L'informazione da fonte "confidenziale" può giustificare le operazioni di intercettazione?

Luigi Giordano
05 Marzo 2018

Le informazioni da fonte “confidenziale” o “anonima” sono utilizzabili ai fini della valutazione dei gravi indizi di reità che giustificano le intercettazioni?

Le informazioni da fonte “confidenziale” o “anonima” sono utilizzabili ai fini della valutazione dei gravi indizi di reità che giustificano le intercettazioni?

L'art. 267, comma 1, c.p.p. richiede, ai fini dell'autorizzazione a disporre operazioni di intercettazione, che sussista la gravità indiziaria del reato per la quale si procede. Tale presupposto non attiene al profilo della colpevolezza di un determinato soggetto, ma alla esistenza di un reato.

Tale gravità indiziaria, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 267, comma 1-bis, e 203, comma 1-bis, c.p.p., non può essere fondata su fonti confidenziali o anonime, non verificabili.

Il divieto di utilizzazione delle notizie acquisite dalla polizia giudiziaria presso informatori, ai fini della valutazione del quadro indiziario presupposto per l'autorizzazione alle intercettazioni, però, non opera quando la stessa polizia giudiziaria abbia indicato negli atti le generalità complete dell'informatore ed abbia precisato in una relazione di servizio il contenuto delle notizie riferite da quest'ultimo (Cass. n. 6844/2011, dep. 2012).

La giurisprudenza, in particolare, opera una distinzione tra le informazioni acquisite sulla base di informazioni derivanti da operazioni di intercettazione non utilizzabili da quelle promananti da fonte confidenziale od anonima. Si evidenzia che è del tutto irrilevante che le intercettazioni siano state disposte nei confronti di un determinato soggetto od utenza, individuati sulla base di informazioni non utilizzabili, in quanto l'autorizzazione a disporre l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione presuppone l'esistenza di gravi indizi di reato e l'indispensabilità dell'intercettazione - oltre che l'esistenza di un fatto penalmente sanzionato, compreso tra quelli indicati nel primo comma dell'art. 266 c.p.p. - quali che siano i modi con cui la notizia è stata acquisita e la fonte da cui promana (Cass. n. 42763/2015). Il principio è stato affermato con riferimento al caso di intercettazioni telefoniche ed ambientali che erano state autorizzate sulla base di confidenze informalmente riferite da un indagato agli ufficiali di p.g. all'atto del suo arresto, successivamente dallo stesso smentite in sede di interrogatorio.

Di contro, le informazioni confidenziali acquisite dagli organi di polizia giudiziaria determinano l'inutilizzabilità delle intercettazioni, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 267, comma 1-bis e 203, comma 1-bis, c.p.p. quando esse abbiano costituito l'unico elemento oggetto di valutazione ai fini degli indizi di reità.

Il divieto di utilizzo della fonte confidenziale, tuttavia, non è esteso anche ai dati utili per individuare i soggetti da intercettare, sempre che risulti l'elemento obiettivo dell'esistenza del reato e sia indicato il collegamento tra l'indagine in corso e la persona da sottoporre a captazione (Cass. n. 42763/2015; n. 39766/2014).

Pacifica è, inoltre, la piena utilizzabilità, ai fini della valutazione dei gravi indizi di reato in sede di autorizzazione delle intercettazioni, delle informazioni fornite da agenti di polizia giudiziaria operanti sotto copertura, la cui identità non sia disvelata, a condizione che sia stata rispettata la procedura autorizzativa prevista dalla legge, non essendo equiparabili alle informazioni di fonte confidenziale o anonima indicate nell'art. 203 c.p.p. (Cass. n. 25247/2016; n. 6778/2013, dep. 2014).

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