CGUE: lo stretto perimetro di compatibilità con il diritto dell'UE del soccorso istruttorio “a pagamento”

01 Marzo 2018

La Corte di Giustizia dell'UE ha tracciato i limiti di compatibilità con il diritto UE della disciplina del soccorso istruttorio “a pagamento” stabilita dall'art. 38, comma 2-bis, d.lgs. n. 163/2006 e ha precisato che, sebbene tale meccanismo sia, in astratto, compatibile con le direttive contratti del 2004 (ratione temporis applicabili alle fattispecie esaminate dal giudice a quo), deve, in concreto, operare all'interno dello stretto perimetro applicativo tracciato dai precedenti giurisprudenziali della stessa Corte di Giustizia, con riferimento alle carenze suscettibili di “regolarizzazione”. Solo in tale ristretto ambito, la regolarizzazione può essere subordinata a una sanzione, a condizione che quest'ultima non sia automatica, ma commisurata nel rispetto del principio di proporzionalità.

I due rinvii pregiudiziali. Con due ordinanze, il TAR Lazio, Roma (sez. III, 3 ottobre 2016, n. 10012; Id., 13 ottobre 2016, n. 10222) aveva manifestato dubbi sulla compatibilità con il diritto dell'Unione Europea, (segnatamente con l'articolo 51 della direttiva 2004/18, i principi di parità di trattamento e di trasparenza di cui all'articolo 10 della direttiva 2004/17 e l'articolo 2 della direttiva 2004/18, nonché il principio di proporzionalità) del soccorso istruttorio “a pagamento” (art. 38, comma 2-bis, d.lgs. 163 del 2006).

Nelle due procedure di gara sottoposte all'esame del TAR, le imprese avevano prodotto dichiarazioni incomplete (rispettivamente, in una gara era stato prodotto un mandato collettivo speciale con rappresentanza all'impresa capogruppo privo di sottoscrizione e nella seconda, erano stato omesse le dichiarazioni sul possesso dei requisiti di cui all'art. 38, comma 1, lettere b), c) e m-ter), d.lgs. n. 163/2006, di alcuni componenti del consiglio di amministrazione della concorrente).

Le concorrenti, dopo aver tempestivamente integrato le carenze dichiarative, venivano invitate dalle stazioni appaltanti al pagamento della sanzione pecuniaria (di importo pari rispettivamente a 35.000 euro e 50.000 euro) evidenziando che il pagamento era garantito dalla cauzione provvisoria. Le due imprese contestando l'imposizione di tale elevatissime sanzioni, proponevano ricorso sollevando dubbi di compatibilità con il diritto dell'UE della disciplina del soccorso istruttorio “a pagamento”. Nella prima delle due citate ordinanze il TAR evidenziava – significativamente – che il citato art. 38 comma, 2-bis, “provoca un'ingiustificata sperequazione delle imprese in relazione ad un (implicito) presupposto di fatto - la disponibilità delle risorse economiche necessarie al pagamento della sanzione - che è del tutto estraneo e non incide affatto sulla moralità, professionalità e affidabilità delle imprese. Si può anzi osservare che tale “pre-requisito” danneggia gravemente le imprese che, in genere, partecipano ad un grande numero di procedure ad evidenza pubblica senza risultare aggiudicatarie di nessuna di esse, le quali possono essere disincentivate dal partecipare a gare future (con grave pregiudizio alla tutela della concorrenza)”.

Le Conclusioni dell'Avvocato Generale. Come segnalato in Casi e sentenze (Cfr. Le conclusioni dell'Avvocato Generale sul soccorso istruttorio oneroso) il 15 novembre 2017 l'Avvocato Generale aveva rassegnato le proprie Conclusioni, proponendo alla CGUE di sancire i seguenti principi:

  1. L'articolo 51 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, non osta a una normativa nazionale che subordina al pagamento di un importo la sanatoria di determinate irregolarità formali in cui sia incorso l'offerente nel formulare la propria proposta, sempreché si garantisca il rispetto dei principi di trasparenza e parità di trattamento, che la sanatoria non permetta la presentazione di ciò che in realtà sarebbe una nuova offerta e che l'onere sia proporzionato agli obiettivi che lo giustificano.
  2. In circostanze come quelle di cui ai procedimenti principali, l'art. 51 della direttiva 2004/18, interpretato conformemente ai principi del diritto dell'Unione che hanno ispirato le disposizioni applicabili ai contratti pubblici, non permette di infliggere agli offerenti sanzioni pecuniarie il cui importo non possa essere inferiore all'uno per mille né superiore all'uno per cento del valore della gara, con un limite massimo di EUR 50 000.

I principi affermati dalla Corte di Giustizia dell'UE. La Corte ha preliminarmente chiarito che l'articolo 51 della direttiva 2004/18 (ai sensi del quale, l'amministrazione aggiudicatrice può invitare gli operatori economici a integrare o chiarire i certificati e i documenti presentati ai sensi degli articoli da 45 a 50 di tale direttiva) non impone agli Stati membri di prevedere nei propri ordinamenti interni un meccanismo di regolarizzazione delle offerte, ma li lascia liberi, in linea di principio, non solo di prevedere una siffatta possibilità, ma anche di regolamentarla, sicché - si afferma nella sentenza - gli stessi Stati “possono quindi, a tale titolo, decidere di subordinare tale possibilità di regolarizzazione al pagamento di una sanzione pecuniaria, come prevede nella fattispecie l'articolo 38, comma 2 bis, del codice dei contratti pubblici” (par. 47).

I precedenti richiamati dalla Corte. Per tracciare i limiti in cui il diritto UE ammette, in linea di principio, l'integrazione o il chiarimento di certificati e documenti prodotti dai concorrenti, la Corte ha richiamato i propri precedenti giurisprudenziali in cui era stato precisato che:

  1. il suddetto articolo 51 della direttiva 2004/18 non può essere interpretato nel senso di consentire all'amministrazione aggiudicatrice di “ammettere qualsiasi rettifica a omissioni che, secondo le espresse disposizioni dei documenti dell'appalto, devono portare all'esclusione dell'offerente” (sentenze del 6 novembre 2014, Cartiera dell'Adda, C‑42/13, EU:C:2014:2345, punto 46, e del 10 novembre 2016, Ciclat, C‑199/15, EU:C:2016:853, punto 30).
  2. le due direttive del 2004 (nn. 17 e 18) consentono che “i dati relativi a un'offerta [possano] essere corretti o completati su singoli punti, in particolare ove necessitassero evidentemente di un semplice chiarimento, o al fine di correggere errori materiali manifesti, fatto salvo tuttavia il rispetto di una serie di requisiti” (sentenze del 29 marzo 2012, SAG ELV Slovensko e a., C‑599/10, EU:C:2012:191, punto 40, nonché dell'11 maggio 2017, Archus e Gama, C‑131/16, EU:C:2017:358, punto 29, e giurisprudenza ivi citata).
  3. “una richiesta di chiarimenti non può ovviare alla mancanza di un documento o di un'informazione la cui comunicazione fosse richiesta dai documenti dell'appalto, dovendo l'amministrazione aggiudicatrice osservare rigorosamente i criteri da essa stessa fissati” (v., in tal senso, sentenze del 10 ottobre 2013, Manova, C‑336/12, EU:C:2013:647, punto 40, nonché dell'11 maggio 2017, Archus e Gama, C‑131/16, EU:C:2017:358, punto 33) (...) “né condurre alla presentazione, da parte dell'offerente interessato, di quella che in realtà sarebbe una nuova offerta” (sentenze del 29 marzo 2012, SAG ELV Slovensko e a., C‑599/10, EU:C:2012:191, punto 40, nonché dell'11 maggio 2017, Archus e Gama, C‑131/16, EU:C:2017:358, punto 31).

L'incompatibilità con il diritto dell'UE della nozione di “irregolarità essenziale”. Coerentemente con tali precedenti, la Corte, accogliendo sul punto le Conclusioni dall'Avvocato Generale (cfr. paragrafi 60 e 61 delle citate Conclusioni) ha quindi affermato che “la nozione stessa di irregolarità essenziale, che non è definita nell'articolo 38, comma 2 bis, del codice dei contratti pubblici, non appare compatibile né con le disposizioni dell'articolo 51 della direttiva 2004/18 né con i requisiti ai quali è subordinato, ai sensi della giurisprudenza della Corte richiamata ai punti da 49 a 52 della presente sentenza, il chiarimento di un'offerta nell'ambito di un appalto pubblico soggetto alla direttiva 2004/17”, sicché “il meccanismo del soccorso istruttorio previsto all'articolo 38, comma 2 bis, del codice dei contratti pubblici non può trovare applicazione nell'ipotesi in cui l'offerta presentata non possa essere regolarizzata o chiarita (…)” (parr. 55 e 56).

La sentenza ha quindi segnalato al TAR che lo stesso “sarà tenuto ad esaminare se le sanzioni pecuniarie inflitte nei due procedimenti principali, in applicazione dell'articolo 38, comma 2 bis, del codice dei contratti pubblici, rispettino il principio di proporzionalità” soltanto nell'ipotesi in cui avrà accertato che le domande di regolarizzazione o di chiarimento formulate nei casi di specie dalle amministrazioni aggiudicatrici sono compatibili con (rectius ammissibili rispetto a) i principi affermati in tali precedenti giurisprudenziali.

L'incompatibilità con il diritto dell'UE della “predeterminazione automatica” della sanzione pecuniaria. Con riferimento all'irrogazione della sanzione pecuniaria stabilita dal citato art. 38 comma 2-bis, la Corte ha evidenziato che la sua irrogazione automatica, slegata dalla “natura” delle regolarizzazioni richieste dalla stazione appaltante e “in assenza di qualsiasi motivazione individuale, non appare compatibile con le esigenze derivanti dal rispetto del principio di proporzionalità” (par. 62).

La sentenza, pur precisando che l'applicazione di una sanzione pecuniaria costituisce un mezzo appropriato per “responsabilizzare gli offerenti in sede di predisposizione delle loro offerte e, dall'altro, nel compensare l'onere finanziario che qualsiasi regolarizzazione può rappresentare per l'amministrazione aggiudicatrice”, ha evidenziato che, proprio in ragione dello stretto perimetro in cui sono consentiti integrazioni e chiarimenti nel corso della gara, tracciato dai richiamati precedenti della stessa Corte, tali sanzioni non possono evidentemente essere di un importo tanto elevato come quelle “manifestamente esorbitanti” applicate nei procedimenti principali.

Sul punto la Corte ha pertanto precisato che “importi di sanzioni come quelli stabiliti nei bandi di gara da parte delle amministrazioni aggiudicatrici nei due procedimenti principali appaiono di per sé manifestamente esorbitanti, tenuto conto dei limiti entro i quali devono mantenersi sia la regolarizzazione di un'offerta a titolo dell'articolo 51 della direttiva 2004/18 sia il chiarimento di un'offerta nell'ambito della direttiva 2004/17. È quanto avviene, in particolare, nel caso di una sanzione, come quella inflitta dall'amministrazione aggiudicatrice nella causa C‑523/16, che appare manifestamente eccessiva rispetto ai fatti censurati, vale a dire l'omessa firma di una dichiarazione di impegno recante la designazione della società capogruppo del raggruppamento offerente” (par. 63-64).

In conclusione, la CGUE ha enunciato i seguenti principi di diritto:

  • Il diritto dell'Unione, in particolare l'articolo 51 della direttiva 2004/18/CE, i principi relativi all'aggiudicazione degli appalti pubblici, tra i quali figurano i principi di parità di trattamento e di trasparenza di cui all'articolo 10 della direttiva 2004/17/CE e all'articolo 2 della direttiva 2004/18, nonché il principio di proporzionalità, devono essere interpretati nel senso che non ostano, in linea di principio, a una normativa nazionale che istituisce un meccanismo di soccorso istruttorio in forza del quale l'amministrazione aggiudicatrice può, nel contesto di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, invitare l'offerente la cui offerta sia viziata da irregolarità essenziali, ai sensi di detta normativa, a regolarizzare la propria offerta previo pagamento di una sanzione pecuniaria, purché l'importo di tale sanzione rimanga conforme al principio di proporzionalità, circostanza questa che spetta al giudice del rinvio verificare.
  • Per contro, queste stesse disposizioni e questi stessi principi devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che istituisce un meccanismo di soccorso istruttorio in forza del quale l'amministrazione aggiudicatrice può imporre a un offerente, dietro pagamento da parte di quest'ultimo di una sanzione pecuniaria, di porre rimedio alla mancanza di un documento che, secondo le espresse disposizioni dei documenti dell'appalto, deve portare alla sua esclusione, o di eliminare le irregolarità che inficiano la sua offerta in modo tale che le correzioni o modifiche apportate finirebbero con l'equivalere alla presentazione di una nuova offerta.

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