Riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale in favore del figlio rifiutato dal padre
02 Marzo 2018
Massima
Il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di un figlio integra, da un lato, la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, e determina, dall'altro, un danno non patrimoniale dovuto al grave stato di sofferenza per la deprivazione della figura parentale paterna, consistente nelle ripercussioni sociali e personali derivanti dalla consapevolezza di non essere ma stato desiderato come figlio e di essere, anzi, rifiutato. Il caso
Un uomo ultracinquantenne conveniva in giudizio gli eredi del proprio presunto padre biologico, al fine di ottenere dichiarazione giudiziale di paternità e per far valere in sede risarcitoria il disinteresse morale e materiale mostrato dall'uomo nei propri confronti. L'attore assumeva, più esattamente, di non essere stato riconosciuto alla nascita dal padre, e che questi si era interessato di lui facendogli visita solo nel suo primo anno di vita, interrompendo poi ogni ulteriore rapporto. La madre dell'attore aveva in seguito sposato un altro uomo, che aveva quindi riconosciuto il bambino come figlio proprio. L'attore aveva appreso dell'esistenza del padre biologico durante l'adolescenza e nel 2008, aveva impugnato il riconoscimento effettuato dal marito della madre. Con sentenza del 27 ottobre 2009, il Tribunale di Cagliari aveva accolto la domanda dichiarando che l'attore non era figlio del coniuge della madre, con conseguente riacquisto del cognome materno. A questo punto, l'uomo adiva una seconda volta il Tribunale di Cagliari per ottenere, nei confronti degli eredi del padre biologico, premorto nel 2003, l'accertamento della paternità e il risarcimento del danno non patrimoniale subito. I convenuti resistevano alla domanda negando la dedotta paternità. Venivano assunte prove testimoniali e veniva effettuata CTU ematologica previa esumazione della salma del presunto padre, la quale riscontrava la probabilità estremamente elevata (99,99%) del rapporto di paternità biologica. Le prove testimoniali confermavano, a loro volta, la sussistenza del rapporto di paternità, l'intervenuta frequentazione tra padre e figlio, nonché l'abbandono materiale e morale. Il Tribunale accoglieva conseguentemente la domanda dichiarando l'attore figlio del padre premorto, con facoltà di anteporre, aggiungere o sostituire il cognome paterno a quello della madre; condannava, quindi, i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento del danno non patrimoniale liquidandolo in Euro 54.660,00 oltre interessi legali dalla data della decisione al saldo. La questione
Nella fattispecie decisa dal Tribunale di Cagliari vengono in considerazione due azioni e precisamente l'azione di dichiarazione giudiziale della paternità di cui all'art. 269 c.c. e l'azione aquiliana di cui agli artt. 2043 e 2059 c.c., quest'ultima fondata sulla violazione degli obblighi genitoriali, da parte del presunto padre. Casi come questo, da catalogare tra le fattispecie di responsabilità endofamiliare, giungono sempre più frequenti all'attenzione dei Giudici, spesso con esiti di accoglimento della domanda riparatoria.
La vicenda in esame si caratterizza per il fatto che la domanda è stata formulata quando il padre biologico dell'attore era già morto, e dunque nei confronti degli eredi di questi; l'identità degli eredi non è indicata espressamente nella sentenza ma presumibilmente si tratta della vedova e dei figli (risulta, infatti, che l'uomo si era sposato e aveva avuto quattro figli). Astrattamente, tale circostanza solleva la questione della legittimazione passiva degli eredi del presunto genitore premorto, questione che viene risolta positivamente dall'art. 276 c.c. e che, invero, non viene in discussione nella specie. È comunque utile richiamare la disposizione suddetta ai sensi della quale la domanda per la dichiarazione di paternità va proposta nei confronti del presunto genitore e, in sua mancanza, nei confronti dei suoi eredi (si veda altresì Cass. civ., 16 maggio 2014, n. 10783).
Al centro della considerazione del Tribunale sardo vi è piuttosto l'accertamento della paternità e la verifica dei presupposti per l'accoglimento della domanda aquiliana relativa ad una fattispecie tipica di illecito endofamiliare, costituito dal mancato riconoscimento del figlio da parte del genitore e dal disinteresse materiale e morale nei suoi confronti. Le soluzioni giuridiche
La sentenza in commento affronta il tema, di interesse crescente tra gli operatori giuridici, della responsabilità civile endofamiliare, con riferimento al segmento specifico del mancato riconoscimento del figlio da parte del genitore e del disinteresse nei suoi confronti. I Giudici cagliaritani hanno valutato la domanda risarcitoria formulata dal figlio non riconosciuto e trascurato dal padre sottoponendo a verifica gli elementi compositivi della clausola generale del neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c., ovverosia, la condotta illecita, la lesione ingiusta di prerogative soggettive di rango costituzionale, il nesso eziologico tra la condotta e la lesione suddetta, ed, infine, il danno conseguitone in capo alla vittima: - per quanto riguarda la verifica del primo elemento, la motivazione fa perno sui riscontri della prova testimoniale assunta e della CTU ematogenetica, e sui principi affermati dalla Cassazione in tema di procreazione e responsabilità genitoriale. Più specificamente, mediante il riferimento a Cass. civ., 22 novembre 2013, n. 26205 e a Cass. civ.,10 aprile 2012, n. 5652, la pronuncia in esame identifica propriamente la condotta illecita nel disinteresse del padre ovverossia nella violazione degli obblighi genitoriali di mantenimento, istruzione ed educazione della prole; - la lesione di prerogative soggettive fondamentali determinata dall'inosservanza dei doveri suddetti (secondo e terzo elemento) viene a sua volta correttamente individuata nella «lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione, che trovano negli artt. 2 e 30 Cost. - oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento - un elevato grado di riconoscimento e tutela»; - il danno – conseguenza non patrimoniale – viene, quindi, ravvisato nel «grave stato di sofferenza per la deprivazione della figura parentale paterna, consistente nelle ripercussioni sociali e personali derivanti dalla consapevolezza di non essere mai stato desiderato come figlio e di essere anzi rifiutato», laddove tale danno viene altresì descritto come «vuoto emotivo, relazionale e sociale». L'ultima parte della decisione è dedicata alla liquidazione del danno. Il Collegio stima l'indennizzo spettante alla vittima facendo riferimento al «parametro equitativo del danno da perdita parentale» precisando che esso non può essere assunto in modo integrale, stante la non definitività della lesione «sempre eliminabile o suscettibile di attenuazione». Il parametro della perdita parentale viene, pertanto, rapportato al periodo che va dalla nascita dell'attore alla morte del padre (43 anni). Ma non solo. Il Collegio osserva, altresì, che il travaglio emotivo per l'assenza del padre si sviluppa soprattutto nel periodo infantile e dell'adolescenza, quando il figlio ha necessità di punti di riferimento e di confronto e aggiunge che detto periodo è stato parzialmente coperto dalla presenza del coniuge della madre, il quale aveva anche riconosciuto l'attore come figlio. Ciò aveva consentito - sempre secondo quanto si legge nella motivazione - un adeguato percorso di vita nell'ambito lavorativo e relazionale. Alla fine, soppesati tutti tali elementi, il Tribunale liquida una somma pari ad 1/3 di quella minima prevista dalle tabelle di Milano per la perdita di un genitore, ovverossia la somma di Euro 54.660,00. La sentenza esclude la rivalutazione essendo le somme liquidate ai valori attuali (id est, i valori delle tabelle di Milano vigenti all'epoca della liquidazione) e puntualizza doversi considerare incluso altresì il danno da ritardato adempimento sulla base del criterio additato dalla Cassazione (Cass. civ., S.U., 17 febbraio 1995, n. 1712). Osservazioni
La decisione in commento si inserisce nel filone giurisprudenziale della responsabilità civile cd. endofamiliare, e, all'interno di essa, nel segmento della responsabilità del genitore per mancato riconoscimento e disinteresse verso il figlio. Il panorama giurisprudenziale offre non pochi esempi di accoglimento della domanda risarcitoria e di conseguente condanna del genitore trascurante al risarcimento del danno non patrimoniale subito dal figlio negletto. Le pronunce di merito che hanno inaugurato tale filone sono entrambe del 2004. La prima, App. Bologna, 10 febbraio 2004 ebbe notevole eco per l'ammontare milionario della posta risarcitoria attribuita alla vittima; l'altra, Trib. Venezia, 30 giugno 2004 rappresentò un esempio istruttivo di accurata individuazione delle ripercussioni pregiudizievoli prodottesi nella vittima. Si vedano poi le più recenti Trib. Pordenone, 20 luglio 2009; Trib. Sulmona, 26 novembre 2012; Trib. Roma, sez. I, 7 giugno 2016, fino alla recentissima Trib. Matera, 6 dicembre 2017. La sequenza argomentativa seguita dalla sentenza qui in esame è analoga alle altre pronunce del segmento. Il Collegio esordisce con il richiamo dei principi fissati da Cass. civ., sez. I, 22 novembre 2013, n. 26205, così riproposti: a) l'obbligo dei genitori di mantenere ed educare i figli deriva dalla procreazione in sé e per sé considerata; b) vi è dunque automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione; c) tale connessione imprescindibile costituisce il fondamento della responsabilità aquilana da illecito endofamiliare, nell'ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l'assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore; d) il presupposto per il sorgere della responsabilità è dato dalla consapevolezza del concepimento, laddove questa non si identifica con la certezza assoluta derivante dalla prova ematologica, ma si compone di una serie di indizi univoci, quali la consumazione di rapporti sessuali non protetti all'epoca del concepimento. I passaggi di cui sopra attengono, come è evidente, al primo elemento della fattispecie aquiliana, ovverossia alla condotta illecita, che il Tribunale sardo vaglia attentamente e riscontra sulla base delle prove testimoniali assunte: «...è risultato provato che il Nu. fosse pienamente consapevole della propria paternità, ed abbia mantenuto i rapporti con il figlio per circa un anno, prima di interromperli definitivamente». Il Collegio sardo non si sofferma, invece, sull'elemento soggettivo, sebbene sia di tutta evidenza che si trattò di dolo, nel senso di consapevolezza e volontarietà della condotta omissiva. L'uomo, infatti, era ben consapevole della propria paternità, tanto che frequentò il bambino per il primo anno di vita. Di certo, la considerazione della volontarietà della condotta omissiva avrebbe potuto indurre il collegio a liquidare un risarcimento più elevato, così come si coglie in altre pronunce relative a casi simili (tra tutte spicca la storica decisione Trib. Venezia, 30 giugno 2004. Né varrebbe obiettare a contrario che la responsabilità civile, nel nostro ordinamento, riveste una funzione soltanto riparatoria. Si richiama, in merito, la decisione delle Sezioni Unite (Cass. civ., S.U., n. 16601/2017, v. M. Bona, Le Sezioni Unite n. 16601/2017: nessuna nuova prospettiva per i “punive damages interni”, e M. Hazan, I “danni punitivi” nella rc auto e nella rc sanitaria: cosa cambia dopo le Sezioni Unite?, in RIDARE.it) che ha incrinato il suddetto orientamento, affermando che «alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema le funzioni di deterrenza e sanzionatoria». Riguardo al danno, la sentenza si occupa del solo danno non patrimoniale mentre non affronta questioni relative all'omesso mantenimento. Ciò, tuttavia, trova ragione (stando a quanto riportato in sentenza) nell'avere l'attore limitato la domanda risarcitoria al solo danno non patrimoniale; e ciò nonostante egli avesse lamentato anche il mancato apporto economico. Riguardo a tale danno, poi, sempre secondo quanto si ricava dalla pronuncia, l'attore aveva lamentato un danno di natura sofferenziale, e non anche esistenziale quale - per esempio - potrebbe ravvisarsi, in fattispecie come questa, nell'impossibilità o difficoltà di conseguire un titolo di studi superiore, di realizzare un determinato traguardo professionale, e via dicendo. Pur tuttavia, correttamente, il Tribunale considera il danno non patrimoniale nella sua natura composita, di danno morale ed esistenziale, come si coglie nella pur sintetica descrizione di esso quale «grave stato di sofferenza per la deprivazione della figura parentale paterna, consistente nelle ripercussioni sociali e personali derivanti dalla consapevolezza di non essere mai stato desiderato come figlio e di essere anzi rifiutato (...) vuoto emotivo, relazionale e sociale». Tale danno non patrimoniale viene ritenuto in via presuntiva, senza il corredo di un'allegazione e prova specifica delle concrete ripercussioni prodottesi nella vita della vittima. Il ricorso al sistema presuntivo è del resto legittimo e favorevole allorquando il ricorso agli altri mezzi di prova risulti di fatto problematico (cfr. Cass. civ., n. 13546/2006). Tale difficoltà si riscontra, in effetti, in molti casi di illecito endofamiliare. Nondimeno, va considerato che per l'utile ricorso alle presunzioni, occorre pur sempre la prova del cd. fatto-base. Esso, nella specie, è rappresentato dalla mancanza del padre, dal suo disinteresse verso il figlio, fatto accertato mediante prova testimoniale. Riguardo, infine, al quantum liquidato, va detto che la decisione è figlia del suo tempo, avendo fondato la doverosa liquidazione equitativa sulle oggigiorno imperanti tabelle di Milano, nonostante queste siano state elaborate per la liquidazione del danno da lesione del rapporto parentale del comparto “eso”. Del resto, la stessa Cassazione si è espressa favorevolmente per la estensibilità dei parametri tabellari milanesi alla responsabilità in famiglia, pur con gli opportuni adattamenti. Si veda Cass. civ., sez. I, 22 luglio 2014, n. 16657. Evidentemente l'applicazione di valori tabellari omogenei dovrebbe tendere a garantire uniformità di trattamento per casi simili. Occorre però precisare che tale uniformità potrà essere soltanto tendenziale, dato il concorso di variabili e circostanze eterogenee in ogni singola fattispecie che possono far pendere l'ago della bilancia verso l'alto o verso il basso, così come mostrano le pronunce di merito dell'ultimo periodo. Così, nella fattispecie decisa da Trib. Milano, sez. IX, 23 luglio 2014, la posta risarcitoria attribuita alla figlia trascurata dal padre venne quantificata in 40.000,00 euro; in quella decisa dalla recentissima sentenza materana l'ammontare liquidato è stato di 20.000,00. |