Genitore pubblica sui social network foto e notizie del figlio minore: interviene d'ufficio il Giudice
12 Marzo 2018
Massima
Allorché un genitore, senza il consenso del figlio, continui a pubblicare sui social network immagini e notizie relative alla vita privata del minore, peraltro in violazione di un precedente divieto posto dall'Autorità giudiziaria, il Giudice può intervenire anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c., imponendo non solo l'immediata cessazione pro futuro delle condotte lesive del diritto alla vita privata del figlio minore, ma altresì la rimozione delle immagini e delle notizie già pubblicate, prevedendosi inoltre l'applicazione dell'istituto dell'astreinte ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c., pur in assenza di specifica richiesta di parte; tale potere rientra infatti tra le attribuzioni ufficiose del Giudice che è competente ad adottare, anche motu proprio, ogni misura ritenuta utile a perseguire la finalità di tutela della persona del minore. Il caso
Il Tribunale di Roma è stato investito del procedimento divorzile coinvolgente due genitori, entrambi già sospesi dall'esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti del figlio all'esito del precedente giudizio di separazione; in favore del minore, successivamente, era stato nominato un Tutore provvisorio e, nel corso del giudizio divorzile, anche un Curatore speciale. Nel corso del procedimento di divorzio era emersa la volontà del ragazzo, ormai sedicenne, di proseguire gli studi all'estero con la speranza che, grazie a tale trasferimento, potesse cessare finalmente la continua diffusione di informazioni sulla sua situazione e sulla sua vicenda familiare, operata dalla madre mediante la costante pubblicazione di foto e notizie sui social network. Proprio a causa dell'eccesso di attivismo “social” della madre, infatti, tutti i suoi coetanei, amici o anche semplici conoscenti, erano venuti negli anni a conoscenza sia della sua complessa vicenda familiare sia di numerose informazioni sensibili relative alla sua vita privata. Il ragazzo aveva manifestato un forte senso di disagio di cui il Giudice era venuto a conoscenza tramite le numerose segnalazioni da parte del Curatore speciale nominato in corso di giudizio, dei Servizi sociali e del terapeuta del ragazzo. Il Giudice Istruttore, con propria ordinanza, ha quindi ritenuto di dover intervenire a tutela del minore, la cui privacy ed il cui benessere psicofisico sono risultati gravemente turbati dalle condotte materne e ha ordinato alla madre, ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c., di cessare le condotte lesive, inibendo pro futuro la pubblicazione di notizie ed immagini relative al minore sui social network. Ha, inoltre, imposto alla stessa di provvedere alla rimozione di tutte le fotografie e di tutti i post già pubblicati, entro un termine prestabilito. Al fine di garantire il rispetto dell'ordine di rimozione, il provvedimento è stato assunto nella forma dell'astreinte, con previsione della condanna della madre al pagamento di una somma in favore del padre e del Tutore del figlio minore per ogni giorno di mancata ottemperanza a decorrere dal termine assegnato. La questione
Esiste un diritto del figlio minore a non subire indebite ingerenze nella propria sfera privata ad opera del genitore? Quali sono gli strumenti giuridici che consentono di approntare un'adeguata tutela alla sua persona? Le soluzioni giuridiche
Il provvedimento in commento affronta una questione di stringente attualità: la pubblicazione non autorizzata, sui social network, di fotografie e notizie relative a persone di età minore. Nel caso di specie, la particolarità è che l'autore della condotta lesiva è il genitore stesso, per l'esattezza la madre. Per il Tribunale l'attività del genitore che diffonde su internet, tramite post sulle bacheche dei social network, notizie, commenti o immagini relative alla vita privata del minore, senza il suo consenso, è una condotta idonea ad arrecare un grave pregiudizio alla vita privata ed alla reputazione del minorenne. Come tale, essa deve ritenersi illecita: l'Autorità giudiziaria ha perciò il potere non solo di inibire la prosecuzione della condotta, ma anche di ordinare la rimozione dai social network dei contenuti illeciti. L'ordinanza in esame non esplicita la base normativa a fondamento della decisione, ma si deve ritenere che sia stata riconosciuta la violazione del diritto all'immagine del minore, ai sensi dell'art. 10 c.c., a mente del quale si concretizza l'abuso dell'immagine altrui «qualora l'immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l'esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti»; a fronte di tale violazione, sempre l'art. 10 c.c. prevede che «l'autorità giudiziaria, su richiesta dell'interessato, può disporre che cessi l'abuso, salvo il risarcimento dei danni». Esiste dunque sicuramente un diritto del minore a non subire ingerenze illecite nella propria vita privata tutelato, quanto all'immagine, dall'art. 10 c.c., ed anche dagli artt. 96 e 97 l. n. 633/1941 sulla protezione del diritto d'autore; ma, più in generale, occorre riferirsi anche alla protezione offerta dall'art. 16 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata dall'Italia con l. n. 176/1991. Tale ultima disposizione vieta infatti ogni interferenza arbitraria nella vita privata dei minori costituendo il fondamento normativo che estende la tutela non solo all'immagine, ma più in generale alla sfera della privacy del minore, protetta dalle lesioni realizzate con la pubblicazione online di commenti o aggiornamenti non autorizzati dal soggetto minorenne che ne è protagonista. Non v'è dubbio che la pubblicazione di immagini e fotografie, pur in un contesto virtuale quale la bacheca di un social network, costituisce una condotta idonea a concretizzare una violazione del diritto all'immagine e alla privacy del minore. Anzi, proprio le modalità di realizzazione della condotta, che consentono una diffusione di tali contenuti immediata e rivolta ad una platea potenzialmente indeterminata di destinatari, rendono gli agiti della madre, nel caso di specie, particolarmente nocivi per il benessere psicofisico del figlio, attesa la particolare incidenza delle condotte sulla sfera della sua vita privata. Correttamente, quindi, non soltanto il Giudice, facendo ricorso ai poteri riconosciutigli ex officio dall'art. 709-ter c.p.c. ha ordinato l'immediata cessazione delle pubblicazioni illecite; ma, al fine di eliminare le conseguenze dannose connesse al permanere delle immagini e delle notizie diffuse online, ha imposto alla madre la rimozione entro un termine prefissato. Proprio al fine di munire della necessaria effettività l'intimazione rivolta al genitore, è stata anche prevista la condanna della madre al pagamento di una somma in favore del minore (per il tramite del suo Tutore) nonché dell'altro genitore, per ogni giorno di mancato adempimento dell'obbligo di cancellazione a decorrere dalla scadenza del termine. Si tratta di un'applicazione dell'istituto dell'astreinte già previsto dall'art. 614-bis c.p.c.; la particolarità del caso è che tale misura di coercizione indiretta viene applicata anche in assenza della richiesta di parte. Infatti, il Giudice ha ritenuto che l'istituto della condanna ex art. 614-bis c.p.c. potesse rientrare tra i «provvedimenti opportuni» adottabili anche officiosamente ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c. Soluzione, quest'ultima, che risulta peraltro confortata da precedenti giurisprudenziali specifici (Trib. Roma, 27 giugno 2014; Trib. Roma, 6 luglio 2012) e, più in generale, dall'esistenza di principi fondamentali dell'ordinamento giuridico che consentono al Giudice di intervenire, anche oltre o in assenza di petita partium, allorché si tratti di garantire la tutela dei diritti del minore rispetto a condotte lesive o comunque potenzialmente dannose. Osservazioni
Il provvedimento in commento segue ed amplia la portata di un precedente analogo deciso dal Tribunale di Mantova (Trib. Mantova, 19 settembre 2017). Anche in quel caso la quaestio iuris sottoposta all'attenzione del Giudicante era relativa alla valutazione della condotta tenuta da un genitore in danno del figlio, consistente nella pubblicazione non autorizzata di immagini e post sulle bacheche pubbliche delle reti sociali on-line, con pregiudizio per il diritto alla privacy del minore. Anche tale precedente giurisprudenziale si era soffermato sulla dannosità della condotta ed aveva evidenziato nel dettaglio le lesioni arrecate al diritto alla vita privata e all'immagine del minore, con esplicitazione (forse maggiore e più chiara di quanto avvenuto nel provvedimento in oggetto) dei fondamenti normativi della decisione (rinvenibili nell'art. 10 c.c., negli artt. 4, 7, 8 e 145, d.lgs. n. 196/2003, nonché negli artt. 1 e 16 della Convenzione di New York del 1989). Forse, il mancato espresso richiamo di tali “basi normative” nel provvedimento del Giudice capitolino può intendersi quale volontà di richiamare implicitamente la giurisprudenza del precedente mantovano: se così fosse, si tratterebbe di una scelta – anche stilistica – certamente condivisibile, dacché verrebbe sottolineata la consacrazione della soluzione giuridica già adottata in precedenza quale principio ormai incardinato nell'ordinamento, che dunque non abbisognerebbe più di ulteriori esplicitazioni. Ciò che rende il provvedimento romano particolarmente significativo è che esso, per la prima volta, a fronte dell'accertamento della violazione del diritto alla riservatezza ed all'immagine del minore da parte del genitore, non si è limitato ad ordinare un'inibitoria dei comportamenti censurati ma ha previsto la rimozione totale delle immagini e delle pubblicazioni illegittime, con il presidio dell'astreinte di cui all'art. 614-bis c.p.c., ritenuta applicabile d'ufficio. Si tratta di una decisione innovativa e particolarmente sensibile all'esigenza di tutela dei diritti del minore, la cui volontà in ordine al trattamento online dei propri dati personali risulta particolarmente valorizzata anche in vista dell'età (16 anni). Peraltro, il provvedimento del Tribunale di Roma anticipa le soluzioni normative che saranno presto diritto vigente, di matrice comunitaria: dal 25 maggio 2018 entrerà infatti in vigore il Regolamento (UE) n. 679/2016, il quale prevede la necessaria acquisizione del consenso del minore ultrasedicenne (o anche d'età inferiore, se così previsto dalle singole legislazioni nazionali) perché il trattamento di dati personali nell'ambito dell'offerta diretta di servizi della società dell'informazione (cioè il trattamento dei dati online) ai minori si possa ritenere lecito. |