Sì al mantenimento del maggiorenne che rifiuta di lavorare nell’azienda del padre con cui è in conflitto
09 Marzo 2018
Massima
L'obbligo del genitore di provvedere al mantenimento del figlio non viene meno automaticamente con il raggiungimento della maggiore età di quest'ultimo, ma perdura finché il genitore onerato non provi che il figlio è divenuto economicamente indipendente, ovvero che lo stesso si rifiuti ingiustificatamente di cogliere le occasioni ordinarie per raggiungere la propria indipendenza (c.d. colpevole inerzia). Quest'ultima ipotesi non viene ravvisata nella condotta del figlio maggiorenne che, inserito, ancora studente, nell'azienda del padre con cui ha un rapporto conflittuale, abbia deciso di non proseguire. Tale esperienza, infatti, non deve essere considerata un'occasione di inserimento stabile nel mondo del lavoro ma più propriamente una fase del rapporto dialettico genitore-figlio. Il caso
Un padre si rivolgeva al Tribunale di Parma per ottenere la revoca dell'assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne, originariamente stabilito dal Tribunale per i Minorenni dell'Emilia Romagna nel 2001. A sostegno della propria domanda, il ricorrente adduceva che il ragazzo, nelle more divenuto maggiorenne, non aveva sfruttato l'opportunità di lavorare nell'azienda paterna e di diventare economicamente indipendente. Avendo il Giudice di prime cure ridotto – ma non revocato – l'importo dell'assegno, il padre proponeva appello, mentre madre e figlio presentavano appello incidentale. La Corte di Appello di Bologna con sentenza 20 maggio 2016 rigettava il ricorso del padre e accoglieva parzialmente l'appello incidentale della madre e del figlio, disponendo che il padre continuasse a versare a titolo di mantenimento del figlio maggiorenne la medesima somma originariamente determinata dal Tribunale per i Minorenni. La Corte territoriale motivava la propria decisione sostenendo che non poteva ravvisarsi colpevole inerzia nella condotta del ragazzo, sul cui percorso di studi aveva interferito il tentativo di inserimento nell'azienda paterna, fallito anche in ragione del significativo deterioramento del rapporto padre-figlio, caratterizzato da un forte divario generazionale (ben 70 anni di differenza) e da una certa confusione di ruoli, essendo il padre titolare dell'azienda di cui il figlio era dipendente. Il padre ricorreva, quindi, in Cassazione, assumendo la violazione del principio di diritto affermato dalla Suprema Corte nella sentenza Cass. civ., n. 1858/2016 (secondo cui l'obbligo al mantenimento cessa anche quando il genitore onerato provi che il figlio pur posto nella condizione di addivenire ad una autonomia economica non ne abbia tratto profitto, sottraendosi volontariamente allo svolgimento di un'attività lavorativa adeguata e corrispondente alla professionalità acquisita) e la sussistenza nel caso di specie della prova della colpevole inerzia del figlio. La Corte di legittimità, con la sentenza in commento, rigetta il ricorso del padre, ritenendo sufficientemente e correttamente motivata la sentenza della Corte di appello di Bologna, che aveva escluso la sussistenza della colpevole inerzia del figlio sul presupposto che il fallito tentativo del suo inserimento nell'azienda del padre fosse da imputare al difficile rapporto del figlio-dipendente con il padre-titolare dell'azienda, oltre che alla notevole differenza d'età esistente tra i due. La questione
Può ravvisarsi colpevole inerzia, rilevante ai fini della revoca del diritto al mantenimento, nella condotta del figlio maggiorenne, ancora studente universitario, che rifiuti di lavorare nell'azienda del padre con cui abbia un rapporto conflittuale? Le soluzioni giuridiche
La sentenza in commento affronta il tema del mantenimento in favore dei figli maggiorenni, disciplinato dall'art. 337-septies, comma 1,c.c.. Tale disposizione ha ripreso testualmente quella dell'abrogato art. 155-quinquies c.c. ed individua, indirettamente, il momento di cessazione dell'obbligo di mantenimento del figlio nel raggiungimento dell'indipendenza economica dello stesso. Tuttavia, affinché il figlio maggiorenne conservi il diritto ad essere mantenuto dai propri genitori, è richiesto che la condizione di non autosufficienza economica non dipenda da una sua colpevole inerzia, ravvisabile in chi, ad esempio, non si impegni a sufficienza negli studi allungando sensibilmente la durata del percorso universitario, ovvero non si attivi nel reperimento di un'occupazione lavorativa, ovvero ancora rifiuti proposte lavorative ordinarie e confacenti alle capacità acquisite. Di conseguenza, il figlio maggiorenne perde il diritto al mantenimento se viene ravvisata nella sua condotta un'inerzia non giustificata nel percorso verso il raggiungimento dell'indipendenza economica. Ai fini dell'accertamento della colpevole inerzia nel caso concreto rilevano diversi fattori, quali l'età del figlio, la condizioni economiche della famiglia, il percorso formativo prescelto, le aspirazioni, ecc.. Il requisito della colpevole inerzia, quale condizione per l'estinzione del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, non è previsto espressamente in alcuna norma di legge: esso è stato elaborato in dottrina e successivamente adottato dalla giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, sino ad assurgere a principio ormai consolidato. Può in ogni caso sostenersi che, pur non essendo esplicitamente previsto dalla legge, esso rientri nelle diverse “circostanze” che, ex art. 337-septies c.c., il Giudice è tenuto a valutare nel caso concreto per poter disporre (o non revocare) l'assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne. Nel caso di specie, la Corte di appello non ha ravvisato colpevole inerzia nella condotta del figlio che, ancora studente universitario, non ha sfruttato la possibilità offertagli da padre di lavorare nell'azienda di famiglia. Il padre è ricorso in Cassazione, lamentando la raggiunta prova della colpevole inerzia del ragazzo e la violazione del principio di diritto espresso dalla Suprema Corte nella sentenza Cass. civ., n. 1858/2016. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando così la sentenza del Giudice di secondo grado. Secondo i Giudici di legittimità, la Corte Territoriale aveva escluso la sussistenza della colpevole inerzia del figlio sulla base di diverse circostanze (il rapporto conflittuale esistente tra i due, anche a causa del divario d'età di 70 anni, la circostanza che il ragazzo al momento dell'offerta fosse ancora studente universitario, la confusione dei ruoli creatisi all'interno dell'azienda tra padre-titolare e figlio-dipendente), per cui le critiche mosse dal ricorrente alle motivazioni della sentenza appellata si risolvevano in un'inaccettabile richiesta di riesame delle risultanze processuali e in una diversa selezione dei fatti e degli elementi rilevanti emersi nella fase di merito (Cass. civ., S.U., n. 8053/2014). L'esclusione della colpevole inerzia nel caso di specie potrebbe apparire in contrasto con i precedenti arresti della Corte di Cassazione in tema e, in particolare, con la sentenza Cass. civ., n. 1858/2016 richiamata dal ricorrente. Tuttavia, così non è considerato che, in ragione delle succitate circostanze di fatto esaminate dalla Corte di Appello, l'inserimento del figlio studente nell'azienda del padre non può essere considerata un'occasione lavorativa ordinaria ma si trasforma in una fase della dialettica genitore-figlio e non testimonia né un inserimento stabile nel mondo del lavoro, né un problematico approccio ad esso da parte del figlio maggiorenne. Tale impostazione è, quindi, conforme al principio espresso nella succitata sentenza della Suprema Corte, in base al quale non un qualsiasi rifiuto di un'offerta lavorativa da parte del figlio maggiorenne assume rilevanza ai fini della cessazione del diritto al mantenimento, ma solo il rifiuto nei confronti dello svolgimento di un'attività lavorativa adeguata e corrispondente alla professionalità acquisita. Osservazioni
Il tema del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne è molto sentito nella società attuale, in cui l'età media dei giovani che entrano nel modo del lavoro si è alzata sensibilmente, con evidenti riflessi pratici. La sentenza in esame si pone, nonostante l'apparente distanza, sulla scia del consolidato principio secondo cui il mantenimento non viene meno automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma perdura immutato fintantoché il genitore interessato non provi che il figlio abbia raggiunto l'indipendenza economica o rifiuti ingiustificatamente di cogliere le occasioni ordinarie per raggiungere la propria indipendenza. Tale arresto ha il pregio di chiarire il concetto di colpevole inerzia del figlio maggiorenne relativamente al rifiuto di accettare offerte lavorative. Per essere colpevole e rilevante, infatti, il rifiuto deve riguardare offerte lavorative ordinarie, che testimonino un inserimento stabile nel mondo del lavoro. Tale requisito non è stato ravvisato nella rinuncia del figlio, ancora studente universitario, di lavorare nell'azienda del padre, con cui abbia un rapporto conflittuale. - M. S. Esposito, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne tra aspirazioni personali e colpevole inerzia, in Fam. e Dir., Milano, 2017, 2, 135. - C. Magli, Sulla persistenza del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, in Fam. e Dir., Milano, 2014, 3, 243. - G. Iorio, Il fondamento dell'estinzione dell'obbligo di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni, in Fam. e Dir., Milano, 2012, 11, 1067. |