Regolamento di formazione giudiziale

Ferdinando Della Corte
01 Marzo 2018

Di regola, l'organo legittimato alla formazione del regolamento è l'assemblea dei condomini, come è confermato indirettamente dal fatto che il comma 3 dell'art. 1138 c.c. richiama la maggioranza dell'art. 1136, comma 2, c.c.; tuttavia, al contempo, si contempla la possibilità, in capo a ciascun condomino, di agire in tal senso, in quanto il precedente comma 2 prevede che «ciascun condomino può prendere l'iniziativa per la formazione del regolamento di condominio»; anche se tale iniziativa risulta poco coltivata nella prassi, è interessante verificare se il giudice possa contribuire, ed eventualmente entro quali confini e con quali modalità, alla formazione del regolamento di condominio.
Inquadramento

La disposizione dell'art. 1138, comma 3, c.c., applicabile allorquando in un condominio il numero dei partecipanti sia superiore a dieci, si riferisce soltanto al regolamento assembleare, ossia quello approvato in sede collegiale dalla maggioranza, che può stabilire le regole da seguire in relazione alla sola utilizzazione dei beni, alla ripartizione delle spese, alla tutela del decoro dell'edificio nonché all'amministrazione.

Anche se la tipologia non è prevista dal codice civile, il regolamento può dirsi, invece, contrattuale quando venga approvato ed accettato da tutti i condomini, oppure qualora l'originario unico proprietario dell'edificio - di regola, il costruttore - lo imponga agli acquirenti delle singole unità immobiliari che fanno parte del fabbricato mediante un richiamo espresso nei relativi atti di trasferimento, anche se di solito non materialmente inserito negli stessi.

Ora, a parte quest'ultimo tipo di regolamento, c.d. di origine esterna, l'organo legittimato alla formazione del regolamento rimane pur sempre l'assemblea dei condomini: il comma 3 dell'art. 1138 c.c. richiama, infatti, la maggioranza dell'art. 1136, comma 2, c.c.

Tuttavia, allo stesso tempo, si contempla la possibilità, in capo a ciascun condomino, di agire in tal senso (v., di recente, Cass. civ., sez. II, 27 dicembre 2011, n. 28986, che qualifica tale facoltà come «diritto potestativo», puntualizzando, però, che non può imputarsi al condomino detentore della maggioranza delle quote millesimali l'obbligo di attivarsi): invero, il comma 2 dello stesso art. 1138 prevede che «ciascun condomino può prendere l'iniziativa per la formazione del regolamento di condominio o per la revisione di quello esistente».

La controversa possibilità di adire il magistrato

In primo luogo, è controverso se, ai fini della formazione del regolamento, che rappresenta lo statuto della compagine condominiale, sia configurabile la stessa possibilità per il singolo condomino di adire il giudice, una volta che l'assemblea si sia rifiutata di approvarlo o non abbia adottato - ad esempio, per difetto del quorum deliberativo di cui sopra - una pronuncia in tal senso.

Al riguardo, le pronunce della magistratura sono alquanto scarse, e anche la dottrina non ha dedicato molta importanza alla tematica.

Si presuppone, pur sempre, che il condominio abbia più di dieci partecipanti, perché, al di sotto, se l'assemblea respinge la domanda del condomino volta alla formazione del regolamento, quest'ultimo non ha alcuno strumento giudiziale per farlo adottare, essendo lo stesso facoltativo.

Una parte della dottrina esclude tout court tale possibilità (Salis): si è, in proposito, osservato che, essendo l'esistenza del regolamento subordinata dalla legge all'approvazione dell'assemblea, ed essendo quest'ultima pienamente libera di approvare o meno quel regolamento che venga ad essa sottoposto, se ne deduce che solo ai condomini è dato disporre di quell'interesse che la legge vuole tutelare imponendo la formazione del regolamento; di fronte all'inerzia o alla volontà di non approvare o, addirittura, di non formare un regolamento, non esisterebbe alcun rimedio, non tanto perché la legge non abbia previsto un qualche mezzo per l'attuazione di un suo comando, ma proprio perché dall'insieme delle norme risulta che questo comando non esiste; la legge lo pone solo apparentemente, prescrivendo che un regolamento debba essere formato quando si supera una data soglia, ma lo priva di ogni contenuto coercitivo rimettendone l'attuazione all'iniziativa “volontaria” dei singoli interessati e la relativa approvazione alla “discrezionale” volontà di una maggioranza qualificata; si è, altresì, evidenziata l'infelice formulazione dell'art. 1138, comma 1, c.c., poiché si afferma che il regolamento «deve essere formato», senza precisare a chi tale dovere venga imposto, e il dubbio diventa insolubile una volta che si precisa, al comma 2, che ciascun condomino «può» prendere l'iniziativa per la formazione del regolamento e, al comma 3, che il regolamento «deve» comunque essere approvato dall'assemblea (tra le pronunce di merito, si segnala App. Bari 24 ottobre 1973, che nega qualsiasi competenza del giudice nella formazione del regolamento, riservata dalla legge soltanto all'autonoma volontà dei condomini).

Peraltro, l'art. 1138 citato trae origine dagli artt. 27, 28, 29 e 30 del r.d. n. 56/1934, trasfusi poi nella norma in esame, con la precisazione dell'obbligatorietà e dell'(allora) trascrizione nel registro di cui all'ultimo comma dell'art. 1129 c.c.; da tale lettura, emergono alcune considerazioni: l'assenza di una sanzione qualora non si confezioni il regolamento, ed il riferimento alla formazione, all'iniziativa e all'approvazione da parte dell'assemblea; ne consegue che l'obbligatorietà non scatta se nessuno prende l'iniziativa e che, comunque, questa può essere vanificata dalla mancata approvazione: «volontarietà» e «discrezionalità» sono i presupposti dell'art. 1138 c.c., da cui la logica deduzione che il magistrato non può sostituirsi al singolo ed all'assemblea imponendo sua sponte un regolamento.

Nella stessa linea argomentativa, si è rilevato (Figlioli) che se l'assemblea, inadempiente al precetto di cui all'art. 1138, comma 3, c.c., non provvede a formare il regolamento - cioè se rimane inerte, perché non sollecitata da alcuno dei componenti, o nonostante la sollecitazione - non si possa ottenere una sentenza di condanna del condominio (in persona dell'amministratore) a compilare il regolamento, salvo il risarcimento dei danni (dei quali si dovrà provare l'esistenza e la consistenza); se l'assemblea non ottempera, il condomino dovrà assumersi l'onere di predisporre il regolamento e di sottoporlo all'esame dei condomini; se l'assemblea rifiuta, non rimane altro che impugnare la deliberazione negativa, che potrebbe essere oggetto di sindacato solo per violazione di legge, non potendo il giudice imporre agli altri condomini il regolamento che questi ultimi, nella loro valutazione discrezionale, non ritengono conforme ai loro interessi.

In effetti, il regolamento è utile, ma non necessario o essenziale alla funzionalità del condominio, tanto che la sua imposizione ex art. 1138, comma 1, c.c. dipende soltanto dal numero dei partecipanti e non dall'importanza o dalle dimensioni dell'edificio (Triola); peraltro, molte delle disposizioni che lo stesso dovrebbe contenere sono già previste dal codice civile - sicché anche quando il regolamento manca, il condominio può funzionare agevolmente facendo ricorso alla sola regolamentazione legislativa - ed oltretutto alcune norme codicistiche sono dichiarate dalla legge inderogabili dalle disposizioni contenute nel regolamento assembleare; in altri termini, la mancanza di sanzione all'inottemperanza all'obbligo di adottare un regolamento dimostrerebbe che il Legislatore non ha inteso dare rilevanza ad interessi relativi alla regolamentazione della vita condominiale (praticamente, l'obbligo di cui sopra viene retrocesso a semplice facoltà).

In quest'ottica, nel regolamento dovrebbero essere contenute “altre” disposizioni, diverse da quelle contemplate nella normativa del codice, rivolte, ad esempio, a disciplinare l'uso delle cose comuni e l'amministrazione con riferimento specifico alle particolari esigenze dei partecipanti, alla destinazione degli appartamenti di proprietà esclusiva, ecc., in vista, quindi, di un interesse che solo essi partecipanti hanno il potere di determinare e per la cui tutela solo essi hanno la possibilità di indicare le soluzioni più adatte.

Al contrario, qualora si riconoscesse ad un qualunque condomino il potere di formare il regolamento e di renderlo obbligatorio per tutti facendolo approvare dal giudice, invece che dall'assemblea, si creerebbe una fonte di litigi, essendo possibile che il magistrato, in ipotesi del genere, sarebbe chiamato ad esplicare funzioni del tutto diverse da quelle riconosciutegli dall'ordinamento, cioè di farsi esso amministratore dettando la disciplina della vita condominiale.

Un'altra parte della dottrina, invece, ammette che il condomino interessato possa ricorrere al giudice per la formazione del regolamento, dovendosi escludere, in via di principio, l'esistenza di una norma sprovvista di sanzione e, quindi, di un diritto - nella specie, sia pure implicitamente, l'art. 1138, comma 2, c.c. - senza tutela: in particolare, si è messo in luce che l'orientamento prima esposto muove dall'implicito, ma indimostrato, presupposto che il Legislatore, nel prevedere l'obbligo della formazione del regolamento, abbia avuto di mira l'interesse della collettività dei condomini e non dei singoli proprietari, per questo sarebbe inammissibile la sostituzione del giudice a tale collettività in una valutazione discrezionale che la stessa può operare solo attraverso il suo organo deliberante, ossia l'assemblea (Peretti Griva, ad avviso del quale «ogni interessato ha la facoltà di ottenere, da parte del magistrato, la opportuna declaratoria iuris del dovere del condominio, in un primo tempo, e, in un secondo tempo, di fronte alla persistente inattività dell'assemblea anche dopo la costituzione in mora, della formazione del regolamento»).

Se, però, si parte dal presupposto che il singolo condomino - specie negli edifici in cui, per l'elevato numero dei partecipanti, sono più facili i contrasti - ha un interesse a che, ad esempio, venga disciplinato l'uso delle parti comuni o che vengano predeterminati i criteri di riparto delle spese, senza dover fare ricorso di volta in volta ai principi generali desumibili, rispettivamente, dagli artt. 1102 e 1123 c.c., ne consegue che la mancata realizzazione di tale interesse giustifica il ricorso al magistrato, evitando anche l'incongruenza consistente nel fatto che il Legislatore, dopo aver espressamente previsto un obbligo - il regolamento «deve essere formato» negli edifici con più di dieci condomini ex art. 1138, comma 1, c.c. - ne avrebbe rimesso l'adempimento alla mera volontà della maggioranza).

L'interesse di fatto che il singolo condomino indubbiamente vanta a evitare che, in difetto di regolamento, sia la sola legge il criterio per la soluzione di ogni controversia, riceve dignità di interesse giuridicamente rilevante se si interpreta l'art. 1138 c.c. nel solo modo che eviti di farne una norma vuota e priva di concreta operatività (in tal senso, nella giurisprudenza di merito, subordinandola però a determinati presupposti, v. Trib. Palermo 26 marzo 1968).

La redazione delle tabelle millesimali

Il problema si sposta, poi, qualora si evidenzia che il regolamento «deve» (almeno secondo l'originario disposto dell'art. 68 disp. att. c.c.) necessariamente contenere, altresì, le c.d. tabelle millesimali, il cui accertamento, a stretto rigore, costituisce un atto estraneo alla sfera dei poteri demandati all'assemblea.

Invero, secondo una consolidata interpretazione - v., però, attualmente, l'impostazione offerta da Cass., sez. un., 9 agosto 2010, n. 18477 - la vincolatività delle suddette tabelle è subordinata ad una precedente convenzione tra tutti i partecipanti (nessuno escluso) al condominio o ad un previo accertamento delle stesse in sede giudiziale contenziosa (trattandosi della regolamentazione dell'estensione dei diritti dei partecipanti sulle cose comuni); ne consegue che la disciplina di cui all'art. 1138, comma 3, c.c., relativa all'approvazione del regolamento in sede assembleare, e, in difetto, la possibilità di ricorrere al giudice contemplata nel precedente comma 2, dovrebbe presupporre l'esistenza delle tabelle millesimali (per effetto di una convenzione contrattuale, intervenuta o accettata da tutti i condomini, o quale conseguenza di un'azione proposta davanti al giudice con il litisconsorzio necessario di tutti i partecipanti); se, quindi, si deve riconoscere a ciascun condomino il diritto di iniziativa per la formazione del regolamento, tale potere non può prescindere dal preventivo accertamento delle tabelle millesimali, in mancanza delle quali sarebbe superfluo anche il semplice ricorso in assemblea.

Pertanto, se le tabelle, invece, mancano e non è possibile pervenire ad un accordo tra tutti i condomini, chi desidera formare il regolamento dovrebbe prima esercitare, davanti al giudice, l'azione per la determinazione delle tabelle medesime nei confronti di tutti i condomini, poi, proporre all'assemblea la formazione del regolamento e chiederne l'approvazione, e, infine, in caso di difetto di approvazione, esercitare di nuovo davanti al giudice l'azione per la formazione del regolamento.

Un ulteriore problema è dovuto al fatto che la sentenza formativa del regolamento, conseguente alla carenza delle statuizioni assembleari al riguardo, sarebbe certamente di modificazione sostanziale, per cui la stessa dovrebbe essere prevista dalla legge (art. 2908 c.c.), salvo correlare la sentenza costitutiva al diritto potestativo riconosciuto in capo al condomino nei confronti della collettività organizzata, consistente nel potere attribuito dall'art. 1138, comma 2, c.c. qualora la sua iniziativa venga frustrata e che si traduce necessariamente in una soggezione del gruppo; in altri termini, per superare l'eccezione della tipicità delle sentenze costitutive, si può sostenere che la relativa prescrizione opera quale garanzia dell'autonomia privata rispetto alle ingerenze degli organi istituzionali, mentre, al di fuori del campo negoziale - quale potrebbe essere il caso del regolamento, stante la natura “normativa” che talvolta viene ad esso riconosciuta - la necessità di una sentenza costitutiva, pur non espressamente prevista dalla legge, dovrebbe desumersi dal sistema qualora sia altrimenti carente la tutela di un interesse giuridicamente protetto.

L'àmbito dell'ingerenza giudiziale

In secondo luogo, ammessa la possibilità di ricorrere al giudice per la formazione del regolamento condominiale, sorge il problema di delimitare l'àmbito di operatività dell'intervento giudiziale.

Al quesito, alcuni (Branca) offrono una risposta restrittiva, delimitando tale intervento alla sola ipotesi di impugnazione della deliberazione assembleare esplicita di rigetto dell'iniziativa del condomino tendente alla formazione del regolamento; altri (Nicoletti - Redivo), invece, delineano un'interpretazione estensiva di tale principio, equiparando al formale provvedimento di rigetto in sede assembleare l'ipotesi del c.d. silenzio-rifiuto, che sarebbe ravvisabile ogni qualvolta l'assemblea ometta, per qualsiasi motivo, di deliberare in ordine alla proposta del condomino rivolta all'approvazione del regolamento.

Questa impostazione è oggetto di critica da parte di chi (Crescenzi), una volta ammessa la possibilità per il singolo di adire il giudice per la formazione del regolamento, non vede perché si debba ricondurre tale azione nello schema delle impugnazioni delle deliberazioni assembleari (art. 1137 c.c.), in quanto detto schema risulta ben poco pertinente considerando che, di norma, l'impugnazione in oggetto può portare soltanto alla dichiarazione di invalidità della deliberazione - per cui il condomino ricorrente rimarrebbe ugualmente senza regolamento - e non a provvedimenti sostitutivi della volontà assembleare, tanto che risulta difficilmente ipotizzabile un reale interesse all'impugnazione di una deliberazione di contenuto meramente negativo, se l'impugnazione stessa non sia correlata ad una specifica ed autonoma domanda diretta all'accertamento in sede giudiziale del diritto negato dalla medesima deliberazione.

In evidenza

Del resto, la stessa delibera di rifiuto di approvazione del regolamento, a stretto rigore, non appare illegittima, in quanto costituisce esercizio del potere discrezionale dell'assemblea di valutazione della proposta del condomino che ha assunto l'iniziativa della convocazione, mentre, qualora l'assemblea non dovesse pronunciarsi sulla predetta proposta, non vi sarebbe addirittura la delibera impugnabile.

Sempre in ordine all'àmbito di operatività dell'intervento giudiziale, si è ritenuto (Jannuzzi) che l'azione diretta alla formazione del regolamento giudiziale debba essere limitata a domandare che il giudice precisi le sole norme che siano indispensabili al funzionamento del condominio, con esclusione di quelle norme che, attenendo alla gestione, sono legate alle scelte dei partecipanti.

In altri termini, si distinguono, da un lato, le norme che devono precisare, soprattutto agli effetti della ripartizione delle spese, il predetto valore proporzionale, come prevede l'art. 68, comma 1, disp. att. c.c., e, dall'altro, quelle concernenti le modalità (non la misura) di godimento delle cose e dei servizi comuni, le modalità di erogazione (non la misura di ripartizione) delle spese, la tutela del decoro dell'edificio, e l'amministrazione delle cose e dei servizi comuni; le prime riguardano una valutazione essenzialmente tecnica, con la quale i condomini, più che esercitare un'attività volitiva, traducono in termini matematici un già esistente rapporto di valori, per cui viene in risalto la garanzia dell'intervento del giudice e del tecnico che deve assisterlo; le seconde, invece, riguardano materia che, nelle sue linee essenziali, è già regolata dalla legge con principi generali sufficienti alla soluzione dei singoli casi, sicché finiscono con l'avere un effettivo significato solo se integrano o modificano i criteri legislativi, risultato, questo, che può discendere dalla volontà dei condomini e non da quella del giudice (sembra, però, preferibile ritenere che l'obbligo previsto dalla legge riguardi la formazione di un regolamento nella sua completezza).

La natura volontaria o contenziosa del procedimento

L'ultima questione concerne l'individuazione delle modalità per il ricorso all'autorità giudiziaria.

Secondo una parte della dottrina (Crescenzi), può ricondursi nell'àmbito della volontaria giurisdizione l'azione per la formazione del regolamento condominiale, trattandosi di uno strumento essenzialmente finalizzato a supplire, nell'interesse della collettività, alla carenza di una manifestazione di volontà dell'assemblea al riguardo, trattandosi di un controllo sul corretto esercizio dell'autonomia spettante all'assemblea, sostituendosi, ove occorre, ad essa; in tale ipotesi, il ricorso al giudice è rivolto esclusivamente alla definizione delle «norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese», nonché delle norme attinenti alla «tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione».

In quest'ordine di concetti, deve escludersi la configurabilità di un contrasto tra diritti soggettivi, salvo precisareche la predetta iniziativa giudiziaria non possa prescindere dalla previa formazione delle tabelle millesimali, che implica un'azione di accertamento, nel litisconsorzio necessario tra tutti i condomini, diretta alla definizione dei valori delle singole proprietà individuali, che riveste, invece, i presupposti tipici della giurisdizione contenziosa.

Altri si sono mostrati favorevoli ad applicare il procedimento ex art. 1105, ultimo comma, c.c. nel caso di ricorso al magistrato per la formazione del regolamento se vi sia inerzia dell'assemblea, ferma restando la possibilità di far accertare in via contenziosa l'eventuale illegittimità del regolamento, mentre, secondo altri, tale ricorso sarebbe possibile solo quando, approvata dall'assemblea la necessità di formare il regolamento, su alcune sue clausole, per l'esistenza di due opposti schieramenti o per altri motivi, non si raggiunge la maggioranza ex art. 1136, comma 2, c.c. (Ruscello,secondo il quale il giudice dovrebbe verificare, ai sensi dell'art. 1345 c.c., se il motivo che ha indotto l'assemblea a respingere la proposta di regolamento è nullo per illiceità del motivo e, in caso positivo, dovrebbe rinviare il relativo progetto all'assemblea che, con una nuova deliberazione, dovrebbe decidere se approvarlo o meno, motivando la decisione in caso di nuovo rifiuto).

In effetti, la formazione giudiziale del regolamento mediante il decreto camerale potrebbe fornire uno strumento per il più agevole svolgimento dei rapporti tra i condomini, senza che nessuno di questi veda prevalere i propri interessi su quelli di altri più di quanto tale prevalenza non fosse già insita nel contenuto e nell'estensione del suo diritto sulle cose comuni; dal combinato disposto degli artt. 1139 e 1105, ultimo comma, c.c. - che contempla il ricorso a procedure camerali dirette ai provvedimenti necessari per l'amministrazione ed omessi per carenza degli appositi strumenti di diritto sostanziale - sarebbe possibile rinvenire, per la formazione giudiziale del regolamento necessario di condominio, la previsione normativa di un procedimento in camera di consiglio, su ricorso del condomino che ha visto frustrata la sua iniziativa.

Quindi, mancando un diritto soggettivo violato o comunque soddisfatto, non dovrebbe promuoversi il giudizio contenzioso produttivo della suddetta sentenza determinativa, salvo precisare che il decreto non potrà «menomare i diritti di ciascun condomino» che sono fatti salvi dall'art. 1138, comma 4, c.c., e, se supererà tali limiti, potrà essere contenziosamente rimosso in parte qua su azione del condomino leso (Montesano, ad avviso del quale, in difetto di un'esplicita previsione legislativa, il ricorso ad una sentenza determinativa può ammettersi solo qualificando come diritto potestativo il potere di iniziativa attribuito al condomino per la formazione del regolamento necessario, il che va escluso, poiché i poteri privati consistenti nel produrre o nel cooperare a produrre effetti giuridici non sono diritti quando il loro esercizio non realizzi la prevalenza di uno o più interessi del soggetto attivo su altro o su altri interessi di altri soggetti, che ne risultino sacrificati).

In linea con le caratteristiche proprie dell'intervento giudiziale “sostitutivo” tipico della volontaria giurisdizione, si evidenzia che l'assemblea, ove dovesse ritenere non idoneo il regolamento di formazione giudiziale - perché, in un secondo momento, le norme ivi contenute non sono più adatte alla situazione dell'edificio, o non lo sono mai state - potrebbe sempre modificarlo con le maggioranze prescritte dalla legge, ed anche in pendenza del giudizio per la predetta formazione, l'assemblea non perde il potere di approvare un regolamento diverso da quello sottoposto all'esame del giudice, con conseguente cessazione della materia del contendere (del resto, il condomino può sempre sottoporre all'assemblea una deliberazione che abbia per oggetto la “revisione” del regolamento esistente ai sensi dell'art. 1138, comma 2, c.c.).

In senso contrario, si è osservato (Triola) che il predetto art. 1105, ultimo comma, c.c. fa specifico riferimento alla mancata adozione di provvedimenti necessari alla concreta amministrazione della cosa comune, nei quali non può rientrare l'approvazione di un regolamento di condominio, che contiene prescrizioni di carattere generale; in quest'ottica, l'azione per la formazione del suddetto regolamento rientrerebbe nel normale giudizio contenzioso, avente ad oggetto l'accertamento della conformità alla legge (e della conseguente obbligatorietà) del regolamento predisposto dal condomino attore, e consisterebbe nella risoluzione di una controversia tra il condomino ricorrente e l'assemblea inerte o riottosa.

A fronte della posizione del condomino, che veda frustrata la propria iniziativa per il rifiuto o il silenzio dell'assemblea, e sia costretto ad adire il magistrato per regolare la vita ed il funzionamento del condominio, il predetto accertamento, per diventare obbligatorio e comportare la soggezione degli altri partecipanti, deve essere fatto dal giudice in contraddittorio con tutti i condomini, sicché non appare condivisibile l'assunto secondo cui, atteso che il singolo, rivolgendosi al giudice per la formazione del regolamento, fa valere un diritto nei confronti del condominio e non degli altri condomini, legittimato passivo è il primo e non i secondi.

Il presupposto di tale domanda va, però, ravvisato non in base alla semplice constatazione dell'inesistenza del regolamento - senza cioè che il condomino abbia assunto l'iniziativa della formazione del regolamento e della sua approvazione in sede assembleare - ma nel diniego di approvazione (con deliberazione di rigetto) oppure nella mancata pronuncia (perché non si raggiunga il numero legale per deliberare validamente, o perché non vi sia la maggioranza sufficiente per l'approvazione) da parte dell'assemblea sulla proposta di regolamento avanzata da un partecipante, in quanto, al di fuori del caso di resistenza (esplicita o implicita) da parte di determinati soggetti alla pretesa di altri riguardo ad un oggetto specifico, non vi è lite e, quindi, non può esservi processo contenzioso; si deve, pertanto, escludere che il condomino possa d'emblée, senza aver assunto l'iniziativa dell'approvazione in sede assembleare, rivolgersi al magistrato sul mero rilievo di fatto che il condominio sia privo di tale regolamento.

Qualora, poi, più condomini dovessero agire per far adottare il regolamento da ciascuno predisposto, si è sostenuto (Visco) che, anche in tali ipotesi, il giudice sarebbe chiamato a risolvere una controversia, sottoponendo eventualmente i singoli progetti di regolamento alla valutazione tecnica di un consulente, per accertare quale di essi risponda meglio alle prescrizioni della legge ed alle caratteristiche concrete dell'edificio; in particolare, non si potrebbe ritenere che la determinazione del contenuto del regolamento sarebbe il frutto di una discrezionalità dispositiva e una soggettività di apprezzamenti non trasferibili al magistrato, in quanto quest'ultimo non formula le proposizioni precettive predisponendo il testo regolamentare, ma decide sulla base dello schema presentato all'assemblea, in modo che lo stesso divenga definitivo sul presupposto di una pronuncia di infondatezza delle obiezioni mosse contro di esso.

Resta inteso che la mera circostanza che l'assemblea neghi il proprio assenso ad un testo determinato non comporta l'obbligo di far intervenire il magistrato, perché si può sempre proporne uno diverso prendendo nella dovuta considerazione i rilievi sollevati circa i contenuti del primo; al contempo, non si dovrà procedere all'infinito nei tentativi di sollecitare il dibattito assembleare, sicché, secondo le circostanze, si dovrà valutare se un ulteriore dissenso debba o meno giustificare il ricorso all'autorità giudiziaria; come non è previsto alcun limite al potere del singolo di provocare l'intervento del magistrato nella formazione del regolamento, così non si esclude che la stessa assemblea approvi, nella successiva riunione, il regolamento che le era stato sottoposto con i ritocchi che reputi congrui, precludendo così al condomino proponente di adire il magistrato.

Casistica

CASISTICA

Efficacia vincolante per tutti i condomini

I regolamenti condominiali, non approvati dall'assemblea, ma adottati coattivamente, in virtù di sentenza attuativa del diritto potestativo di ciascun partecipe del condominio (con più di dieci componenti) di ottenere la formazione del regolamento della comunione, hanno efficacia vincolante per tutti i condomini, ai sensi dell'art. 2909 c.c., a seguito del passaggio in giudicato di detta sentenza (Cass. civ., sez. II, 1 febbraio 1993, n. 1218).

Provvedimento d'urgenza

È ammissibile il provvedimento ex art. 700 c.p.c. diretto a stabilire un termine - nella specie, sessanta giorni - entro cui il venditore doveva adempiere il mandato a redigere il regolamento, poiché la mancata definizione di una situazione imposta dalla legge è idonea a determinare un pregiudizio irreparabile ai condomini, stante l'impossibilità o la grave difficoltà di esercizio dei diritti condominiali, con conseguenze dannose la cui valutazione era insuscettibile di quantificazione pecuniaria (Pret. Roma 15 febbraio 1979).

Condominio minimo

Anche nel caso di condominio c.d. minimo (composto cioè da due soli partecipanti), qualora non si prendano i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si formi una maggioranza o se la deliberazione adottata non venga eseguita, il partecipante può ricorrere all'autorità giudiziaria nelle forme della giurisdizione volontaria ai sensi dell'art. 1105, comma 4, c.c., e non invece seguendo la via della giurisdizione contenziosa; ne consegue che non sono proponibili, relativamente all'amministrazione delle cose comuni, né azioni giudiziarie di tipo contenzioso né, prima che sia stata sollecitata e provocata una deliberazione dell'assemblea dei comproprietari, alla quale spetta a ogni determinazione al riguardo, indipendentemente dal carattere (necessario, utile o voluttuario) delle spese di cui si tratta, azioni giudiziarie di tipo non contenzioso (Trib. Messina 30 marzo 2012).

Guida all'approfondimento

Celeste, L'an e il quomodo dell'intervento dell'autorità giudiziaria nella formazione dello statuto della collettività condominiale, in Riv. giur. edil., 2005, II, 3;

Triola, Il condominio, in Trattato di diritto privato diretto da Bessone, Torino, 2002, 134;

Pulsoni, Il regolamento giudiziale di condominio, Padova, 1999, 5;

Ditta, L'intervento dell'autorità giudiziaria in mancanza di regolamento, in Arch. loc. e cond., 1996, 315;

Montesano, Regolamento giudiziale di condominio: sentenza determinativa o decreto camerale?, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1996, 1005;

Frigerio, Efficacia vincolante dei regolamenti condominiali approvati con sentenza, in Vita notar., 1994, 649;

Cricenti, Regolamento di condominio adottato dal giudice e limiti alla proprietà esclusiva, in Giur. it., 1994, I, 1, 1631;

Nicoletti - Redivo, Il regolamento e l'assemblea nel condominio degli edifici, Padova, 1994, 80;

Crescenzi, Le controversie condominiali, Padova, 1991, 220;

Branca, Comunione. Condominio negli edifici, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982, 683;

Ruscello, I regolamenti di condominio, Napoli, 1980, 170;

Mancini, Formazione del regolamento obbligatorio e poteri del giudice, in Giur. merito, 1979, I, 537;

Figlioli, Riflessioni sulla impossibilità de iure condito di formare giudizialmente il regolamento di condominio e un'idea per il futuro, in Giur. it., 1969, I, 2, 536;

Jannuzzi, Formazione del regolamento di condominio da parte dell'autorità giudiziaria, in Giur. merito, 1969, I, 70;

Salis, Regolamento obbligatorio e poteri dell'autorità giudiziaria, in Riv. giur. edil., 1969, I, 414:

Visco, Le case in condominio, Milano, 1967, 437.

Peretti Griva, Il condominio di case divise in parti, Torino,1960, 513.

Sommario