Successione e fallimento: profili concorsuali

Lorenzo Gambi
06 Marzo 2018

Il decesso dell'imprenditore commerciale assume rilevanza, in sede concorsuale, con riferimento ad una duplice ipotesi: l'evento può verificarsi prima che sia emessa la sentenza dichiarativa di fallimento, ovvero in un momento successivo.
Premessa

Il decesso dell'imprenditore commerciale assume rilevanza, in sede concorsuale, con riferimento ad una duplice ipotesi: l'evento può verificarsi prima che sia emessa la sentenza dichiarativa di fallimento, ovvero in un momento successivo.

Entrambe le ipotesi sono disciplinate dalla legge fallimentare.

Il decesso dell'imprenditore ante fallimento

Il primo caso è trattato dall'art. 11 l. fall.

Tale norma è applicabile alle sole imprese individuali: essa presuppone una sorta di “sopravvivenza” del patrimonio d'impresa rispetto al proprio titolare, persona fisica.

L'art. 11 prevede, richiamando l'art. 10 l. fall., che la sentenza dichiarativa di fallimento non possa intervenire trascorsi dodici mesi dalla morte dell'imprenditore; analoga disposizione si applica per il decesso del socio illimitatamente responsabile di società di persone.

Trattasi di un termine perentorio, rispettato solo ove, entro l'anno dall'evento, sia pubblicata la sentenza dichiarativa di fallimento, non rilevando il semplice deposito del relativo ricorso.

Ove, prima del decesso del debitore, vi sia stata la cancellazione dal Registro delle Imprese – ovvero la cessazione dell'attività d'impresa –, il termine annuale retroagisce, decorrendo dalla cancellazione ovvero dalla cessazione dell'attività economica, e non dalla morte del fallito, ma è in facoltà del creditore e/o del pubblico ministero dar prova del momento in cui sia occorsa l'effettiva cessazione dell'attività d'impresa, ai fini della decorrenza del termine annuale.

Fermo tale limite annuale, lo stato d'insolvenza del debitore – presupposto del fallimento post mortem –può derivare anche da eventi successivi al suo decesso.

Anche l'erede può chiedere il fallimento del de cuius, purché l'eredità non sia già confusa con il suo patrimonio. Può, pertanto, promuovere il fallimento del debitore l'erede che abbia accettato con beneficio d'inventario

In questo caso, l'erede non è tenuto ad assolvere gli obblighi relativi al deposito della documentazione contabile ex artt. 14 e 16, comma 2, n. 3), l. fall.; non è inoltre obbligatoria la sua audizione in sede di istruttoria prefallimentare (Cass., civ. sez. I, 7 febbraio 2006, n. 2594), salvo che l'erede non sia, a sua volta, imprenditore, ovvero non lo sia diventato per effetto della prosecuzione dell'attività d'impresa ereditaria (Cass., civ. sez. I, 25 maggio 1993, n. 5869).

Per quanto l'erede non imprenditore non possa fallire, egli può invero ben avere interesse a partecipare all'istruttoria fallimentare, avendo potuto disporre del patrimonio del de cuius nelle more della dichiarazione di fallimento; in ogni caso, l'erede può opporsi alla dichiarazione di fallimento del debitore defunto.

Ove l'erede abbia accettato in modo puro e semplice, con il fallimento del de cuius vengono a formarsi due masse patrimoniali, l'una, comprendente il patrimonio del defunto, destinata ai propri creditori (Cass., civ. sez. I, 28 dicembre 1998, n. 12846), l'altra, comprendente il patrimonio dell'erede, destinata a soddisfare sia i creditori dell'erede, sia i creditori del defunto, e ciò in forza della responsabilità del primo per i debiti del secondo (Cass., civ. sez. I, 24 aprile 1987, n. 4053).

I creditori dell'erede possono far valere i propri diritti sui beni ereditari nei limiti della parte che residui dopo la chiusura del fallimento del de cuius, dunque solo in caso di sussistenza di residuo attivo in tale sede concorsuale (Cass., civ. sez. I, 25 novembre 1977, n. 5134).

Peraltro, il fallimento del defunto non può essere dichiarato qualora, per effetto dell'accettazione pura e semplice dell'eredità da parte dell'erede, la confusione del patrimonio di quest'ultimo con quello del debitore abbia determinato la rimozione dello stato d'insolvenza (mancanza del presupposto).

Ove sia egli stesso imprenditore commerciale, ovvero lo sia diventato per effetto della prosecuzione dell'attività ereditaria, l'erede può fallire: in questo caso, si ritiene che non sia applicabile alcun limite temporale ai fini della propria dichiarazione di fallimento.

Con il fallimento dell'erede, i due patrimoni restano separati.

I creditori del defunto possono concorrere nel fallimento dell'erede nei soli limiti del credito non soddisfatto nell'ambito del fallimento del de cuius.

I creditori dell'erede non concorrono nel fallimento del defunto: qualora però residui, dopo la chiusura di quest'ultima procedura, un determinato attivo, lo stesso sarà acquisito al fallimento dell'erede.

Ove l'erede abbia accettato con beneficio d'inventario, in caso di opposizione da parte di creditori e/o legatari, la liquidazione fallimentare prevale sulla procedura di liquidazione ex art. 498 c.p.c.

L'art. 11, ultimo comma, l. fall. dispone, poi, che con il fallimento del debitore cessano gli effetti della separazione dei beni ottenuta dai creditori, secondo le norme civilistiche (art. 517 ss. c.c.).

Infine, in caso di fallimento post mortem dell'imprenditore restano applicabili i criteri generali in punto di revocatoria, e ciò anche in relazione ai negozi giuridici posti in essere – nelle more del dichiarando fallimento – dagli eredi (salvo, peraltro, che non abbiano accettato l'eredità con beneficio d'inventario ed i relativi negozi siano stati autorizzati dall'Autorità giudiziaria ex art. 493 c.c.).

Il decesso dell'imprenditore post fallimento

Il secondo caso (decesso dell'imprenditore post fallimento) è disciplinato dall'art. 12 l. fall.

Se il debitore muore dopo l'apertura del concorso, la procedura non si interrompe, proseguendo nei confronti degli eredi, e ciò ove anche gli stessi abbiano accettato l'eredità con beneficio d'inventario.

Lo stesso discorso vale per il caso della morte del socio illimitatamente responsabile successivamente alla sentenza di fallimento nei confronti della società personale.

La procedura non prosegue nei confronti dei legatari.

La prosecuzione del fallimento nei confronti degli eredi, secondo la lettera dell'art. 12, comma 1, l. fall. presuppone che gli stessi abbiano accettato l'eredità: pertanto, sino a quando il chiamato all'eredità non abbia accettato, la procedura non può proseguire nei suoi confronti.

Se l'effetto dello spossessamento si verifica sin dall'apertura del concorso, con il decesso del debitore vengono meno anche gli effetti personali del fallimento (nonché, ovviamente, quelli penali).

La successione non interferisce con la procedura; quest'ultima riguarda un patrimonio “spossessato” e, dunque, separato dal patrimonio personale dell'erede, e ciò – si ritiene – ove anche l'erede abbia accettato in modo puro e semplice.

L'erede, subentrato con l'accettazione nella titolarità del patrimonio ereditario, non ne potrà disporre se non dopo il compimento della procedura concorsuale.

Gli eredi, sotto il profilo processuale, vengono a trovarsi nella stessa posizione del fallito, con i limiti d'intervento ex art. 43, comma 2, l. fall.

Qualsiasi pretesa dell'erede che sia correlata all'apertura della successione ovvero all'efficacia delle disposizioni testamentarie è da intendersi inopponibile verso la procedura (art. 44 l. fall.).

Ove vi sia pluralità di eredi, la procedura “prosegue” nei confronti di colui che sia stato designato dagli eredi quale proprio rappresentante.

In mancanza di accordo entro quindici giorni dal decesso del debitore, la designazione del rappresentante è fatta dal giudice delegato, ex art. 12, comma 2, l. fall.

La norma non dice del soggetto legittimato a chiedere tale designazione: si ritiene che possa provvedervi anche il curatore fallimentare.

Nelle more della designazione del rappresentante comune, pur non interrompendosi il procedimento fallimentare, gli organi della procedura sono tenuti a sospendere quelle operazioni che – in vita il debitore – avrebbero presupposto la sua presenza, ovvero l'esercizio della facoltà di reclamo da parte del medesimo.

Non vi è, però, norma che disciplini eventuali effetti sanzionatori in caso d'inosservanza di tale “dovere” di sospensione.

Peraltro, secondo la Cassazione, qualora le informazioni sulla procedura siano state portate a conoscenza di tutti gli eredi, non assume alcuna rilevanza l'eventuale omessa nomina del rappresentante comune (Cass., civ. sez. I, 22 luglio 2011, n. 16115).

Da ultimo, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 12 l. fall., il fallimento prosegue nei confronti del curatore dell'eredità giacente ex art. 528 c.c., nonché dell'amministratore dell'eredità sottoposta a condizione ex artt. 641-642 c.c.

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