Le intercettazioni per la ricerca del latitante

05 Marzo 2018

Le informazioni da fonte confidenziale o anonima sono utilizzabili ai fini dell'autorizzazione per intercettazioni per ricerca dei latitanti?

Le informazioni da fonte confidenziale o anonima sono utilizzabili ai fini dell'autorizzazione per intercettazioni per ricerca dei latitanti?

L‘art. 295, comma 3, c.p.p. consente la possibilità di disporre l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione, al fine di agevolare le ricerche del latitante, nei limiti e con le modalità previste dagli articoli 266 e 267 c.p.p.

I presupposti per l'autorizzazione di tali operazioni di intercettazione sono del tutto differenti rispetto a quelle ordinarie, mezzo di ricerca della prova della commissione di un reato, disciplinate dagli artt. 266 e ss. c.p.p. In particolare, nelle ipotesi di intercettazione previste dall'art. 295, comma 3, c.p.p. non è richiesta la sussistenza del presupposto della gravità indiziaria per la semplice ragione che lo stato di latitanza si fonda su di un vaglio preliminare già effettuato in sede di emissione di un'ordinanza cautelare ovvero di un ordine di esecuzione conseguente ad una sentenza di condanna definitiva.

La formula normativa dell'art. 295, comma 3, c.p.p., richiama i limiti e le modalità previste dagli articoli 266 e 267, mentre nessun rinvio è operato ai limiti di utilizzabilità delle captazioni da fonte anonima ex art. 203 c.p.p. Ciò impone una lettura sistemica della norma, che consente di individuare i seguenti principi:

  • l'art. 267 c.p.p., comma 1-bis, cod. proc. pen. nella parte in cui rinvia all'art. 203 c.p.p. adoperando la frase "valutazione dei gravi indizi di reato" – che ripropone alla lettera, quella di cui al comma 1 ("gravi indizi di reato") – non si riferisce alle intercettazioni dirette alla agevolazione della ricerca del latitante, ma solo a quelle disposte per la ricerca del reato;
  • alle intercettazioni disposte per la ricerca del latitante non si applicano, dunque, le disposizioni di cui all'art. 203 cod. proc. pen., potendo essere autorizzate anche sulla base di informazioni anonime (Cass. n. 39380/2010; Cass. n. 298/2009, dep. 2010; Cass. n. 24178/2007);
  • i risultati delle intercettazioni disposte per la ricerca del latitante, anche sulla base di informazioni anonime, possono essere utilizzati, a norma dell'art. 295 c.p.p., anche in procedimenti diversi ove risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza, non valendo i divieti di utilizzazione di cui all'art. 271 c.p.p. che, non a caso, non richiama l'art. 295, comma 3, c.p.p. (Cass. n. 9185/2012).

Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni disposte per la ricerca di latitanti possono, dunque, essere autorizzate anche sulla base di informazioni anonime, prescindendo dai presupposti per l'applicazione dell'art. 203 cod. proc. pen., e possono essere utilizzate anche in procedimenti diversi, non operando in tal caso i divieti di utilizzazione posti dall'art. 271 c.p.p.

Tale ultimo assunto, che appare pacifico nel panorama giurisprudenziale, trova un solo arresto, peraltro non recente, apparentemente distonico (Cass. n. 1812/2006, dep. 2007), che pur richiama la necessità del rispetto dei presupposti di cui all'art. 266 e ss. cod. proc. pen., ma in concreto condivide la ritenuta inutilizzabilità ex art. 271 c.p.p., comma 1, della intercettazione disposta ai fini di ricerca del latitante per un profilo del tutto diverso, in quanto il decreto autorizzativo del P.M. e la convalida del G.I.P. non contengono alcuna motivazione sulle ragioni che avevano consentito di utilizzare per la esecuzione della intercettazione gli impianti in dotazione dei Carabinieri.

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