Impugnazioni. Il d.lgs. 11/2018 attua la delega della riforma Orlando

Ignazio Pardo
20 Febbraio 2018

Con il decreto legislativo 6 febbraio 2018, n. 11 (in G.U. n. 41 del 19 febbraio 2018) il Governo completa l'intervento di riforma sulle impugnazioni penali. Il decreto interviene limitando principalmente i poteri di appello delle parti ...
Abstract

Con il decreto legislativo 6 febbraio 2018, n. 11 (in G.U. n. 41 del 19 febbraio 2018) il Governo completa l'intervento di riforma sulle impugnazioni penali. Il decreto interviene limitando principalmente i poteri di appello delle parti, con l'intento di circoscrivere il potere d'impugnazione nei limiti in cui le pretese delle parti, legate all'esercizio dell'azione penale per il pubblico ministero, risultino soddisfatte. In questa prospettiva, si riduce la legittimazione all'impugnazione di merito: al pubblico ministero è precluso l'appello delle sentenze di condanna, ossia delle sentenze che hanno riconosciuto la fondatezza della pretesa punitiva, salvo alcuni specifici casi ( sentenza di condanna che modifica il titolo del reato o che esclude l'esistenza di aggravanti ad effetto speciale o che commuta una pena di specie diversa); all'imputato, specularmente, è precluso l'appello delle sentenze di proscioglimento pronunciate con le più ampie formule liberatorie, ossia perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso. Sempre nella stessa ottica viene riformata la disciplina dell'appello incidentale eliminando il relativo potere in capo al pubblico ministero, così privato di facoltà esclusivamente antagoniste rispetto alla difesa.

Gli scopi dell'intervento delegato secondo il governo e la relazione illustrativa

Secondo il comunicato ufficiale del Governo il decreto legislativo di recente emanazione «mira alla deflazione del carico giudiziario, mediante la semplificazione dei procedimenti di appello e di cassazione. In tale ottica, i principi di delega orientano alla modifica del procedimento davanti al giudice di pace, all'individuazione degli uffici del pubblico ministero legittimati a proporre appello, alla riduzione dei casi di appello e alla limitazione dell'appello incidentale al solo imputato». Nella introduzione contenuta nella relazione illustrativa, si specifica che il decreto legislativo si propone di dare attuazione alla delega normativa contenuta nella legge 23 giugno 2017, n.103, recante Modifiche al codice penale. al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario, il cui articolo 1, commi 82, 83 e 84 lettere f), g), h), i), l), e m) investe il Governo della riforma della disciplina processuale in materia di giudizi di impugnazione. Il provvedimento, riprende, compatibilmente con i criteri di delega, le proposte formulate dalla commissione ministeriale di studio costituita con d.m. 9 dicembre 2015 presieduta dal dott. Domenico Carcano, e si inserisce nel più ampio programma sotteso alla riforma del codice di procedura penale, volto principalmente alla semplificazione e velocizzazione dei processi, in modo da garantire l'attuazione del principio della ragionevole durata del processo, anche in vista della realizzazione delle esigenze economiche e sociali di deflazionare il sistema penale processuale.

Tuttavia, dalla analisi delle modifiche normative apportate alla disciplina delle impugnazioni, ci si avvede che il decreto legislativo non mira soltanto alla semplificazione e velocizzazione delle impugnazioni ma contiene al suo interno plurime previsioni che accentuano le scelte già operate con la legge 103/2017 soprattutto nell'ottica della specificazione del ruolo del giudizio di appello divenuto un giudizio critico e di controllo dell'operato del giudice di primo grado.

I capisaldi dell'ultimo intervento di riforma

Prima di procedere alla analisi delle singole norme vanno individuati i capisaldi del decreto legislativo sicuramente ravvisabili nelle tre modificazioni principali e nelle loro conseguenze costituiti: a) dall'eliminazione del potere del P.M. di appellare le sentenza di condanna se non in casi di particolari; b) dall'eliminazione del potere di proporre appello incidentale del P.M.; c) dalla razionalizzazione dei poteri di appello da parte degli organi dell'accusa al fine di evitare la duplicazione delle impugnazioni da parte di pubblico ministero e procuratore generale sino ad oggi ammesse.

Si tratta di modificazioni che vengono spiegate nella relazione illustrativa nell'ottica della riduzione della dimensione antagonista del P.M. rispetto alla impugnazione dell''imputato ma che accentuano certamente il ruolo del nuovo giudizio di appello come strumento di controllo ed eliminazione dell'errore devoluto attraverso la proposizione di specifici motivi. L'appello ancora di più dopo l'eliminazione dell'appello incidentale del P.M., accentua il suo carattere di giudizio di controllo, di fase destinata all'individuazione dell'errore del processo o della sentenza di primo grado, devoluto attraverso la proposizione di specifici motivi, perdendo il carattere di fase “necessaria” della giurisdizione.

La limitazione dell'appello del pubblico ministero avverso le sentenze di condanna emesse a seguito di dibattimento

Analizzando singolarmente le modifiche appare innanzitutto di particolare rilievo la previsione della limitazione del potere di impugnazione del P.M. avverso le sentenze di condanna, evidentemente emesse a seguito di dibattimento poiché analogo divieto risulta già vigente per le decisioni di condanna pronunciate a seguito di rito abbreviato o patteggiamento. Secondo il nuovo primo comma dell'art. 593 «1. Salvo quanto previsto dagli articoli 443, comma 3, 448, comma 2, 579 e 680, l'imputato può appellare contro le sentenze di condanna mentre il pubblico ministero può appellare contro le medesime sentenze solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante a effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato». La limitazione del potere di appello del pubblico ministero in relazione alla sentenza di condanna si è attuata, in sostanza, attraverso la generalizzazione del sistema già previsto e funzionante in tema di giudizio abbreviato; secondo la nuova disciplina quindi, il P.M. non può appellare per lamentare l'entità della pena inflitta sic et simpliciter ma vi è legittimato solo in caso di pronuncia parzialmente difforme quanto alla pretesa accusatoria consacrata nell'imputazione che si verifichi in caso di diversa qualificazione giuridica, eliminazione di circostanze aggravanti ad effetto speciale, irrogazione di pena di specie diversa. La conseguenza pratica di tale generalizzazione del sistema già previsto per il giudizio abbreviato è l'eliminazione del controllo del P.M., e per converso anche del giudice di appello, sulla entità della pena inflitta all'esito del giudizio di primo grado e ciò anche per effetto della concessione di circostanze attenuanti. Si tratta indubbiamente di una forte limitazione al potere di controllo del P.M. sulla sentenza di primo grado emessa all'esito del dibattimento poiché i punti relativi alla concessione di attenuanti, ed alla determinazione della pena vengono esclusi dalla area devolutiva dell'appello della pubblica accusa sicché l'imputato, condannato all'esito del giudizio dibattimentale di primo grado, non è più soggetto al rischio di vedersi aumentare la pena in secondo grado.

Secondo la relazione illustrativa l'intento del Legislatore delegante è di circoscrivere il potere d'impugnazione nei limiti in cui le pretese delle parti, legate all'esercizio dell'azione penale per il pubblico ministero e al diritto di difesa per l'imputato, risultino soddisfatte. Ad avviso del Legislatore delegato quindi la domanda del pubblico ministero nel procedimento penale ha ad oggetto soltanto il riconoscimento della fondatezza della pretesa punitiva che si attua attraverso la sentenza di condanna e non anche l'entità della pena inflitta.

Tuttavia, la stessa relazione, sottolinea che la legittimazione al ricorso per cassazione non è oggetto di modifiche, non è stata ridotta; ed è allora il ricorso per cassazione lo strumento, peraltro oggetto di espressa garanzia costituzionale, utilizzabile dal pubblico ministero anche in funzione diversa da quella propria di parte processuale esclusivamente antagonista, avversaria dell'imputato. Ed è attraverso lo strumento del ricorso per cassazione che il P.M. potrà pertanto fare valere il vizio di violazione di legge nella determinazione della pena in cui sia eventualmente incorso il giudice di primo grado nella decisione di condanna.

Va però ricordato, al proposito, che venuto meno il potere di proporre appello avverso la sentenza di condanna fuori dai limitati casi previsti dal nuovo comma 1 dell'art. 593 c.p.p. viene escluso di conseguenza anche il potere di proporre ricorso per saltum in caso di violazione di legge. Difatti secondo l'art. 569 c.p.p. solo la parte che ha il potere di proporre appello può avanzare ricorso immediato per cassazione.

Ne consegue affermare che la sanzione inflitta all'esito del giudizio di primo grado è sempre “giusta” (purché contenuta nei limiti edittali) e rispetto ad essa alcuna valutazione di congruità rispetto alla gravità dei fatti od alla personalità dell'imputato può essere proposta e devoluta all'analisi del giudizio di secondo grado. Secondo l'intento del Legislatore non essendovi mai errore nella determinazione del quantum di pena rispetto al mantenimento dell'imputazione non vi è potere di controllo del giudice di appello, tranne che nei casi limite di irrogazione di una pena di specie diversa.

Ricapitolando, il potere di appello del P.M. avverso le sentenze di condanna è oggi limitato ai soli casi di:

  • modifica del titolo di reato;
  • esclusione di circostanze aggravanti ad effetto speciale;
  • pena di specie diversa;
  • sentenza di condanna a seguito di rito abbreviato che modifichi la qualificazione giuridica;
  • sentenza di patteggiamento emessa a seguito di dibattimento in caso di dissenso del P.M.;
  • sentenze che applichino misure di sicurezza.

Posto quindi che l'appello del P.M., avverso sentenza di condanna è ammissibile solo se il giudice di primo grado abbia modificato il titolo di reato, in difetto di tale presupposto, l'atto di impugnazione proposto dalla parte pubblica in via principale deve essere qualificato come ricorso per cassazione, mentre l'appello incidentale eventualmente presentato dall'imputato è inammissibile.

Quanto alla limitazione del potere del P.M. di proporre appello avverso le sentenze di condanna, la previsione già operante in tema di giudizio abbreviato, è stata ritenuta conforme a costituzione ed al canone di ragionevolezza; la Consulta (Corte cost. ord. n. 165 del 2003) ha espressamente affermato che il principio di parità delle parti non comporta necessariamente l'identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell'imputato, potendo una disparità di trattamento risultare giustificata, nei limiti della ragionevolezza, sia dalla peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero, sia dalla funzione allo stesso assegnata (Corte cost. ord.165 cit.).

Alcune problematiche possono porsi per i giudizi c.d. cumulativi; al proposito si segnala l'orientamento secondo cui quando il pubblico ministero può proporre appello per alcuni capi e ricorso per cassazione per altri capi della sentenza, si impone la proposizione del primo mezzo di gravame anche in relazione ai capi suscettibili di ricorso (Cass. pen., Sez. VI, 10 luglio 1995, n. 9910); difatti secondo questo orientamento il meccanismo di conversione previsto dall'art. 580 c.p.p. deve essere interpretato estensivamente e opera dunque anche quando una stessa parte processuale dispone di gravami eterogenei sicchè il ricorso per cassazione del pubblico ministero avverso una sentenza emessa in giudizio abbreviato si converte in appello nel caso in cui per uno dei capi della sentenza sia proponibile, per il pubblico ministero, l'appello.

Altre decisioni hanno anche chiarito che l'appello proponibile dal P.M. avverso la sentenza di condanna che abbia modificato il titolo del reato può avere ad oggetto qualsiasi statuizione adottata e non deve essere necessariamente limitato al ripristino dell'originaria, più grave, ipotesi contestata, ma può riguardare anche motivi diversi, quali, ad es., quelli relativi al ripristino di circostanze aggravanti e all'aumento della pena (Cass. pen., Sez. VI, 17 novembre 2010, n. 6274); sicché la diversa qualificazione giuridica, l'esclusione di aggravanti a effetto speciale o l'irrogazione di pena di specie diversa, sarebbe solo il presupposto per la riespansione del potere di appello del pubblico ministero ma non ne limiterebbe anche l'oggetto della domanda, esercitabile in tali casi anche in relazione ad aspetti non altrimenti consentiti.

L'ipotesi della conversione del ricorso per cassazione del P.M. in appello, vige anche, secondo l'orientamento giurisprudenziale di legittimità, quando sia stato proposto appello dall'imputato avverso la sentenza di condanna in primo grado; tale fattispecie, che è destinata a divenire sempre più frequente a seguito della abolizione dell'appello della pubblica accusa nei confronti di tutte le decisioni di condanna di primo grado siano esse emesse a seguito di abbreviato che di dibattimento, viene risolta dalla giurisprudenza affermando che la conversione in appello del ricorso per cassazione proposto dal pubblico ministero contro una sentenza di condanna emessa con il rito abbreviato, ed appellata dall'imputato, opera ope legis e non può essere annullata dalla successiva scelta dell'imputato appellante di rinunciare all'impugnazione (Cass. pen., Sez. VI, 14 giugno 2011, n. 24965). In tali casi però il ricorso per cassazione proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza di condanna e convertito in appello in applicazione dell'art. 580 c.p.p., conserva la propria natura di impugnazione di legittimità; tuttavia, una volta concluso positivamente il giudizio rescindente, il giudice d'appello riprende la propria funzione di giudice del merito e può adottare le statuizioni conseguenti alla formulazione del giudizio rescissorio devolutogli (Cass. pen., Sez. IV, 24 giugno 2008, n. 37074).

L'esclusione del potere di proporre appello incidentale del P.M. e della parte civile

La seconda previsione di particolare rilievo è certamente costituita, per le sue rilevanti conseguenze di sistema, dalla esclusione del potere di appello incidentale in capo al P.M. e dal mantenimento del rimedio previsto dall'art. 595 solo per l'imputato. La disciplina si rinviene nel rinnovato articolo 595 il cui primo comma prevede ora che «L'imputato che non ha proposto impugnazione può proporre appello incidentale entro quindici giorni da quello in cui ha ricevuto la notificazione prevista dall'articolo 584». L'esclusione del generale potere di appello incidentale del P.M. produce effetti davvero di “sistema” nel panorama delle impugnazioni penali; pur essendo indubbio che l'appello incidentale è strumento poco adottato nella prassi, deve ricordarsi come proprio tale rimedio costituiva, secondo il Legislatore del 1930 sul punto pienamente confermato da quello del 1989, il necessario contrappeso alla previsione del divieto di reformatio in pejus stabilito dall'art. 597 c.p.p. secondo cui quando appellante è l'imputato il giudice di secondo grado non può irrogare una pena più grave per specie o quantità. Il generale potere dell'imputato di sottoporre all'esame del giudice di secondo grado qualunque pronuncia di condanna emessa in esito al primo grado di giudizio, trovava un suo bilanciamento proprio nella possibilità di appello incidentale da parte del P.M.. Questi, infatti, poteva lamentare l'esiguità della pena inflitta e chiederne l'aumento al giudice di appello con il conseguente rischio per l'imputato di vedersi respinta la propria impugnazione ed aumentata la pena; ed in tale rischio stava il contrappeso dell'appello incidentale rispetto al divieto di reformatio in pejus stabilito dall'art. 597 citato.

Eliminando il potere di appello incidentale del P.M., il divieto di reformatio in pejus diventa canone generale del giudizio di appello avverso sentenza di condanna, sia essa emessa all'esito di rito abbreviato che a seguito di rito dibattimentale, assicurando così la certezza all'imputato di non potere essere condannato ad una pena superiore a quella già inflitta in primo grado. Quanto alla ragione di tale eliminazione, nella relazione illustrativa del decreto legislativo viene fatto riferimento alla necessità della individuazione di parametri oggettivi, orientati ad un canone di stretta legalità, in presenza dei quali il pubblico ministero è legittimato all'appello, evitando che impugni solo in conseguenza dell'appello principale dell'imputato, escludendosi l'appello cosiddetto solo antagonista. Deve quindi essere escluso che l'interesse ad impugnare per l'organo dell'accusa nasca solo a seguito della richiesta di riforma avanzata dall'imputato.

Tuttavia va pure aggiunto che non sembra solo questa la ratio della esclusione dell'appello incidentale del P.M.; difatti, ricostruito il giudizio di appello come giudizio critico e di controllo, secondo la nuova disciplina dettata dall'articolo 581 c.p.p. come modificato dalla legge 103 del 2017 e dalla interpretazione già fornita dalle Sezioni unite nella nota pronuncia Galtelli (Cass. pen., Sez. unite, 27 ottobre 2016, n. 8825), sottolineato che lo stesso è strumento diretto alla eliminazione dell'errore, non vi è ragione di mantenere l'appello incidentale del P.M. che ha una struttura e funzione non adatta alla nuova forma dell'appello. Se il giudizio di secondo grado avverso la sentenza di condanna di prime cure deve avere a oggetto, a pena di inammissibilità l'eliminazione dell'errore devoluto attraverso motivi specifici, non vi è più spazio per una impugnazione antagonista poiché essa, per definizione, non attinge un errore ma assume solamente una funzione deterrente e contrapposta, attraverso la prospettazione della possibilità di aumento della pena inflitta in primo grado. L'appello incidentale del P.M. si spiega nell'ottica dell'appello quale passaggio necessario della giurisdizione e non anche in quello del secondo grado quale giudizio critico attivabile solo a seguito di specifici motivi proposti.

Tuttavia, la nuova formulazione prevede una forte limitazione anche per un altro soggetto processuale oltre il P.M., costituito dalla parte civile; per effetto della nuova disposizione, che attribuisce espressamente il potere di appello incidentale al solo imputato, la parte civile perde il potere di proporre appello incidentale e con il quale poteva chiedere la riforma della sentenza di condanna di primo grado in senso a se favorevole. Sul punto, con diverse pronunce, la Corte di cassazione aveva avuto modo di affermare che poiché l'impugnazione dell'imputato contro la pronuncia di condanna penale, giusta la precisazione delimitativa dell'art. 574, comma 4, c.p.p., estende oggettivamente i suoi effetti devolutivi alla pronuncia di condanna al risarcimento dei danni, se quest'ultima dipende dal capo o dal punto gravato, impedendone la parziale irrevocabilità, è legittimamente proponibile dalla persona offesa costituita parte civile l'appello incidentale contro il capo della sentenza di condanna che riguarda l'azione civile e l'entità del danno risarcibile; la parte della sentenza investita dell'appello incidentale risulta infatti logicamente collegata ai capi ed ai punti oggetto dell'impugnazione principale, potendo la parte civile, inizialmente acquiescente, subire indubbiamente dalla modifica di questi una diretta ed immediata influenza negativa (Cass. pen., Sez. IV, 2 febbraio 2010, n. 17560). Il principio era chiaro; devoluta dall'imputato al giudice di appello la possibilità di modificare i punti ed i capi che avevano influenza sulla domanda civile, alla parte civile doveva essere riconosciuta la facoltà di proporre una domanda di riforma della pronuncia di primo grado in senso a sé favorevole per effetto della impugnazione proposta dall'imputato. Così, attraverso il potere di proporre appello incidentale, la parte civile poteva devolvere alla cognizione del giudice di appello penale questioni relative alla mancata liquidazione o entità della provvisionale, alla determinazione del danno, alla possibilità di chiedere in via incidentale al giudice di secondo grado la liquidazione del danno risarcibile ove il primo giudice si fosse limitato alla condanna generica rimettendo le parti al distinto giudizio civile con evidente sacrificio del principio della ragionevole durata. Domande, che trovavano giustificazione, solo in caso di proposizione di appello principale da parte dell'imputato.

Per effetto della nuova formulazione dell'art. 595 c.p.p. la parte civile perde tale potere e sicuramente tale previsione in quanto non allineata con i poteri delle parti esercitabili nel giudizio civile, crea una situazione di squilibrio potenzialmente idonea a prospettare questioni di costituzionalità. Al proposito, valgono le sentenze della corte costituzionale che hanno dichiarato nel 2007 l'illegittimità costituzionale della legge 46 del 2006, sul presupposto della ingiustificabile asimmetria tra le parti introdotte per effetto di quella novella; anche nell'ipotesi della eliminazione dell'appello incidentale della parte civile nel giudizio penale appare profilabile una analoga situazione di disimmetria e cioè di irragionevole difformità di trattamento tra le parti del processo e nel caso di specie tra imputato e parte civile.

Va pertanto sottolineato che l'appello dell'imputato avverso la sentenza di condanna a seguito delle modifiche introdotte dal decreto legislativo, garantisce e rafforza la posizione processuale dello stesso; a fronte di una impugnazione ammissibile, infatti, l'imputato non corre più il rischio né di doversi confrontare con l'appello incidentale del P.M., che in quanto idoneo a far venire meno il divieto di reformatio in pejus lo esponeva alla possibilità di essere condannato ad una pena maggiore in secondo grado, né, alla ulteriore possibilità, di subire un peggioramento delle statuizioni civili di condanna per effetto del gravame incidentale della parte civile.

L'analisi delle predette modifiche può pertanto fare affermare, in conclusione, che l'imputato dopo avere “perso” spazi di azione per effetto della strutturazione del giudizio di appello come giudizio di controllo, di critica, seppur libera, così come risultante dalla importante modifica dell'art. 581 c.p.p., recupera decisamente garanzie per effetto delle ulteriori modificazioni alla disciplina dell'appello introdotte dal decreto legislativo 11/2018 che rafforza il divieto di reformatio in pejus assurto a canone generale. A fronte della sentenza di condanna in primo grado, la posizione processuale dell'imputato non è più suscettibile di modifiche peggiorative in ordine all'entità della pena, a meno che non vi sia stata riqualificazione dei fatti o negazione di aggravanti ad effetto speciale, sicché il giudizio di secondo grado avverso la sentenza di condanna viene essenzialmente strutturato come giudizio critico teso ad assicurare un più favorevole trattamento in presenza del vizio denunciato.

La razionalizzazione del potere di proporre appello in capo al P.M. e al P.G.

La terza ed importante modificazione introdotta dal decreto in commento è costituita dalla razionalizzazione dei poteri di impugnazione di P.M. e P.G.; secondo il nuovo art. 593-bisdenominato Appello del pubblico ministero si prevede che:

«l. Nei casi consentiti, contro le sentenze del giudice per le indagini preliminari, della corte d'assise e del tribunale può appellare il procuratore della Repubblica presso il tribunale.

2. Il procuratore generale presso la corte d'appello può appellare soltanto nei casi di avocazione o qualora il procuratore della Repubblica abbia prestato acquiescenza al provvedimento».

La norma determina la scomparsa dell'appello cumulativo, sino a oggi possibile, proposto da entrambi i rappresentanti dell'accusa di primo e secondo grado e serve, quindi, ad attribuire a ciascuno di essi una possibilità di impugnazione; ove l'appello sia esercitato dal pubblico ministero di primo grado, il procuratore generale presso la corte di appello perde il potere di impugnazione rimanendo così limitata la sua funzione alla sola rappresentazione dell'accusa nel corso del secondo grado di giudizio sull'impugnazione da altri proposta.

Strettamente funzionale a tale nuova previsione è il nuovo art. 166-bis delle disposizioni di attuazione intitolato: Poteri del procuratore generale in materia di impugnazione delle sentenze di primo grado. Secondo detta norma, infatti, «al fine di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni relative all'impugnazione delle sentenze di primo grado, il procuratore generale presso la corte d'appello promuove intese o altre forme di coordinamento con i procuratori della Repubblica del distretto». Posto infatti che il potere di proporre appello del procuratore generale avverso le sentenze di primo grado è limitato alla ipotesi della acquiescenza del P.M. di primo grado, si impone, per evitare l'inutile decorso infruttuoso del termine ad impugnare, la comunicazione interna tra uffici del pubblico ministero di primo e secondo grado, regolata appunto dalle disposizioni rimesse al procuratore generale. Questi dovrà, attraverso apposita circolare, stabilire i termini entro i quali i pubblici ministero di primo grado manifestino o meno la volontà di impugnazione della sentenza di primo grado, facendo in modo da assicurare la possibilità per i rappresentanti del suo stesso ufficio di intervenire in caso di acquiescenza.

Le ulteriori modifiche

A fronte di tali previsioni principali, il recente decreto legislativo ha poi introdotto una serie di ulteriori modifiche da ritenersi di aspetto secondario ma pur sempre rilevanti; limitato il potere dell'imputato di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento. Al fine di deflazionare il carico delle corti di appello, come espressamente segnalato dalla relazione illustrativa del decreto legislativo di riforma delle impugnazioni penali, l'imputato può proporre appello contro le sentenze di proscioglimento solo ove le stesse siano emesse a seguito del dibattimento e con formula diversa da quelle perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso. Pertanto, per effetto della rinnovata disciplina dettata dall'art. 593, comma 2, c.p.p. come modificato, l'imputato perde il potere di appellare le sentenze dibattimentali che lo abbiano prosciolto con formula piena.

Il pubblico ministero può impugnare nell'interesse dell'imputato e cioè per ottenere una statuizione più favorevole di quella pronunciata in primo grado solo attraverso il ricorso per cassazione. Tale modifica è introdotta attraverso la previsione del comma 4-bis all'art. 568 secondo cui: «Il pubblico ministero propone impugnazione diretta a conseguire effetti favorevoli all'imputato solo con ricorso per cassazione». Si tratta di previsione che ha limitato effetto pratico poiché le impugnazioni del P.M. in favore dell'imputato, pur avendo rilevante significato di sistema circa il ruolo dell'accusa nel processo penale, costituiscono un evento rarissimo sicché la previsione assume effetto solo potenziale.

Con la modifica del terzo comma dell'art. 593 c.p.p. vengono introdotte limitazioni al potere di proporre appello da parte del P.M. e dell'imputato in caso di condanna alla sola pena dell'ammenda o di proscioglimento per reati sanzionati con la sola ammenda o con pena alternativa; in questi casi quindi l'unico rimedio avverso la sentenza di primo grado è il ricorso per cassazione. L'inappellabilità è prevista anche per le sentenze di non luogo a procedere relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda o con pena alternativa (art. 428, comma 3-quater, c.p.p.).

Con altra modifica dell'art. 595, e l'introduzione del nuovo comma terzo, viene poi disciplinata la previsione per l'imputato di depositare memorie o richieste scritte entro 15 giorni dalla proposizione dell'appello del P.M. avverso la sentenza di primo grado; il riferimento è chiaramente al caso della sentenza di proscioglimento emessa a seguito del primo grado di giudizio. Il Legislatore, tenuto conto delle introdotte modifiche agli artt. 581 e 603, comma 3-bis, che impongono al P.M. appellante avverso la sentenza di proscioglimento di confrontarsi con le ragioni argomentative della pronuncia impugnata attraverso la proposizione di specifici motivi ed anche di specifiche richieste istruttorie nell'atto di appello, a pena di inammissibilità, ha previsto, quale contrappeso, la specifica facoltà dell'imputato di controdedurre rispetto alle richieste formulate dall'accusa con memorie e richieste scritte sempre che non sia soccombente parziale e possa anche proporre appello incidentale. E quindi, nei casi di proscioglimento con la formula perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso, l'imputato pur privo della facoltà di proporre appello incidentale perché totalmente vittorioso all'esito del primo grado di giudizio, potrà dedurre attraverso memorie e richieste scritte le proprie istanze anche istruttorie al giudice di secondo grado chiamato a valutare la ammissibilità e fondatezza dell'appello del pubblico ministero.

Con la modifica dell'art. 606 si prevede al comma 2-bis che «Contro le sentenze di appello pronunciate per reati di competenza del giudice di pace, il ricorso può essere proposto soltanto per i motivi di cui al comma 1, lettere a), b) e c)». In sostanza il ricorso per cassazione avverso le sentenze pronunciate in grado di appello per reati di competenza del giudice di pace, è limitato ai casi di violazione di legge ed alla inosservanza di norma stabilite a pena di nullità od inutilizzabilità, con esclusione della possibilità di dedurre il vizio di motivazione ovvero la mancata assunzione di prove decisive.

Il nuovo art. 165-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale

Rilevante appare ancora la disposizione introdotta dall'art. 165-bis delle disposizioni di attuazione del c.p.p., mirante a regolamentare i rapporti tra giudici di grado diverso in caso di proposizione di impugnazione, sino ad ora attuati attraverso accordi di fatto spesso poco osservati. Con la nuova previsione, infatti, è fatto obbligo al giudice a quo la formazione del fascicoletto dell'impugnazione che assume efficacia funzionale rispetto allo svolgimento del grado successivo di giudizio. Tutte le previsioni hanno particolare ragione di essere in ragione di una migliore conoscenza delle vicende processuali da parte del giudice del grado successivo. In questa ottica, gli atti da trasmettere al giudice dell'impugnazione devono contenere, in distinti allegati formati subito dopo la presentazione dell'atto di impugnazione, a cura del giudice o del presidente del collegio che ha emesso il provvedimento impugnato, i seguenti dati:

a) i nominativi dei difensori, di fiducia o d'ufficio, con indicazione della data di nomina;

b) le dichiarazioni o elezioni o determinazioni di domicilio, con indicazione delle relative date;

c) i termini di prescrizione riferiti a ciascun reato, con indicazione degli atti interruttivi e delle specifiche cause di sospensione del relativo corso, ovvero eventuali dichiarazioni di rinuncia alla prescrizione;

d) i termini di scadenza delle misure cautelari in atto, con indicazione della data di inizio e di eventuali periodi di sospensione o proroga

A norma poi del secondo comma dello stesso art. 165-bis disp. att. c.p.p.: «Nel caso di ricorso per cassazione, a cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, è inserita in separato fascicolo allegato al ricorso, qualora non già contenuta negli atti trasmessi, copia degli atti specificamente indicati da chi ha proposto l'impugnazione ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), del codice; della loro mancanza è fatta attestazione». La previsione appare strettamente strumentale ad assicurare il rispetto del principio della autosufficienza del ricorso; in tale ottica sarà compito della cancelleria del giudice di appello formare un apposito fascicoletto contenente quegli atti di cui il ricorrente lamenta l'errata interpretazione ovvero il travisamento. Con tale disposizione il legislatore sgrava dall'onere di allegazione la parte ricorrente in cassazione alla quale risulterà sufficiente segnalare gli atti allo stesso giudice a quo.

In conclusione

Attraverso il decreto legislativo 6 febbraio 2018, n. 11, il Governo completa la riforma delle impugnazioni penali; le più recenti modifiche, attraverso l'eliminazione dell'appello del pubblico ministero avverso le sentenze di condanna anche emesse a seguito di dibattimento se non in caso in cui si sia proceduto ad una modificazione della fattispecie contestata in imputazione, l'eliminazione dell'appello incidentale del pubblico ministero e della parte civile, l'esclusione della doppia facoltà di appellare per procuratore della Repubblica e procuratore generale, riequilibrano i poteri delle parti ed indirizzano il giudizio di secondo grado, ancor più efficacemente, verso il controllo della sentenza di primo grado diretto alla eliminazione dell'errore.

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