Divorzio privato: inapplicabile il Regolamento Roma III

27 Febbraio 2018

La Corte di Giustizia europea si è pronunciata in merito all'ambito di applicazione del Reg. n. 1259/2010; in particolare si è domandata se la predetta normativa europea sia applicabile anche ai divorzi non pronunziati dal Giudice ma da altro soggetto, in conformità alla legge straniera teoricamente applicabile ai sensi dell'art. 1 Reg Ue n. 1259/2010 (nella fattispecie si trattava di divorzio per dichiarazione unilaterale di uno dei coniugi dinanzi a un tribunale religioso).
Massima

Non ricade nella sfera di applicazione ratione materiae del Regolamento (UE) n. 1259/2010, relativo all'attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, il divorzio risultante da una dichiarazione unilaterale di uno dei coniugi dinanzi a un tribunale religioso.

Il caso

Il sig. Ra.Ma. e la sig.ra So.Sa. si sono sposati nel distretto del Tribunale islamico di Homs (Siria). Entrambi possiedono la cittadinanza siriana dalla nascita nonché la cittadinanza tedesca. Fino al 2003 hanno vissuto in Germania e successivamente si sono trasferiti in Siria. Attualmente vivono in Germania in domicili diversi. Il 19 maggio 2013, il sig. Ra.Ma. ha dichiarato di voler divorziare dalla moglie e il suo rappresentante ha pronunciato la relativa formula dinanzi al Tribunale religioso della sharia di Latakia. In tale circostanza, la sig.ra So.Sa. ha rilasciato una dichiarazione firmata, relativa al ricevimento delle prestazioni dovute ai sensi della legislazione religiosa.

Il 30 ottobre 2013, il sig. Ra.Ma. ha chiesto il riconoscimento della decisione di divorzio pronunciata in Siria. Con decisione del 5 novembre 2013, il presidente dell'Oberlandesgericht München (Tribunale regionale superiore di Monaco di Baviera) ha accolto tale domanda, constatando che ricorrevano i presupposti per il riconoscimento. Il 18 febbraio 2014, la sig.ra So.Sa. ha chiesto l'annullamento della decisione.

La questione

Con decisione del 2 giugno 2015, l'Oberlandesgericht München ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte di giustizia dell'Unione europea diverse questioni pregiudiziali aventi ad oggetto l'interpretazione del Regolamento (UE) n. 1259/2010 del Consiglio, relativo alla legge applicabile al divorzio e alla separazione personale.

Con la prima questione si chiede alla Corte di chiarire se le disposizioni del Regolamento comprendano i divorzi qualificati quali “privati”, nella misura in cui essi siano fondati su una dichiarazione di volontà dei coniugi, unilaterale o reciproca, eventualmente con il concorso di natura meramente declaratoria di un'autorità straniera. Le altre questioni concernono l'art. 10, Reg. (UE) n. 1259/2010, norma che permette di applicare la lex fori laddove la norma straniera generi una discriminazione fra i coniugi a causa del loro sesso.

Questione cruciale è se l'effetto discriminatorio debba essere valutato in astratto o in concreto, poiché nella seconda ipotesi sarà necessario determinare se il consenso eventualmente prestato al divorzio da parte del coniuge discriminato consenta comunque di applicare la legge straniera discriminante.

Le soluzioni giuridiche

Preliminarmente è utile rilevare che il Giudice nazionale non è stato adito per una domanda di divorzio, ma per il riconoscimento di una decisione di divorzio pronunciata da un'autorità religiosa in uno Stato terzo. Proprio per il caso all'esame, la Corte, con ordinanza del 12 maggio 2016 si è dichiarata manifestamente incompetente a statuire poiché il riconoscimento di una decisione di divorzio emanata in uno Stato terzo non rientra nel diritto dell'Unione.

Tuttavia, anche se tutti i fatti di cui al procedimento principale non ricadano direttamente in tale àmbito di applicazione, l'interpretazione di una disposizione di diritto europeo può risultare necessaria nel caso in cui la disposizione, sebbene le situazioni si collochino all'interno di un solo Stato membro, è resa applicabile dalla normativa nazionale.

Difatti, a sostegno della sua domanda, il Giudice tedesco sottolinea che i divorzi pronunciati in uno Stato terzo sono riconosciuti in Germania nel contesto della procedura prevista dall'articolo 107 «Riconoscimento delle decisioni straniere in materia matrimoniale» del Gesetz über das Verfahren in Familiensachen und in den Angelegenheiten der freiwilligen Gerichtsbarkeit (“FamFG” - legge sul procedimento nelle cause in materia familiare e nelle questioni di volontaria giurisdizione). Ai sensi di questa disposizione, il riconoscimento delle decisioni di un Giudice straniero in termini costitutivi è concesso in assenza di un esame di legittimità, mentre il riconoscimento dei divorzi privati è subordinato al controllo di validità alla luce del diritto materiale dello Stato designato dalle pertinenti norme sui conflitti di leggi.

Con riguardo a quest'ultimo profilo, dall'entrata in vigore del Regolamento (UE) n. 1259/2010, essendo stata soppressa la precedente disposizione, ai fini del riconoscimento in Germania di un divorzio privato pronunciato in uno Stato terzo, i presupposti nel merito che devono essere soddisfatti da tale divorzio sono esaminati alla luce del diritto dello Stato determinato sul fondamento dello stesso regolamento.

La Corte rileva che nessuna disposizione del Regolamento in parola fornisce una definizione della nozione di divorzio. Sebbene il divorzio pronunciato da autorità privata non sia escluso in modo esplicito dall'àmbito di applicazione del Regolamento (UE) n. 1259/2010, numerose sue disposizioni attribuiscono un ruolo centrale all'intervento di un'autorità giurisdizionale e all'esistenza di un procedimento ai fini dello scioglimento del vincolo matrimoniale. Inoltre, alla luce del considerando n. 10 dello stesso Regolamento, la sua sfera di applicazione ratione materiae e le sue disposizioni dovrebbero essere coerenti con il Regolamento (UE) n. 2201/2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale.

Com'è noto, ai sensi dell'art. 1, par. 1, lett. a, Reg. (UE) n. 2201/2003, esso «si applica, indipendentemente dal tipo di autorità giurisdizionale, (…) al divorzio». Inoltre, l'art. 2, punto 4, Reg. (UE) n. 2201/2003 definisce la nozione di «decisione» come relativa a «una decisione di divorzio (…) emessa dal Giudice di uno Stato membro (…), a prescindere dalla denominazione usata per la decisione, quale ad esempio decreto, sentenza o ordinanza».

La Corte conclude, dunque, affermando che i divorzi privati non ricadono nella sfera di applicazione ratione materiae del Regolamento(UE) n. 1259/2010, anche alla luce della circostanza che, all'epoca della sua adozione, negli ordinamenti giuridici degli Stati membri partecipanti alla cooperazione rafforzata, solo organi di natura pubblica potevano adottare in materia decisioni munite di valore giuridico.

Così, secondo la Corte, la decisione di procedere ad una eventuale inclusione dei divorzi di natura privata nell'àmbito di applicazione del regolamento spetta unicamente al legislatore dell'Unione a seguito di un dibattito formale e di un'analisi approfondita delle implicazioni concrete che tale operazione potrebbe avere con riferimento ai diversi sistemi giuridici degli Stati membri partecipanti e tenuto conto delle peculiarità delle diverse forme possibili di divorzi privati, alcune delle quali riecheggiano l'istituto del ripudio.

Osservazioni

Concludendo per l'esclusione dei divorzi privati (da non confondere con i casi di divorzi non giudiziari, nei quali il Giudice è sostituito da un'altra autorità pubblica) dall'ambito di applicazione del Regolamento, la Corte ha evitato di pronunciarsi sulle altre questioni all'esame, per il vero più spinose.

Come abbiamo chiarito, il Regolamento (UE) n. 1259/2010 è normalmente inteso a designare la legge applicabile al divorzio nelle situazioni caratterizzate da un elemento di estraneità, qualora un'autorità giurisdizionale di uno degli Stati membri partecipanti sia investita di una domanda di divorzio e non del riconoscimento di una decisione di divorzio come risulta, nella sentenza in commento, dall'attuazione delle norme di diritto tedesco.

Dunque, nell'àmbito “normale” di applicazione del regolamento, il divorzio non è stato ancora pronunciato, parendo complicato stabilire se la designazione della legge, ai sensi degli artt. 5 o 8, Reg. (UE) n. 1259/2010, realizzerà in concreto un effetto discriminatorio.

Un'applicazione rigida e di chiusura del diritto internazionale privato, che nel caso all'esame renderebbe competente la lex fori, impedisce la continuità dei rapporti e degli status, delineandosi una situazione giuridica claudicante che esiste in un ordinamento straniero e non in Italia e può produrre effetti ulteriori ai sensi della legge straniera o della legge interna richiamata. Nell'ordinamento francese questo pensiero ha trovato concreta applicazione in alcune decisioni della Cour de cassation (ad esempio, Douabi, 3 luglio 2001) con le quali, riconoscendosi il ripudio, si è escluso il rilievo del principio di uguaglianza tra coniugi con riguardo ad istituti del diritto islamico. Tutti questi sono problemi di adattamento anche, e soprattutto, materiali.

L'influsso delle norme costituzionali sul diritto internazionale privato si delinea innanzitutto rispetto alla questione della congruenza dei criteri di collegamento scelti dal legislatore. Questo problema è stato risolto dalla Corte costituzionale italiana trent'anni fa con due sentenze del 1986 che seguivano un celeberrimo intervento del Bundesverfassungsgericht del 1971, con cui il Giudice delle leggi ha parzialmente dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 18 e 20 delle preleggi che riguardavano il favor, in materia di criteri di collegamento, della legge nazionale rispettivamente del marito e del padre. Oggi la nuova legge di diritto internazionale privato risponde all'esigenza di evitare che i criteri di collegamento possano discriminare i soggetti di un rapporto.

Il punto problematico invero è un altro, e consiste nel chiedersi in che misura il diritto straniero richiamato deve rispettare i diritti dell'uomo. Questa questione è sorta, tra l'altro, in seno all'Institut de Droit International ed è stata posta al centro dell'attenzione in seguito ad un rapporto formulato dal prof. Lagarde sul tema delle differenze culturali ed ordine pubblico nel diritto internazionale privato, con riferimento in particolare a quelli che sono stati definiti “conflitti di civilizzazione” nel campo del diritto di famiglia. Il prof. Lagarde ha suggerito che la soluzione di questi problemi impone sempre e comunque scelte di politica legislativa e sociale da parte dello Stato in causa, scelte che sono alla base di qualsiasi soluzione macroeconomica della questione.

Tali scelte sono discrezionali e ci sono almeno tre aspetti che vanno tenuti presenti: il rispetto delle identità culturali, i diritti dell'uomo e il principio della laicità dello Stato. Degna di menzione è la parte C, relativa al divorzio, della risoluzione dell'Institut de Droit International, adottata a Cracovia il 25 agosto 2005. Se dal dibattito fosse derivato, invece, che le norme sulla tutela dei diritti dell'uomo sono norme di ordine pubblico e vanno rispettate “sempre e a prescindere”, il diritto internazionale privato non avrebbe più ragione di esistere. Scomparirebbe tutta l'articolazione del mondo in subsistemi normativi autonomi dotati di valori diversi che vanno al contrario ampiamente salvaguardati perché la ricchezza dell'umanità sta nella rivalutazione dei valori culturali alternativi. Sarebbe sufficiente qualificare come rientrante nell'ordine pubblico il principio di non discriminazione e non potremmo più applicare il diritto straniero.

Invero, le norme imperative di diritto internazionale generale a tutela dei diritti dell'uomo sono molto poche. I diritti dell'uomo sono largamente e storicamente condizionati e nella maggior parte dei casi occorre un contesto sociale omogeneo che dia vita a certi valori, in qualche modo largamente condivisi, perché i diritti ad essi corrispondenti vengano enfatizzati come tali. Per lo più si tratta di norme convenzionali che, limitatamente al loro àmbito di applicazione, producono certamente obbligazioni solidali. Tuttavia, quando si confrontano diverse culture bisogna essere molto cauti. Sicuramente, per quanto riguarda il diritto internazionale privato, molti di questi diritti sono di incerta applicazione.

Le norme della Convenzione europea dei diritti dell'uomo che incidono nel campo del diritto internazionale privato sono l'art. 8 CEDU, sul diritto al rispetto della vita privata e familiare, l'art. 12 CEDU, sul diritto alla famiglia, l'art. 14 CEDU, sul divieto di discriminazioni e l'art. 5 del settimo protocollo aggiuntivo CEDU, sul diritto di uguaglianza tra coniugi durante il matrimonio e nei rapporti con i figli. Per la maggior parte dei casi queste posizioni sono garantite nei limiti previsti dalla legge e comportano sempre eccezioni che sono possibili nell'àmbito di una società democratica. Il riferimento alla legge, se applicato correttamente anche alla legge straniera, determina delle larghe possibilità di espansione. Difatti, non si comprende la ragione per cui questa riserva di legge non debba comportare accresciute possibilità di “tutela” del diritto straniero che potrebbe essere portatore di valori diversi.

È opinione diffusa, ma questo è un escamotage del quale si può discutere, che tali diritti non sarebbero così assoluti ma avrebbero una valenza dispositiva nel senso che le violazioni sarebbero comunque sanate dal consenso della persona offesa, perché i presunti diritti universali non sempre corrispondono ai bisogni degli individui che si rivolgono ai Tribunali.

Nell'ipotesi del ripudio, ad esempio, in caso di accordo della donna, non andrebbe tutelato il valore in assoluto ma la posizione dell'individuo. Se la donna chiedesse essa stessa il riconoscimento del ripudio o vi prestasse acquiescenza, potrebbe ammettersi il riconoscimento qualora si accertasse che le suddette circostanze sostanzino una rinuncia al proprio diritto da parte dell'interessata. Perché la rinuncia sia configurabile, però, è necessario che sussistano talune condizioni, richiedendosi che essa sia inequivoca, che la volontà sia libera ed esente da costrizione, che abbia carattere circostanziato e specifico, non essendo ammissibile una rinuncia generale ed astratta ai propri diritti. Questi sono princìpi applicabili a maggior ragione nel caso dei divorzi privati.

L'Avvocato generale sembra esprimersi invece in direzione inversa ritendendo che l'art. 10, Reg. (UE) n. 1259/2010 debba essere interpretato nel senso che la legge del foro deve essere applicata allorché la legge straniera comporti una discriminazione in abstracto, alla luce del suo contenuto, e non solo qualora quest'ultima legge causi una discriminazione in concreto, alla luce delle circostanze del caso di specie (par. 89 delle conclusioni presentate il 14 settembre 2017).

Invero, aspettando sul punto una prossima pronuncia della Corte, la maggior parte dei diritti dell'uomo coesistono perfettamente con le modalità di funzionamento del diritto internazionale privato. La Convenzione UNESCO, conclusa a Parigi il 20 ottobre 2005, conferma questo tipo di approccio perché è una convenzione sulla protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali. A questa diversità è sottesa evidentemente la diversità dei valori normativi.

Quando si parla della determinazione dell'àmbito di applicazione della norma a tutela dei diritti dell'uomo, occorre guardare, infine, alla circolazione internazionale dei soggetti e delle situazioni giuridiche. Un diritto dell'uomo non deve essere tutelato allo stesso modo, dovendosi valutare se la situazione giuridica che va costituita, accertata, definita, attraverso l'applicazione della legge straniera sia destinata a svolgersi nell'ordinamento del foro o a svolgersi in un ordinamento straniero.

Se valutiamo all'interno dell'ordinamento del foro situazioni a prima vista molto distanti, abbiamo dei casi in cui il ripudio è stato posto in essere in tale ordinamento a condizione di produrre i suoi effetti principali all'estero. A volte è consentito il ripudio quando c'è il consenso della donna o la domanda della donna stessa, altre volte è consentito quale condizione preliminare dello scioglimento del matrimonio, pronunciato poi dal Tribunale interno. In queste situazioni dunque non si guarda al diritto del luogo in astratto, ma si valutano i rapporti tra ordinamenti poiché oggi nel mondo globalizzato i soggetti circolano in modo maggiore rispetto al passato.

La circolazione degli individui permette così di aggiungere un'ulteriore modalità di soluzione del rispetto dei diritti dell'uomo che è data dal microcosmo normativo all'interno del quale il soggetto ha poi deciso di andare a collocare la sua vita.

Guida all'approfondimento

P. Picone, Norme di conflitto speciali per la valutazione dei presupposti di norme materiali, Napoli, 1969.

E. Jayme, La Costituzione tedesca e il diritto internazionale privato, in Riv. dir. intern. priv. proc., 1972, 76 ss..

P. Picone, Les méthode de la référence à l'ordre juridique compétent en droit international privé, inRCADI, 1986, II, 229 ss..

C. Campiglio, La famiglia islamica nel diritto internazionale privato italiano, in Riv. dir. int. priv. proc., 1998, 21 ss..

A. Sinagra, Ripudio-divorzio islamico e ordine pubblico italiano, in Dir. e Fam., 2007, 157 ss.

G. Carella, Diritti umani, conflitti di legge e conflitti di civilizzazione, Bari, 2011.

G. Carella, Sistema delle norme di conflitto e tutela internazionale dei diritti umani: una rivoluzione copernicana?, in Diritti umani e diritto internazionale, 2014, 523 ss..

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