Building Information Modeling e contratti pubblici. Prime considerazioni alla luce dell'entrata in vigore del D.M. n. 560 del 2017

01 Marzo 2018

L'art. 23 del D.Lgs. n. 50 del 2016 ha previsto l'introduzione progressiva, nella progettazione di opere pubbliche, del BIM, ossia di un metodo di modellazione digitale che consente di sistematizzare tutti i dati di un progetto in un unico modello virtuale, cui possono accedere tutti i soggetti coinvolti nella progettazione e realizzazione di un intervento. Tale metodologia di lavoro, già diffusa in molti paesi europei, è stata promossa in Italia nella legislazione dei contratti pubblici. Il BIM è oggi facoltativo per le stazioni appaltanti che intendano realizzare nuove opere o interventi di recupero, riqualificazione o varianti, ma verrà reso obbligatorio secondo le tempistiche e le modalità descritte nel Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 560/2017. Gli operatori del settore dovranno dunque necessariamente adeguarsi a tale rivoluzione e affrontare le criticità giuridiche ad essa connesse.
L'introduzione di metodi di modellazione digitale nel settore dei contratti pubblici in Italia

Con l'obiettivo di promuovere il miglioramento della qualità e della sostenibilità dei lavori pubblici, l'art. 23 D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (il “Codice”) ha previsto l'introduzione progressiva, nella progettazione di opere pubbliche, di “metodi e strumenti elettronici specifici quali quelli di modellazione per l'edilizia e le infrastrutture”. Si tratta di metodi già diffusamente impiegati in altri Paesi quali la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, la Finlandia e la Danimarca, consistenti nella sistematizzazione dei dati relativi a un progetto in modelli virtuali, cui possono accedere tutti i soggetti coinvolti nella progettazione e realizzazione di un intervento, nel corso del ciclo di vita di un edificio o di un'infrastruttura.

Più precisamente, la modellazione digitale – o Building Information Modeling (BIM) – consiste nell'elaborazione di progetti tramite l'impiego di interfacce grafiche tridimensionali che consentono di operare su singole porzioni di progetto, denominate “oggetti” (ad esempio, un muro, il sistema impiantistico o elettrico di un edificio, o una facciata), descritti non solo graficamente ma anche dal punto di vista quantitativo e qualitativo.

Le informazioni dei singoli oggetti si integrano in un'unica banca dati, in grado di riconoscere e correggere le incongruenze.

È così possibile ridurre al minimo il rischio di errori di progettazione, abbattere gli extra-costi e i ritardi, verificare l'esattezza e la precisione dei costi preventivati, promuovere l'interazione fra tutti i soggetti coinvolti, sincronizzando le fasi di progettazione e costruzione, pianificare la manutenzione dell'opera per tutto il suo ciclo di vita e risolvere le discrasie fra i diversi documenti progettuali (c.d. clash detection).

Si tratta di una vera e propria rivoluzione del settore delle costruzioni, ad oggi in Italia non ancora compiutamente realizzata (il BIM è impiegato in Italia perlopiù da alcuni operatori privati del settore, particolarmente specializzati) e che il legislatore del Codice dei Contratti pubblici ha inteso promuovere individuando, quali protagonisti principali, gli enti pubblici in veste di committenti di lavori e servizi. Tale scelta, che si inserisce pienamente nella logica della regolamentazione strategica del mercato dei contratti pubblici fatta propria dal D.lgs. n. 50 del 2016, impone agli operatori del settore di confrontarsi con le suindicate novità, adeguando ad esse il proprio assetto organizzativo e culturale.

Il BIM nel Codice dei Contratti Pubblici e nel D.M. n. 560 del 2017

L'art. 23, comma 1, lett. h) del Codice stabilisce che la progettazione in materia di lavori pubblici è intesa ad assicurare “la razionalizzazione delle attività di progettazione e delle connesse verifiche attraverso il progressivo uso di metodi e strumenti elettronici specifici quali quelli di modellazione per l'edilizia e le infrastrutture”.

Cogliendo l'indicazione fornita nelle direttive nn. 24 e 25 del 2014 (rispettivamente agli articoli 22, paragrafo 4 e 40, paragrafo 4) e nella Legge Delega 28 gennaio 2016, n. 11, la citata norma ha reso facoltativo l'uso del BIM per le stazioni appaltanti che intendano realizzare nuove opere o interventi di “recupero, riqualificazione o varianti, prioritariamente per i lavori complessi”e ha contestualmente affidato al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti il compito di redigere un decreto che definisse le modalità e i tempi di progressiva introduzione dell'obbligatorietà di tali metodi presso le stazioni appaltanti.

Il decreto ministeriale ex art. 23, comma 13 del Codice è stato redatto da una commissione appositamente istituita presso il MIT e adottato, in seguito a una fase di consultazione pubblica, in data 1 gennaio 2017 (D.M. n. 560 del 2017, cd. Decreto BIM). Tale atto normativo contiene aspetti fondamentali della disciplina giuridica del BIM delle gare pubbliche, che meritano di essere qui analizzati.

Ambito di applicazione del BIM

L'art. 1 del D.M. n. 560 del 2017 dichiara che la finalità del decreto è la definizione delle modalità e dei tempi di progressiva introduzione, da parte delle stazioni appaltanti, delle amministrazioni concedenti e degli operatori economici, del BIM nelle fasi di progettazione, costruzione e gestione delle opere e relative verifiche.

Dal punto di vista soggettivo, va precisato che l'applicazione dei metodi di modellazione digitale investe direttamente solo le stazioni appaltanti, per come definite all'art. 3, comma 1, lett. o) del Codice; gli operatori economici citati nell'art. 1 del decreto non sono coinvolti nella progressiva introduzione del BIM nella progettazione delle opere pubbliche se non indirettamente, quali prestatori di servizi.

Dal punto di vista oggettivo, si deve rilevare come l'ambito di impiego del BIM considerato dal decreto in esame sia più ampio di quello desumibile dal Codice. Se, infatti, l'art. 23 D.lgs. n. 50 del 2016 (al pari della Legge Delega n. 11 del 2016) prevede l'applicazione del BIM solo per “attività di progettazione e delle connesse verifiche”, il D.M. n. 560 del 2017 estende l'applicazione della modellazione digitale anche alla costruzione e gestione delle opere pubbliche. L'intenzione della Commissione ministeriale era evidentemente quella di sfruttare appieno tutte le potenzialità del BIM, ad esempio in sede di verifiche in cantiere, progettazione di varianti e manutenzione dell'edificio o dell'infrastruttura coerente con il budget inizialmente preventivato.

D'altra parte, la segnalata discrasia fra il Codice e il Decreto lascia qualche margine di incertezza circa l'effettiva estensione dell'ambito applicativo del BIM nelle opere pubbliche. In base a un'interpretazione sistematica, che tenga conto della gerarchia delle fonti normative, si può ritenere che l'obbligatorietà del BIM riguardi la sola attività di progettazione di cui all'art. 23 del Codice, essendo comunque rilasciata alle stazioni appaltanti la facoltà di richiedere l'utilizzo della modellazione digitale anche per la gestione e manutenzione di edifici e infrastrutture.

Tempi e modalità di introduzione obbligatoria del BIM

Nello stabilire modalità e tempi di introduzione dell'obbligatorietà del BIM nella progettazione di opere pubbliche, il Decreto ministeriale n. 560 del 2017 ha assunto un criterio basato sulle soglie di importi dei lavori, a partire da quelli più elevati: si prevede infatti che, a decorrere dal 1 gennaio 2019, il BIM sarà obbligatorio per “lavori complessi relativi a opere di importo a base di gara pari o superiore a 100 milioni di euro” (cfr. art. 6, comma 1, lett. a del Decreto BIM). L'applicazione del BIM verrà progressivamente estesa ai lavori di valore sempre più basso, fino ad essere esteso a tutte le opere, anche di importo a base di gara inferiore a 1 milione di euro, nel 2025.

La gradualità con cui si è deciso di effettuare il passaggio da strumenti di progettazione tradizionale a processi di modellazione digitale si giustifica con l'elevato grado di tecnicalità che questi ultimi richiedono e con la necessità di coniugare la rivoluzione digitale degli strumenti di progettazione con le regole e i principi posti a base della regolamentazione del mercato europeo dei contratti pubblici, oltre che con l'effettiva difficoltà che le stazioni appaltanti riscontreranno nel padroneggiare tale modalità di lavoro. Si è, come evidente, inteso promuovere l'applicazione del BIM a partire da pochi grandi progetti di elevato importo, in grado di porsi come casi di studio per future applicazioni, e in grado di trainare, progressivamente, le stazioni appaltanti di più modeste dimensioni.

Una particolare attenzione merita, poi, il concetto di “lavori complessi” assunto dal decreto in esame, che è più ampio ed estensivo di quello fornito dall'art. 3, comma 1, lett. oo) del Codice, ricomprendendo tutti i “lavori caratterizzati da elevato contenuto tecnologico o da una significativa interconnessione degli aspetti architettonici, strutturali e tecnologici, ovvero da rilevanti difficoltà realizzative dal punto di vista impiantistico-tecnologico”. Tale formulazione rilascia alle stazioni appaltanti un margine discrezionale sulla valutazione della complessità dell'opera, che rischia di creare situazioni dubbie circa l'obbligatorietà o meno del BIM.

D'altra parte, essa è talmente ampia da ricomprendere, almeno potenzialmente, qualsiasi tipo di lavoro, con la conseguenza che, nella valutazione circa l'obbligatorietà dell'impiego del BIM, si finirà per dare rilevanza alle sole soglie economiche individuate nell'art. 6 del Decreto.

Adempimenti preliminari richiesti alle stazioni appaltanti

L'articolo 23, comma 13 del Codice stabilisce che “L'uso dei metodi e strumenti elettronici può essere richiesto soltanto dalle stazioni appaltanti dotate di personale adeguatamente formato”. L'indicazione legislativa è quanto mai opportuna, in considerazione dell'elevato livello specialistico richiesto per lavorare in BIM, e pare coerente con l'intenzione propria del legislatore del Codice di ridurre numericamente le stazioni appaltanti, aumentandone la qualificazione. In tal senso, va considerato che, ai sensi dell'art. 23, comma 13, Codice, il BIM costituisce parametro di valutazione dei requisiti premianti delle stazioni appaltanti nell'ambito del sistema di qualificazione di cui all'articolo 38 del medesimo testo normativo.

Il D.M. n. 560 del 2017 specifica ulteriormente tale prescrizione, stabilendo, all'art. 3, che l'utilizzo del BIM è subordinato all'adozione, da parte delle stazioni appaltanti, di un piano di formazione del personale rivolto ad acquisire competenze riferibili alla gestione informativa e di un piano di acquisizione o manutenzione degli strumenti hardware e software necessari per la gestione digitale dei processi decisionali e informativi, nonché di un atto organizzativo che espliciti il processo di controllo e gestione. Attività, queste, che le stazioni appaltanti dovranno porre in vista dell'introduzione obbligatoria del BIM, a partire dalle stazioni appaltanti di più grosse dimensioni e più facilmente in grado di dotarsi dei mezzi e delle competenze necessarie per gestire la modellazione in BIM.

Il BIM nelle gare pubbliche. Primi arresti giurisprudenziali

Ove le stazioni appaltanti non intendano sviluppare esse stesse la progettazione in BIM di opere pubbliche, e sempre che abbiano posto in essere gli adempimenti preliminari sopra richiamati, potranno richiedere la modellazione digitale nelle gare pubbliche celebrate ai sensi del Codice (ad esempio, nell'ambito di un appalto di servizi di architettura e ingegneria, in un concorso di progettazione, in un accordo quadro per la manutenzione di edifici, in un appalto di progettazione e lavori – nei pochi casi ancora ammessi dal Codice – o ancora, nell'ambito di una procedura per l'affidamento di un contratto di sponsorizzazione).

La richiesta del modello BIM in gara potrà essere formulata in due modi:

  1. quale prestazione obbligatoria, sulla base di una richiesta uniforme e specificamente dettagliata;
  2. quale elemento premiale dell'offerta tecnica, valutata secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.

In entrambi i casi, è auspicabile che vengano fornite ai concorrenti specifiche indicazioni ai concorrenti circa il livello di dettaglio del modello e le caratteristiche tecniche dello stesso, in modo che le offerte siano confrontabili e adeguatamente valutabili. Il che implica comunque un elevato grado di sofisticazione della documentazione di gara, nonché della valutazione compiuta dalla commissione giudicatrice, che dunque dovrà essere composta da membri dotati delle adeguate competenze.

Un'indicazione in tal senso si ritrova, ora, anche nel D.M. n. 560 del 2017, ove, all'art. 7, si specifica che ai fini dell'introduzione del BIM nelle procedure di evidenza pubblica, la documentazione di gara deve comprendere un capitolato in cui siano definiti “i requisiti informativi strategici generali e specifici, compresi i livelli di definizione dei contenuti informativi” e “tutti gli elementi utili alla individuazione dei requisiti di produzione, di gestione e di trasmissione ed archiviazione dei contenuti informativi”. In altre parole, nei documenti di gara dovranno essere sufficientemente descritte le caratteristiche e il livello di dettaglio che il modello BIM richiede. Previsione, questa, che pare coerente con le molte e diverse possibilità applicative del BIM, e che è volta a evitare la presentazione di offerte non uniformi e difficilmente comparabili.

Una situazione simile a quella appena ipotizzata è stata oggetto di una recente pronuncia del TAR Milano: la sentenza 29 maggio 2017, n. 1210. In questo caso, il contenzioso era sorto in relazione a una procedura di gara relativa a un appalto, di progettazione e lavori, al di sopra della soglia europea per la demolizione, bonifica e ricostruzione di un edificio scolastico sito in Milano. La documentazione di gara – pubblicata anteriormente all'entrata in vigore del Decreto BIM – non specificava il livello di dettaglio del modello e non forniva indicazioni sulle specifiche tecniche dello stesso. Le imprese ricorrenti, classificatesi al secondo posto in graduatoria, lamentavano la mancata esclusione della società aggiudicataria per carenze nel modello progettuale richiesto e ritenevano che la commissione giudicatrice avesse attribuito i punteggi tecnici in maniera scorretta, in quanto l'aggiudicataria aveva presentato un modello BIM incompleto e non coerente con la lex specialis di gara, in quanto contenente una rappresentazione bidimensionale (2D) e non tridimensionale (3D) dell'intera pianta elettrica dell'edificio.

Il ricorso veniva respinto, sulla base delle risultanze di una verificazione disposta dal Collegio, chiarendo alcuni fondamentali concetti, che risultano utili per inserire il BIM nel contesto della disciplina sui contratti pubblici in Italia:

  • non esiste un “formato BIM”, dovendo più opportunamente parlare di “metodo di lavoro e di rappresentazione digitale”: ciò che conta, nella modellazione digitale, non è la rappresentazione dell'oggetto costruito, che può essere estrapolata, in maniera bi- o tri-dimensionale, a partire dal modello, bensì la quantità informazioni in esso contenute, che descrivono le proprietà dell'oggetto della progettazione; pertanto, laddove la lex specialis non fornisca precise indicazioni in merito alle modalità di rappresentazione del modello BIM richiesto, l'offerta tecnica potrà consistere anche in una rappresentazione bidimensionale;
  • laddove non vi siano in gara indicazioni precise circa il contenuto del modello BIM richiesto dalla stazione appaltante, i contenuti necessari del modello BIM si dovranno rinvenire nelle norme vigenti del DPR n. 207 del 2010, avendo riguardo alla fase di progettazione presa in considerazione.
Conclusioni

Il caso appena citato conferma la difficoltà con cui gli operatori del settore in Italia e gli interpreti del diritto si approcciano alla rivoluzione promossa dal D.Lgs. n. 50 del 2016 nel campo della progettazione delle opere pubbliche. Una difficoltà che oggi è acuita dalla necessità di riconciliare le poche indicazioni giurisprudenziali esistenti con il nuovo Decreto Ministeriale n. 560 del 2017.

Rimane certamente confermata l'affermazione per cui il BIM non è uno strumento ma una metodologia di lavoro. Quanto al contenuto informativo del modello richiesto in gara, la sentenza del TAR Milano n. 1210 del 2017 ha accertato la legittimità delle gare celebrate in assenza di specificazioni riguardo al livello di informazioni richiesto, affermando come le stesse possano essere ritrovate nel D.P.R. n. 207 del 2010. Tale indicazione giurisprudenziale – volta a fornire un'ancora di salvataggio per quelle stazioni appaltanti che, virtuosamente, intendessero farsi promotrici dell'innovazione proposta dal Codice – pare ora in controtendenza rispetto all'obbligo, di cui all'art. 7 del Decreto BIM, di allegare alla documentazione di gara un capitolato dettagliato. Detta prescrizione normativa – rivolta a promuovere un utilizzo consapevole e razionale del BIM da parte di stazioni appaltanti qualificate, in grado di governare la procedura tramite una documentazione di gara dettagliata – avrà probabilmente l'effetto di frenare l'impiego volontario della modellazione digitale da parte delle stazioni appaltanti, che saranno esposte a contestazioni circa il livello tecnico di dettaglio della documentazione di gara.

Si dovranno attendere i tempi di introduzione obbligatoria del BIM dettati dal D.M. n. 560 del 2017 per verificare come le stazioni appaltanti risponderanno alle sollecitazioni della disciplina appena commentata. Una cosa è certa: il caso risolto dal TAR Milano è solo il primo dei molti che, di qui in avanti, i tribunali amministrativi saranno chiamati a risolvere, in ragione delle scelte progressiste e strategicamente orientate effettuate dal legislatore dei contratti pubblici.

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