizio il padre per sentire dichiarare l'esistenza del legame di filiazione, con conseguente acquisizione del cognome paterno in aggiunta a quello materno, nonché la condanna del convenuto al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, da quantificarsi in via equitativa, conseguenti al mancato adempimento degli obblighi propri della genitorialità. Si costituisce il padre dichiarando la propria disponibilità a sottoporsi alle indagini genetiche ed aderendo, in caso di esito positivo, alla richiesta di dichiarazione giudiziale di paternità e di aggiunta del cognome, ma instando per il rigetto della domanda di risarcimento danni, per intervenuta prescrizione. Il Tribunale di Roma, accertato, a seguito di CTU, un rapporto di filiazione tra le parti, accoglie la domanda di stato, e condanna il padre al risarcimento dei danni non patrimoniali in favore della figlia, mentre respinge la domanda risarcitoria del danno patrimoniale per mancanza di prova.

La questione

La decisione in commento affronta il tema dell'ammissibilità, in assenza di una norma specifica, della domanda di risarcimento dei danni nei confronti di un genitore che non abbia provveduto al riconoscimento della figlia, disinteressandosi completamente della stessa.

Altra questione presa in esame dal Tribunale di Roma concerne il momento di decorrenza della prescrizione, ai fini dell'esperibilità della domanda di risarcimento danni.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza del Tribunale di Roma segue l'orientamento prevalente, sia nella giurisprudenza di legittimità che di merito, in base al quale il totale disinteresse di un genitore nei confronti del figlio, con conseguente violazione del dovere di educarlo, mantenerlo ed istruirlo, si pone in contrasto con i diritti costituzionalmente previsti dagli artt. 2 e 30 Cost., legittimando - conseguentemente - la condanna al risarcimento dei danni dallo stesso subiti, con decorrenza dal momento della procreazione.

La Cassazione ha infatti evidenziato che l'obbligo del genitore di concorrere nel mantenimento del figlio insorge con la nascita dello stesso, ancorché la filiazione sia stata successivamente accertata con sentenza (cfr. Cass. civ., sez. I, 3 novembre 2006, n. 23596; Cass. civ., sez. I, 20 dicembre 2011, n. 27653). In particolare, la Suprema Corte ha ribadito come la violazione di obblighi cui corrispondono, nel destinatario, diritti primari della persona costituzionalmente garantiti, comporta la sussistenza di un illecito civile certamente riconducibile nelle previsioni dell'art. 2043 c.c. e ss. (Cass. civ., sez. I, 10 aprile 2012 n. 5652). La Cassazione ha posto in evidenza l'automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione, il che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell'ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l'assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore (Cass. civ., sez. I, 22 novembre 2013 n. 26205).

Ancor più recentemente è stato ribadito che la violazione degli obblighi genitoriali nascenti con la procreazione, potendo provocare la lesione di diritti costituzionalmente protetti, sia tale da integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c. come reinterpretato alla luce dei principi sanciti dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella decisione Cass. civ., S.U., n. 26972/2008. Il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio integra da un lato, la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione e dall'altro determina un'immancabile ferita di quei diritti nascenti dal rapporto di filiazione, che trovano nella carta costituzionale e nelle norme di diritto internazionale recepite dal nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela (Cass. civ., sez. VI, 16 febbraio 2015, n. 3079).

Gli obblighi genitoriali trovano infatti disciplina anche nelle norme sovrannazionali, in particolare nell'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, con la previsione del diritto del bambino alla protezione ed alle cure necessarie per il suo benessere, nonché nella Convenzione di New York del 20 novembre 1989, ratificata con legge n. 176/1991, posta a tutela dell'interesse del minore e della responsabilità genitoriale.

Anche il Tribunale di Roma si era già espresso in tal senso (Trib. Roma, sez. I, 7 marzo 2014), rilevando che l'obbligo dei genitori di educare e mantenere i figli è connesso esclusivamente alla procreazione, prescindendo dalla dichiarazione giudiziale di maternità o paternità, così determinandosi un automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione, che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell'ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l'assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore. Nello stesso senso il Tribunale di Venezia, il quale ha evidenziato che il totale disinteresse del padre (o della madre) naturale rispetto ai bisogni del figlio/a – dunque il mancato sostegno materiale, morale ed assistenziale nei confronti di questo/a – è ipotesi pregiudizievole sotto il profilo esistenziale per i gravissimi risvolti negativi che tale comportamento omissivo ha sulla crescita personale e relazionale dello stesso/a (Trib. Venezia, 16 giugno 2004). Anche il Tribunale di Modena ha affermato che la condotta del padre che non abbia riconosciuto il figlio naturale e si sia rifiutato di adempiere gli obblighi derivanti dal rapporto di filiazione, è contraria agli artt. 147, 148 e 261 c.c. e causa un danno esistenziale al figlio naturale che si manifesta nelle ripercussioni sociali derivanti dalla consapevolezza di non essere mai stato desiderato e trattato come figlio (Trib. Modena, 12 settembre 2006).

Per quanto concerne invece il termine di prescrizione per poter esercitare l'azione di risarcimento danni, l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza è nel senso di ritenere che la domanda debba essere azionata a seguito dell'accertamento della filiazione e che conseguentemente, solo da tale momento decorrerà il termine di prescrizione del diritto stesso (ex multis, Cass. civ., sez. I, 11 luglio 2006, n. 15756; Cass. civ., sez. I, 4 aprile 2014 n. 7986; Trib. Sulmona, 26 novembre 2012, n. 490). Nello stesso senso anche la sentenza in commento, la quale ritiene non condivisibile il diverso ed isolato orientamento giurisprudenziale affermato dal Tribunale di Roma (Trib. Roma, 1 aprile 2014) secondo cui si esclude che, per la proposizione dell'azione di risarcimento danni da mancato riconoscimento del figlio, sia necessaria la pronuncia giudiziale di accertamento dello status filiationis, individuando il termine di decorrenza della prescrizione dal momento in cui il figlio raggiunge l'indipendenza economica. Ammettere, infatti, la decorrenza della prescrizione prima della pronuncia accertativa della filiazione porterebbe a esercitare l'azione di risarcimento danni anche prima di tale momento, con conseguente possibilità per il Giudice di compiere tale accertamento in via incidentale, mentre per consolidata giurisprudenza «l'accertamento incidentale relativo ad una questione di stato delle persone non è consentita dal nostro ordinamento giuridico, ostandovi nel quadro normativo attuale l'art. 3 c.p.c. e l'art. 8, d.lgs 2 luglio 2010, n. 104» (Cass. civ., 12 marzo 2012 n. 3934).

Osservazioni

La sentenza in commento si uniforma agli orientamenti consolidati della giurisprudenza sia con riferimento all'accoglimento della domanda di risarcimento dei danni subiti da un figlio a seguito del mancato riconoscimento da parte di un genitore per violazione degli obblighi genitoriali di mantenimento, istruzione, educazione della prole, sia con riferimento al termine prescrizionale di detta domanda, che deve decorrere solo a seguito dell'accertamento dello stato di filiazione.

Il Tribunale di Roma non ha ritenuto di accogliere la tesi difensiva del convenuto, basata sul fatto di non aver adempiuto ai suoi doveri genitoriali per la mancata conoscenza del concepimento e della nascita della figlia, condannandolo conseguentemente al risarcimento dei danni non patrimoniali. Evidenzia il Tribunale che, come emerso dalle risultanze istruttorie, il convenuto, anche se appreso successivamente della nascita della figlia avrebbe potuto compiere, almeno da quel momento, i necessari accertamenti per verificare l'esistenza del legame di filiazione e così adempiere ai suoi doveri genitoriali.

Sul punto, pare opportuno segnalare il diverso approccio avuto dal Tribunale di Milano, in una causa intentata dalla madre contro il presunto padre al fine di ottenere il riconoscimento della minore, le modalità di affidamento e di visita, nonché il contributo al mantenimento, comprensivo di arretrati. Costituendosi in giudizio, il padre chiedeva l'autorizzazione al riconoscimento della figlia, svolgendo domanda riconvenzionale risarcitoria volta ad ottenere risarcimento del danno esistenziale da lui subito. Assumeva infatti il convenuto che parte attrice, fin dalla nascita della figlia, si sarebbe mostrata contraria al riconoscimento della bambina, ritenendo di dover prima definire le condizioni relative all'esercizio della responsabilità genitoriale (ivi incluse quelle connesse agli obblighi di mantenimento). Il Tribunale di Milano ha accolto la domanda del convenuto ritenendo che il mancato tempestivo riconoscimento da parte del padre - come emerso nel corso dell'istruttoria – fosse da ritenere imputabile in via esclusiva al comportamento della madre, la quale lo aveva sempre subordinato alla previa sottoscrizione di accordi relativi alla responsabilità genitoriale, comportamento che non può essere - a detta dell'organo giudicante - in alcun modo considerato né corretto né coerente, considerato che l'applicazione dei criteri di logica, ancor prima dei criteri di diritto, suggerisce la necessaria anteriorità del riconoscimento di un minore, che quindi da quel momento può considerarsi figlio di un determinato soggetto, e soltanto successivamente la sottoscrizione da parte del soggetto medesimo di accordi relativi a tutti i diritti e doveri nascenti per effetto della paternità (Trib. di Milano, sez. IX, 5 ottobre 2016).

Quanto alla decorrenza del termine prescrizionale per eventuali azioni risarcitorie, il riferimento esclusivo al momento dell'acquisizione dello status potrebbe dar luogo a situazioni ingiuste tutte le volte in cui tanto la madre, quanto il figlio, pur avendo sempre avuto contezza dell'identità della figura paterna, si fossero astenuti dall'assumere le relative iniziative in sede giudiziale per l'attribuzione dello status, ovvero la tutela dei diritti connessi al solo fatto della procreazione. Come è noto, in base all'art. 2935 c.c. i diritti si prescrivono dal giorno in cui possono essere fatti valere; l'azione di stato è certamente imprescrittibile, ma l'art. 279 c.c. prevede la possibilità, quando non sia possibile l'azione di dichiarazione giudiziale della filiazione, che il figlio possa agire comunque per il mantenimento, ovvero per gli alimenti: in questo caso, l'accertamento della filiazione non potrà che avvenire in via incidentale. La norma ha dato luogo ad un certo dibattito; da un lato essa si riteneva applicabile solo per quei figli, qualificati prima della riforma del 2012, come “incestuosi”, dall'altro, estensibile a tutti i figli che non fossero stati riconosciuti e non avessero avuto intenzione di rivendicare lo status, ma solo i diritti da esso derivanti. A questa seconda tesi si era rifatto il precedente dello stesso Tribunale di Roma, da cui la sentenza in commento si discosta, che aveva ritenuto di scindere il momento della decorrenza dell'azione risarcitoria da quello dell'acquisizione del titolo di filiazione (a seguito di riconoscimento, piuttosto che di pronuncia giudiziale).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.