Immissioni intollerabili e godimento dell'abitazione: la pronuncia delle Sezioni Unite
21 Febbraio 2018
Massima
L'assenza del danno biologico documentato non osta al riconoscimento del danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite, allorché siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali costituzionalmente garantiti e tutelati anche dall'art. 8 Convenzione europea dei diritti dell'uomo (nella specie, la Suprema Corte ha riconosciuto la responsabilità del Comune, per mancato esercizio dei poteri di vigilanza, per l'autorizzazione della posa di un palco in occasione della festa del Santo Patrono, a meno di un metro dall'abitazione durante i festeggiamenti e successivamente non rimosso, configurando una turbativa della vita domestica conseguente a immissioni sonore e luminose). La prova del pregiudizio può essere fornita anche mediante presunzioni. Il caso
li attori in primo grado avevano citato in giudizio il Comune e il Comitato per i Festeggiamenti di San Pantaleo per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti per aver consentito che fosse: a) stato permesso al Comitato di posizionare un palco a meno di un metro dalla propria abitazione, ostacolandone l'accesso, b) stato omesso di farlo smontare, rendendolo base per giochi e schiamazzi della gioventù locale. Il Comune contestò il fondamento della domanda, evidenziando di non aver alcun obbligo di vigilanza. Il Giudice di primo grado rigettò le domande. Il Giudice del gravame riformò la decisione, ritenendo sussistenti le lesioni ai diritti fondamentali degli attori. Ricorrendo per la cassazione della sentenza, il Comune evidenziava, per quanto interessa, che difettava un'attività illegittima della P.A. (non essendo chiesto l'accertamento dell'illegittimità del provvedimento di concessione di suolo pubblico ed essendo i danni evitabili se fossero stati attivati i mezzi di tutela previsti dall'ordinamento) e neppure ricorrevano gli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano, precisamente l'ingiustizia del danno (per mancata impugnativa del provvedimento autorizzatorio), il nesso di causa (tra potere esercitato ed evento di danno, essendo le modalità esecutive sotto la responsabilità esclusiva Comitato) e l'elemento soggettivo (assenza di dolo o colpa della P.A., essendo l'operato legittimo). La questione
La questione è se, emesso legittimamente un titolo autorizzatorio di occupazione di suolo pubblico, la P.A. abbia il dovere di vigilare affinché non si crei una situazione dannosa e se la circostanza possa fondare una richiesta risarcitoria, in caso di negligenza della P.A., avanti il giudice civile. Data risposta affermativa e accertata l'inerzia della P.A., quali danni sono configurabili nel caso di collocazione di un palco a distanza ravvicinata dall'ingresso di un'abitazione? Sussiste una lesione al godimento della propria abitazione? Soprattutto e con particolare riferimento al danno non patrimoniale, in assenza di prova di danno alla salute, le immissioni sonore e luminose possono fondare la richiesta di riparazione di un danno non patrimoniale derivante dallo sconvolgimento dell'ordinario stile di vita? Come si può fornire la prova di tale pregiudizio? Le soluzioni giuridiche
La prima questione concerne la necessarietà, o meno, dell'accertamento dell'illegittimità provvedimento per affermare la responsabilità della P.A. Questa questione è strettamente connessa a quella del difetto di giurisdizione del giudice ordinario a favore di quello amministrativo. La P.A. ha infatti cercato di far valere la legittimità della propria azione e il fatto che gli attori non avevano censurato il provvedimento amministrativo in sé. L'affermazione di responsabilità della P.A. avrebbe presupposto, appunto, l'accertamento dell'illegittimità del provvedimento con giurisdizione del giudice amministrativo e non di quello ordinario.
Al riguardo può apparire una diversità di opinioni: - in precedenza è stato deciso che «sussiste la giurisdizione amministrativa qualora venga dedotta in giudizio la lesione di diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione quando detta lesione sia l'effetto del se e del come della funzione pubblica. (Nel caso in esame veniva riconosciuta la sussistenza della giurisdizione amministrativa poiché erano stati dedotti danni derivanti da immissioni acustiche ed atmosferiche a seguito di lavori pubblici di potenziamento urbanistico)» (Cass. civ., Sez. Un., 7 settembre 2016, n. 17664). Ed ancora: «sussiste la giurisdizione del g.a. sulla domanda di risarcimento del danno derivante dalla compromissione dell'ambiente, reso insalubre a causa del mancato esercizio del potere dell'Amministrazione comunale di organizzazione del servizio pubblico di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani» (Cass. civ., Sez. Un., 28 giugno 2013, n. 16304).
Al giudice amministrativo appartengono le controversie in cui si è in presenza dell'esercizio di potestà pubblicistiche, ancorché incidenti su posizioni giuridiche di diritto soggettivo e sulle connesse domande risarcitorie, eventualmente proposte in via autonoma. - In senso contrario è stato ancora più recentemente (rispetto alla sentenza annotata) confermato che «spetta al g.o. la controversia avente ad oggetto la condanna al risarcimento dei danni patiti dai proprietari di un fondo a seguito dei lavori eseguiti per la costruzione della linea ad alta velocità, poiché si denunciano meri comportamenti, da ritenere illeciti ex art. 2043 c.c., per non avere la P.A. osservato le normali regole di diligenza e prudenza e il principio generale delneminem laedere» (Cass. civ., Sez. Un., 21 settembre 2017, n. 21976). «La domanda diretta ad ottenere l'accertamento dell'illiceità delle immissioni acustichepraticate da un parco giochi gestito da un privato sulla confinante proprietà, nonché la rimozione delle relative opere poste in essere dall'amministrazione comunale nell'ambito della destinazione urbanistica dell'area a verde pubblico, e, infine, il risarcimento dei danni alla persona subiti, rientra nella giurisdizione del g.o., in quanto volta alla tutela dei diritti soggettivi lesi dalle immissioni, senza investire alcun provvedimento amministrativo, essendo, d'altra parte, la p.a. priva di qualsiasi potere di affievolimento del diritto alla salute, garantito dall'art. 32 cost.» (Cass. civ., Sez. Un., 27 febbraio 2013, n. 4848).
Con la sentenza annotata, la Suprema Corte ha messo in evidenza che nel caso concreto il petitum non riguardava la censura dell'esercizio del potere amministrativo concretizzatosi nell'emissione del procedimento di concessione di suolo pubblico, bensì la denuncia del mancato esercizio di poteri di vigilanza su come sarebbe stato utilizzato il palco durante i festeggiamenti e nei giorni successivi. Aggiungiamo, quindi, che la censura riguardava non l'esercizio di un potere pubblicistico, ma la violazione di regole privatistiche di comportamento, che imponevano un obbligo di vigilanza. Oggetto del giudizio era la lesione della sfera patrimoniale e non patrimoniale degli attori, a causa dell'attività del Comitato assentita dal Comune e da questi non adeguatamente vigilata in tutto il suo svolgimento. La richiesta di tutela riguardava la protezione esclusivamente di diritti assoluti e non di interessi legittimi. Pertanto, oggetto del contendere non era la legittimità del provvedimento autorizzatorio, che avrebbe potuto integrare un caso di giurisdizione esclusiva, in cui il giudice amministrativo, adito per la lesione di un interesse legittimo, può conoscere anche le controversie risarcitorie per lesione di diritti soggettivi.
La seconda questione, di maggior interesse, è quella del risarcimento del danno non patrimoniale da lesione del diritto al pacifico godimento della propria abitazione in caso di immissioni intollerabili e in assenza di danno biologico accertato. L'importanza della decisione delle Sez. Un. sta nel fatto che riconosce il c.d. diritto alla tranquillità domestica o, meglio, avalla l'orientamento più recente che, a talune condizioni, ammette la configurabilità e la risarcibilità di tale pregiudizio:
a) Da una parte, si esclude la risarcibilità dei meri disagi o fastidi «in materia di danni e risarcimento, con riguardo al danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. esso deve essere riconosciuto - fermo restando la sussistenza di tutti gli altri requisiti richiesti ai fini del perfezionamento della fattispecie illecita, oltre che nei casi specificamente previsti dal legislatore - quando viene leso un diritto della persona costituzionalmente tutelato. In particolare, la lesione deve riguardare un interesse di rilievo costituzionale; l'offesa deve essere grave - nel senso che debba superare una soglia minima di tollerabilità - ed il danno deve essere risarcito quando non sia futile, vale a dire riconducibile a mero disagio o fastidio. Detti principi trovano applicazione anche in favore del danneggiato che non sia persona fisica bensì un ente (nel caso di specie, il pregiudizio discende non solo dalla commissione di un delitto (accertata in concreto), ma anche dalla lesione di un diritto costituzionalmente tutelato»)(Trib. Milano, 10 luglio 2015, n. 8536). «In tema di responsabilità per fatto illecito, rientra tra i principi informatori della materia, ai quali è tenuto ad uniformarsi il giudice di pace nel giudizio di equità, quello di cui al disposto dell'art. 2059 cod. civ., il quale, secondo una lettura costituzionalmente orientata, non disciplina un'autonoma fattispecie di illecito, produttiva di danno non patrimoniale, distinta da quella prevista dall'art. 2043 cod. civ., ma regola i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, tra cui va annoverata la necessità - anche in caso di lesione di diritti costituzionali inviolabili, presieduti dalla tutela minima risarcitoria - che la lesione sia grave e che il danno non sia futile. (Nella specie, la S.C. confermando la sentenza impugnata, ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni asseritamente derivanti dal disagio provocato all'attrice dalla lunga attesa, di oltre sei ore, in una piazzola autostradale per il guasto del mezzo correlato al rifornimento del carburante rivelatosi inidoneo, dovendo tali pregiudizi ricondursi a quegli sconvolgimenti della vitaquotidiana ritenuti non meritevoli di tutela risarcitoria)» (Cass. civ, sez. III, 16 dicembre 2014, n. 26367; Cass. civ, sez. III,9 aprile 2009, n. 8703). «Il danno non patrimoniale consistito nel mero disagio psichico, sofferenza o stress, là dove non ricorra alcuna delle ipotesi in cui la legge consente espressamente la risarcibilità del danno non patrimoniale, è risarcibile alla sola condizione che l'interesse leso dal fatto illecito (e non il pregiudizio derivatone) abbia rilievo costituzionale, la sua lesione sia stata grave e le conseguenze derivatene siano state serie. Non è, pertanto, meritevole di tutela risarcitoria il disagio causato dalla ricezione di reiterati avvisi di pagamento del canone Rai, per quanto illegittimamente inviati» (Cass. civ., Sez. Un., 19 agosto 2009, n. 18356; Cass. civ., sez. III, 4 giugno 2009, n. 12885).
b) Dall'altra, si nega l'esistenza di un diritto costituzionalmente protetto alla tranquillità domestica: «non ha diritto al risarcimento a titolo di danno morale il vicino che vede disturbata la propria tranquillità domestica a causa dei rumori provenienti da un ristorante attiguo alla sua abitazione. Affinché ricorra l'ipotesi di cui all'art. 2059 c.c. occorre dimostrare la sussistenza di un fatto illecito che costituisce reato o la lesione di un valore della persona tutelato dalla Costituzione. Nella specie, il superamento della soglia per le immissioni acustiche imposta dalla l. n. 447/95 configura solo un illecito amministrativo e, da solo, non integra di per sé il reato ex art. 659 c.p. ("Disturbo del riposo delle persone"); né l'ipotesi risarcitoria può trovare fondamento nell'art. 2 cost., atteso che il diritto alla tranquillità domestica non rientrare in tale norma» (Cass. civ., sez. II, 8 marzo 2010, n. 5564).
c) Dall'altra, ancora, la giurisprudenza più recente riconosce il diritto al godimento della propria abitazione: «deve essere riconosciuto il diritto ad ottenere un risarcimento a titolo di danno esistenziale determinato da immissioni moleste di fumo di sigarette ai componenti di una famiglia che, abitando sopra un bar frequentato da molti fumatori, non può vivere liberamente nel proprio appartamento, in quanto la presenza degli impianti di filtraggio collocati proprio sotto le finestre dell'abitazione ne impedisce l'apertura» (Cass. civ., sez. III, 31 marzo 2009, n. 7875; Cass. civ., Sez. Un., 23 febbraio 2013, n. 4848). «L'accertata esposizione ad immissioni sonore intollerabili può determinare una lesione del diritto al riposo notturno e alla vivibilità della propria abitazione, la cui prova può essere fornita dal danneggiato anche mediante presunzioni sulla base delle nozioni di comune esperienza. (Nella specie, le immissioni sonore - costituite da musica ad alto volume e altri schiamazzi "clamorosamente eccedenti la normale tollerabilità" in orario serale e notturno - avevano determinato una lesione, non futile, al diritto al riposo notturno per un periodo di almeno tre anni)» (Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 2014, n. 26899). Diretto precedente alla decisione annotata si ha nel 2015: «A fronte di immissioni intollerabili – considerate tali in ragione del superamento della soglia codicistica di cui all'art. 844 c.c., che tiene conto delle peculiarità della situazione concreta e prescinde dal rispetto dei limiti di cui alla normativa tecnica – può farsi luogo al risarcimento del danno non patrimoniale, anche in assenza di lesione alla salute tale da determinare un danno biologico, in quanto ricorra la violazione di un interesse costituzionalmente protetto, quale il diritto – riconosciuto dall'art. 8 Cedu - al rispetto della vita privata e familiare» (Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 2015, n. 20927; in tal senso, v. anche Trib. Milano, sent. n. 9733/2012). Più di recente, «il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite è risarcibile indipendentemente da un danno biologico "documentato", quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti; ne consegue che, considerata la natura del pregiudizio oggetto di tutela, la relativa prova può essere fornita anche mediante presunzioni, sulla base delle nozioni di comune esperienza (fattispecie relativa al risarcimento riconosciuto ad una coppia di coniugi a causa delle immissioni sonore intollerabili provenienti da un locale)» (Cass. civ., sez. II, 4 luglio 2017, n. 16408).
Come anticipato, la sentenza annotata dà seguito a quest'ultimo orientamento, riconoscendo il diritto al pacifico godimento della propria abitazione, che, se leso, può dar luogo alla riparazione del danno non patrimoniale. Rileva la Suprema Corte che il referente normativo della lesione al godimento della propria abitazione è l'art. 42, comma 2, Cost., che tutela la proprietà privata e detta i limiti per la compressione di questo diritto. A tale circostanza segue l'osservazione che il fatto posto a base della decisione impugnata (ossia che, sebbene l'abitazione fosse dotata anche un accesso secondario, questo era di dimensioni esigue e non sufficienti al concreto uso) «non è stata specificamente contestata». L'ulteriore passaggio logico riguarda la prova del danno alla salute. Non essendo stato fatto valere un danno alla salute conseguente ad immissioni illecite, bensì un pregiudizio non patrimoniale allo svolgimento dell'ordinario stile di vita, la decisione annotata espressamente ritiene che «va data continuità all'indirizzo interpretativo di recente espresso in sede di legittimità». Pertanto, il danno non patrimoniale derivante da immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione ed al diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita familiare. Infatti, si tratta di diritti costituzionalmente garantiti e tutela anche dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
La prova di tale pregiudizio può essere fornita anche mediante presunzioni, sulla base delle nozioni di comune esperienza. Nella fattispecie la dimostrazione del pregiudizio è stata ricavata dall'esame della natura e dell'entità delle immissioni, «con ragionamento non specificamente censurato». Osservazioni
Sulla questione principale della configurazione di una lesione al godimento della propria abitazione, la motivazione appare piuttosto stringata. Infatti, il referente normativo viene laconicamente individuato nell'art. 42, comma 2, Cost., secondo cui «la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti». A stretto rigore la norma non tutela il diritto alla tranquillità domestica e la motivazione in sè potrebbe suscitare perplessità, tenendo a mente che, come noto, le celebri sentenze gemelle del 2003 (Cass. civ, sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827 e Cass. civ, sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828) e le successive sentenze di San Martino del 2008 (Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, nn. 26972-5) avevano fornito un'interpretazione adeguatrice dell'art. 2059 c.c. In particolare e per quanto interessa, era stato chiarito che, in assenza di un reato o di altra ipotesi prevista dalla legge, per risarcire il danno non patrimoniale era necessario che venisse «leso un diritto inviolabile della persona» e la protezione così assicurata era limitata agli «interessi di rilievo costituzionale non aventi natura economica». Escluse la configurazione di un reato e la lesione di un diritto costituzionalmente garantito della persona (in assenza di danno alla salute l'art. 32 Cost. non è invocabile; l'art. 2 Cost. non prevede il diritto alla tranquillità domestica), l'altra norma di riferimento è, in tesi, l'art. 844 c.c., che, però, storicamente regola i rapporti tra privati e non tutela (almeno direttamente) il diritto alla salute (per un maggior approfondimento, si veda anche A. BENNI DE SENA, Risarcimento del danno da immissioni, in Ridare.it e MENGA, infra; CARBONE, infra).
Si comprende, allora, che la sentenza annotata non sembra dare adeguatamente conto dell'assetto consegnato nel 2003 e nel 2008, che ha avuto l'effetto positivo di evitare la moltiplicazione dei danni non patrimoniali e di arginare il riconoscimento incontrollato di danni futili o bagatellari.
A prescindere da quest'ultimo aspetto (rimane comunque da vagliare l'esistenza di un danno apprezzabile e non futile), la decisione pare ammettere la tutela risarcitoria non patrimoniale anche per il diritto di proprietà, segnatamente per la compressione del diritto sotto il profilo della lesione al godimento della propria abitazione. E questo collegando l'art. 42 Cost. al diritto all'ordinario svolgimento della vita. Il che, come detto, non è così immediato.
In realtà, la Suprema Corte in poche righe ha combinato due fonti normative, l'una nazionale, l'altra sovranazionale: l'art. 42 Cost e l'art. 8 CEDU. Tale operazione ermeneutica è densa di significato e di implicazioni. L'art. 8 della CEDU, intitolato «Diritto al rispetto della vita privata e familiare», recita che «ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui». Occorre ricordare che anche la Carta di Nizza è protesa alla tutela della sfera personale dell'individuo in modo per nulla dissimile. L'art. 7, intitolato «Rispetto della vita privata e della vita familiare, afferma che ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni». L'art. 17, sul diritto di proprietà, sancendo il diritto di godere e disporne e lasciare in eredità i beni legalmente acquistati, ricorda che l'uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall'interesse generale. A ben vedere tali norme sovranazionali tutelano qualcosa di specifico, che non sembra affatto essere il diritto all'ordinario svolgimento della vita. Esse sembrano tutelare la vita privata sì, ma quale modalità di vita espressione della privacy. Non a caso, l'art. 33, comma 2, della stessa Carta, intitolato “Vita familiare e vita professionale” pare volto a conciliare il rapporto tra le due, prevedendo la tutela contro il licenziamento per un motivo legato alla maternità e prevedendo il diritto a congedi. L'art. 17 già richiamato sulla proprietà privata non reca la previsione di un diritto all'ordinario svolgimento della vita privata. Le norme sovranazionali, dunque, non sembrano tutelare il diritto di proprietà come inteso in sentenza. Quindi, individuare il referente normativo costituzionale nell'art. 42, comma 2, rimane ancora dubbio. Infatti, cosa sarebbe accaduto se si fosse trattato di un diritto personale di godimento oppure di un'occupazione senza titolo? Per riconoscere tutela a tali posizioni occorre riconoscere che il diritto garantito non è quello proprietario in sé e per sé, ma una sua manifestazione accidentale (ossia il diritto di svolgervi la vita privata) comune ad altre fattispecie di godimento. A riprova, il processo ermeneutico in esame non consente di estendere la tutela anche al caso di un immobile destinato ad un uso diverso da quello abitativo (sotto il profilo del diritto a svolgere serenamente la propria vita lavorativa, ove il lavoro ha una grande valenza umana nel nostro ordinamento, ad esempio si vedano gli artt. 1, 3, 4, 35 Cost.).
Oggetto di tutela è la persona e non (il godimento del)la res. L'impostazione pare corretta, confermandosi dubbia l'individuazione del referente normativo nell'art. 42 Cost. sulla proprietà. Allora, in assenza di una fattispecie penale (ad esempio, l'art. 659 c.p. Disturbo dell'occupazione e del riposo delle persone) o di prova di un danno biologico, si concorda con chi ritiene che il diritto alla tranquillità domestica non sia tutelato dalla Costituzione (PONZANELLI, infra). Solo le prime due ipotesi (rilevanza penale e lesione all'integrità psico-fisica) consentono di filtrare situazioni rilevanti per l'ordinamento ai fini della tutela risarcitoria. Opinare diversamente spinge ad interrogarsi sull'annosa questione della funzione della responsabilità aquiliana e, in particolare, del risarcimento del danno non patrimoniale da immissioni. Se la responsabilità civile risponde tradizionalmente ad una liability rule, il caso affrontato finisce per individuare una property rule, decisamente molto più incisiva dell'azione aquiliana. Ed ancora più penetrante se si pensa ad altra ricaduta pratica: nel caso di azione inibitoria, oggi, si potrebbe far valere un diritto proprietario decisamente rafforzato, non limitato alla sua mera e tipica natura economica. Infatti, le regole che presiedono alla tutela di situazioni soggettive connesse ad una risorsa scarsa vengono distinti, in base alla dottrina giureconomica nordamericana e alla c.d. griglia di Calabresi e Melamed, in property rules e liability rules. Le prime garantiscono al titolare della posizione una tutela piena mediante il mantenimento dell'assetto locativo. Le seconde permettono l'appropriazione della risorsa scarsa anche senza il consenso dell'avente diritto, che deve essere compensato della perdita subita, sulla base di una valutazione astratta compiuta dal giudice facendo riferimento a criteri collettivamente determinati (M.R. MARELLA, La riparazione del danno in forma specifica, Padova, 2000, 6 ss.).
È evidente che la liability rule, per costituire un deterrente, deve costituire un costo elevato per il danneggiante, svolgendo una funzione sanzionatoria e di prevenzione accanto alla tradizionale funzione riparatoria. Un basso costo renderà conveniente o accettabile il rischio di danneggiare. La property rule, invece, potrebbe garantire al titolare una tutela piena in ordine al mantenimento, nel nostro caso, della tranquillità domestica. L'effetto dell'orientamento giurisprudenziale annotato è quello di espandere notevolmente l'ambito oggettivo del diritto di proprietà, più correttamente del diritto di abitazione (non in senso tecnico, ma nel senso di svolgere la propria vita in modo tranquillo ed ordinario).
La particolarità del caso concreto potrebbe fa indulgere sull'esistenza del diritto alla tranquillità domestica (dato che un palco sarebbe stato posto a meno di un metro dall'accesso all'abitazione e sarebbe stato mantenuto per un periodo successivo al termine dei festeggiamenti). Si tratterebbe, quasi, di “un'invasione” o meglio di una limitazione larvata del proprio diritto di proprietà.
Non si può sottacere che, dal punto di vista processuale, la decisione si basa, per ben due volte, su una mancata specifica contestazione da parte del ricorrente: prima, non era stata contestata la base fattuale della sentenza gravata (ossia che, sebbene l'abitazione fosse munita anche di un accesso secondario, questo era di dimensioni esigue e spesso neppure sufficienti al concreto uso), dopo, che il ragionamento con cui si era riconosciuto il pregiudizio dall'esame della natura e dell'entità delle immissioni sonore e luminose non era stato specificamente censurato. È lecito domandarsi, quindi, se una diversa impostazione avrebbe portato ad un epilogo diverso o, almeno, più sfaccettato.
In ogni caso, «l'orientamento emerso imporrà ai Giudici un rilevante impegno, in quanto, esclusa la risarcibilità del generico danno alla tranquillità di vita, dovranno in concreto individuare il margine di apprezzamento tra un “diritto” immaginario e un diritto costituzionalmente garantito, quando, è bene ricordarlo, si sia in presenza di accertate immissioni intollerabili e in assenza di un danno alla salute». Parallelamente anche l'avvocato dovrà fornire quanti più elementi possibili e utili a tale fine, come pure l'avversario dovrà svolgere un'adeguata contestazione. La decisione della Suprema Corte non pregiudica la questione della risarcibilità del danno sotto il profilo del requisito della serietà dell'offesa. Ammesso il diritto, occorre sempre collocarne, poi, l'asserita lesione nella struttura dell'illecito aquiliano, con relativo onere della prova di tutti gli elementi richiesti. Come noto, dal concetto di antigiuridicità del comportamento lesivo (derivante dalla violazione del dovere generale del neminem laedere) si è passati al concetto di antigiuridicità della lesione (derivante da una condotta che lede ingiustificatamente un interesse altrui). Si è persa la funzione sanzionatoria sottesa alla prima concezione, a favore della funzione riparatoria della responsabilità civile. «L'antigiuridicità rimane un aspetto essenziale dell'illecito aquiliano; ma la valutazione di antigiuridicità o ingiustizia verte direttamente sul danno sofferto dal soggetto leso. Come dalla lettera dell'art. 2043 c.c., il danno ingiusto è l'elemento primario del fatto illecito, ed insieme il criterio fondamentale per la selezione dei danni che giustificano una pretesa di risarcimento» (così, G. IUDICA – P. ZATTI, Linguaggio e regole del diritto privato, Padova, 2017, 460).
Il rischio, trattandosi di immissioni e di rapporti di vicinato caratterizzati dalla reciprocità, è di impedire, a sua volta, al proprietario vicino le operazioni più essenziali alla vita quotidiana e all'economia fondiaria. In astratto potranno costituire fonte di immissioni intollerabili e lesive della proprietà privata i mercati settimanali (con rumori e limitazioni agli accessi e alla viabilità), i cantieri per le opere pubbliche e/o private, le manifestazioni culturali pubbliche, etc. Queste ipotesi sicuramente comportano disagi, ma sono dettate dalla necessità o dall'utilità generale e come tali devono essere tollerate, salvo che singole condotte cagionino una lesione meritevole di essere ristorata. Oggi la soglia di rilevanza di posizioni rilevanti ai fini della tutela aquiliana (in assenza di reato e di danno alla salute) sembra essere rimessa al prudente apprezzamento del Giudice.
Paradossalmente, posto che le immissioni sono inevitabili, il vicino si troverebbe di fronte al dilemma tra avvalersi del proprio diritto o di violare quello altrui. Come nel Mercante di Venezia, fino ad una libbra di carne di Antonio è il diritto di Shylock, una goccia di sangue versata è un delitto.
BELLI G., Immissioni intollerabili e serenità personale: quale interesse è meritevole di tutela?, in La responsabilità civile, Torino, 2012, 8-9, 610-615; CARBONE V., Il diritto vivente delle “immissioni”: intollerabile è anche il danno alla tranquillità familiare pur se non si misura in decibel, in Danno e resp., 2016, 22; DINISI A., Immissioni intollerabili e danno non patrimoniale da lesione del diritto al godimento dell'abitazione, in Resp. civ. prev., 2017, 824; MAZZOLA M. A., Immissioni e risarcimento del danno, Torino, 2009; MENGA E., Immissioni acustiche e danno non patrimoniale: quale tutela per il diritto al riposo notturno e alla serenità domestica, in Danno e resp., 2015, 917; PONZANELLI G., Le immissioni intollerabili e il rimedio del danno non patrimoniale, in Danno e resp., 2010, 776; TAMMARO E., Prova e danno nelle immissioni, Padova, 2014; TAMPIERI M., Immissioni intollerabili e danno alla persona, Giuffrè, 2006; TUFARIELLO V., Il danno da immissioni, Torino, 2012; ZIVIZ P., Le immissioni intollerabili al vaglio dei principi delle sezioni unite, in Resp. civ. e prev., 2012, 115
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