Gianclaudio Festa
26 Marzo 2016

Il diritto amministrativo è fortemente influenzato dal diritto europeo, da sempre proteso a garantire la libera circolazione dei servizi nel cosiddetto “mercato unico”. La migliore dottrina ha evidenziato la funzione “servente” delle amministrazioni pubbliche rispetto agli interessi della collettività e l'evoluzione del sistema costituzionale, per effetto dell'art. 117, comma 1, ha visto accrescere l'importanza di valori nati nell'ambito comunitario, come quello della concorrenza, quale “contro limite” del potere autoritativo delle pubbliche amministrazioni e substrato assiologico della “ripubblicizzazione” delle schiere dei privati che svolgono attività di interesse pubblico.
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

Il diritto amministrativo è fortemente influenzato dal diritto europeo, da sempre proteso a garantire la libera circolazione dei servizi nel cosiddetto “mercato unico”.

La migliore dottrina ha evidenziato la funzione “servente” delle amministrazioni pubbliche rispetto agli interessi della collettività e l'evoluzione del sistema costituzionale, per effetto dell'art. 117, comma 1, ha visto accrescere l'importanza di valori nati nell'ambito comunitario, come quello della concorrenza, quale “contro limite” del potere autoritativo delle pubbliche amministrazioni e substrato assiologico della “ripubblicizzazione” delle schiere dei privati che svolgono attività di interesse pubblico.

È indubbio, infatti, che l'esercizio di funzioni pubbliche implichi l'assoggettamento anche dei soggetti (formalmente) privati ai principi generali dell'azione amministrativa. Al contempo, la nozione stessa di pubblica amministrazione si è estesa tanto che autorevole dottrina ha elaborato la nozione “oggettivo-funzionale” di amministrazione con riferimento allo scopo che l'operatore, sia esso pubblico o privato, deve perseguire.

Il ricorso a forme organizzatorie di tipo privatistico, ritenute maggiormente efficaci, efficienti ed economiche di quelle pubbliche, ha portato il legislatore nazionale, sotto la spinta di quello comunitario, ad arginare la fuga del privato dal regime di diritto amministrativo sottoponendo progressivamente i soggetti privati alle norme dell'evidenza pubblica (Cons. St., sez. VI, 28 ottobre 1998, n1478, che allarga la nozione di amministrazione aggiudicatrice anche ai concessionari, i quali sono tenuti ad esplicare attività pubblicistiche per la scelta dei propri contraenti). Tale questione incide inevitabilmente sull'ambito di applicazione soggettivo delle norme di diritto pubblico con particolare riferimento alla disciplina in materia di appalti pubblici che ruota, infatti, intorno alla nozione di amministrazione aggiudicatrice (Cass. Sez. un., 2 marzo 1999, n107 ha ritenuto una società consortile priva della qualificazione di amministrazione aggiudicatrice dell'appalto, quale quella che viene configurata dall'art. 2 del Dlgs. n.157/1995, non potendosi considerare neppure come ente pubblico non economico, per difetto di attribuzione dei compiti pubblici e, in particolare, per la mancanza di norme specifiche che la riguardano).

Uno dei problemi che il legislatore comunitario ha dovuto preliminarmente affrontare (direttiva 93/37 CEE e, successivamente, direttive n. 17/2004 CE e n. 18/2004 CE) era, dunque, quello di stabilire cosa fosse l'amministrazione pubblica. L'ordinamento comunitario è privo di una definizione unitaria in grado di coordinarsi con le articolazioni organizzative che ogni pubblica amministrazione può in concreto assumere nell'ambito dei singoli ordinamenti nazionali. Tuttavia, una lettura attenta alla regolamentazione del settore degli appalti, in particolare di lavori, evidenzia che “il criterio soggettivo per stabilire il campo di operatività delle direttive di settore” si riferisce in realtà alle amministrazioni aggiudicatrici, prescindendo dalla nozione di pubblica amministrazione tradizionalmente intesa.

La questione che, a ben vedere non era di facile risoluzione, ha condotto alla codificazione di una ampia definizione ad hoc di amministrazione aggiudicatrice, nell'alveo della quale è stato ricompreso qualsiasi organismo di diritto pubblico istituito per soddisfare bisogni di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale.

Una prima definizione enumerativa conteneva, infatti, un correttivo singolare che introduceva “le persone giuridiche di diritto pubblico” nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici. Tale formulazione, eccessivamente generica, è stata sostituita nelle successive direttive con il riferimento agli “organismi di diritto pubblico”.

La nozione di amministrazione aggiudicatrice giunge, quindi, a ricomprendere oggi, ai sensi dell'art. 3, comma 25, del D.lgs. n. 163/2006, tre macro-categorie di enti lo Stato, gli enti locali e gli organismi di diritto pubblico, all'interno delle quali, tuttavia, si rinvengono una serie di sotto-categorie “aperte”, e lascia irrisolta l'annosa questione della configurabilità astratta di un ente pubblico in forma societaria.

Le rilevanze pratiche e applicative connesse alla perimetrazione della nozione di organismo di diritto pubblico si colgono non solo sul versante dell'ambito di operatività ratione personae della disciplina comunitaria, ma altresì sul piano processuale. La qualificazione in termini di organismo di diritto pubblico riconduce, infatti, nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie afferenti la procedura pubblicistica che si conclude con l'aggiudicazione.

Gli organismi di diritto pubblico e la nozione “estensiva” di pubblica amministrazione

Il diritto europeo, e conseguentemente quello nazionale, si caratterizzano per la compresenza di due nozioni opposte di pubblica amministrazione, “estensive”, ovvero “restrittive”, soprattutto quando si prevedono deroghe all'applicazione del diritto comune in favore dei pubblici poteri e si intende circoscriverne l'ambito.

In materia di aggiudicazione degli appalti pubblici si fa, invece, ampio ricorso alle nozioni di tipo estensivo al fine di determinare l'area delle amministrazioni aggiudicatrici tenute all'osservanza delle procedure concorsuali di scelta dei contraenti (art. 1, co., Direttiva 2004/18/CE).

La ratio sottesa all'introduzione del concetto di amministrazione aggiudicatrice, mediato da quello residuale di organismo di diritto pubblico, recepito dal codice dei contratti pubblici, risponde alla finalità di delineare una dimensione più ampia ed elastica della nozione di amministrazione pubblica tenuta a procedere mediante le regole dell'evidenza pubblica.

La nozione “attiva”, che evidentemente si riferisce al soggetto che indice una procedura di aggiudicazione, si pone in contraddizione, per certi aspetti, con la nozione “statica” di organismo di diritto pubblico riferita, viceversa, ad una entità tenuta a seguire regole speciali solo in virtù delle proprie caratteristiche organizzative.

La categoria così ampia, che comprende anche soggetti aventi natura privata, assolve la funzione di vincolare all'osservanza di procedure di bando e di esame comparativo delle offerte, per la stipulazione di contratti di appalto di servizi e forniture, tutti i soggetti accomunati agli enti pubblici da fattori suscettibili di determinare comportamenti discriminatori e distorsivi del mercato.

La nozione di organismo di diritto pubblico, pertanto, richiede un'interpretazione funzionale agli obiettivi perseguiti dalla disciplina di settore degli appalti che non si presta a delineare un criterio di identificazione della pubblicità “sostanziale” e “globale” di un dato soggetto, ai fini dell'applicazione di norme diverse seppur riferite alle pubbliche amministrazioni.

Gli organismi di diritto pubblico sono persone giuridiche, pubbliche o private, istituite per soddisfare finalità d'interesse generale e, dunque, prive di carattere «industriale o commerciale», finanziate, controllate oppure influenzate in prevalenza dallo Stato o da altri enti territoriali ovvero da diversi organismi di diritto pubblico.

Ai medesimi vincoli, con riferimento ai cc.dd. settori esclusi, sono sottoposte anche le imprese pubbliche e gli operatori privati titolari di diritti speciali o esclusivi (art. 2, e co., Direttiva 2004/17/CE).

Le direttive comunitarie hanno codificato una nozione di organismo di diritto pubblico piuttosto scarna, limitandosi a indicarne tre requisiti di ordine formale e sostanziale, aventi carattere cumulativo: personalità giuridica, finanziamento e/o controllo, finalità. Ricordiamo come sia assente uno specifico riferimento al modo di costituzione che pure era presente nella versione originaria approvata dal Parlamento europeo: L'originaria stesura, premetteva, infatti, all'attuale definizione dell'istituto, che “ai sensi della presente direttiva, si intende per organismo di diritto pubblico ogni organismo costituito con atto legislativo, regolamentare o amministrativo per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale e dotato di personalità giuridica, e la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico. oppure la cui gestione sia soggetta a un controllo da parte di questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione) di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.”

Se il primo requisito non pone problemi, più difficoltosa si profila, invece, l'individuazione degli altri due con riferimento ad un organismo costituito secondo lo schema privatistico-societario che persegue, tuttavia, interessi di carattere generale.

L'obiettivo finalistico del soddisfacimento di interessi generali è stato, infatti, al centro della copiosa giurisprudenza comunitaria sul punto, incentrata a riconoscere o negare la natura di organismo di diritto pubblico “case by case”.

La partecipazione pubblica di una società per azioni non comporta, infatti, di per sé l'attrazione nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici.

Ciò accade, innanzitutto, quando l'attività dell'organismo è funzionalizzata al soddisfacimento di un bisogno della collettività e non allo scambio o produzione di beni e servizi, connotata da imprenditorialità o scopo di lucro (Cons. St., Sez. VI, 13 febbraio 2009, n. 795).

In giurisprudenza (Cass. civ., Sez. Un., 4 novembre 2009, n. 23322), si è affermato il principio della pubblicizzazione di tutta l'attività negoziale sul presupposto della funzionalizzazione dell'attività rivolta al soddisfacimento del bene pubblico. Infatti, una volta assegnata ad un ente la qualifica di organismo di diritto pubblico, lo svolgimento di attività minoritaria a carattere industriale non esonera l'ente stesso dall'osservanza del procedimento ad evidenza pubblica ogni qualvolta, nell'ambito di tale attività, l'ente si determini a provvedere in regime di affidamento a terzi.

Recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660) ha ribadito la portata espansiva della definizione di organismo di diritto pubblico, chiarendo che esso è equiparato all'ente pubblico quando aggiudica contratti ed è soggetto, pertanto, alla disciplina amministrativa dell'evidenza pubblica, ma resta un soggetto che, di regola, opera secondo il diritto privato nello svolgimento di altre attività.

Se, però, l'elencazione è quella fornita dalle normative nazionali di attuazione e recepimento delle direttive, ci sarà un problema parzialmente diverso, in quanto gli enti qui ricompresi godono di una investitura ex lege, il che sta a significare che l'enumerazione ha carattere tassativo e per potervi ricomprendere altre entità sarebbe necessaria una revisione e/o modifica della stessa.

I limiti di una definizione troppo vaga, soprattutto con riferimento al requisito dei bisogni di interesse generale,sono stati più volte sottolineati dalla giurisprudenza.

La revisione delle direttive sugli appalti pubblici del 2004, ad opera di quelle del 2014, finalizzata, tra l'altro, ad accrescere l'efficienza della spesa pubblica, ha costituito un'importante occasione per chiarire tale nozione, garantendo maggiore certezza del diritto mediante il recepimento di importanti affermazioni della giurisprudenza della Corte di giustizia.

Le nuove direttive eliminano, poi, qualsiasi riferimento agli elenchi di organismi di diritto pubblico, per sottolineare il carattere meramente descrittivo di tali elencazioni.

Anche tale scelta recepisce l'orientamento della Corte europea, che, nell'escludere un ordine professionale di diritto pubblico dalla categoria dell'organismo di diritto pubblico, ha recentemente ribadito l'irrilevanza della espressa menzione nell'allegato III della Dir. 2004/18, nel quale sono indicati, per ciascuno Stato membro, gli organismi di diritto pubblico (CGUE, 12 settembre 2013, in C-526/2011). La menzione di un organismo nell'Allegato III di tale direttiva, non comporta, secondo i Giudici europei, una presunzione assoluta che detto organismo costituisca un organismo di diritto pubblico, rendendosi necessario verificare per ogni singola fattispecie, nel rispetto delle finalità perseguite dalla direttiva sugli appalti pubblici, se la menzione di un organismo nel suddetto allegato rappresenti una corretta applicazione della norma sostanziale.

In evidenza

In materia, sono intervenute le nuove direttive comunitarie sui contratti pubblici Dir. 2014/23 UE in materia di concessioni e Dir. 2014/24/UE in materia di appalti. Le quali contengono alcune rilevanti precisazioni che recepiscono gli orientamenti delle Corti comunitarie.

In particolare, è affermato che “un organismo che opera in condizioni di mercato, mira a realizzare un profitto e sostiene le perdite che risultano dall'esercizio delle sue attività non dovrebbe essere considerato un organismo di diritto pubblico, in quanto è lecito supporre che sia stato istituito allo scopo o con l'incarico di soddisfare esigenze di interesse generale che sono di natura industriale o commerciale (21°considerando della direttiva 2014/23/UE)e che il requisito del finanziamento in modo maggioritario deve essere inteso “per più della metà e che tale finanziamento può includere pagamenti da parte di utenti che sono imposti, calcolati e riscossi conformemente a norme di diritto pubblico” (10°considerando della direttiva 2014/24 /UE).

Il 10° considerando specifica, inoltre, che “la giurisprudenza ha anche esaminato la condizione relativa all'origine del finanziamento dell'organismo in questione, precisando, tra l'altro, che per finanziati in modo maggioritario si intende per più della metà e che tale finanziamento può includere pagamenti da parte di utenti che sono imposti, calcolati e riscossi conformemente a norme di diritto pubblico”.

La ratio sottesa alla disciplina comunitaria in materia di appalti: l'influenza pubblica dominante ed il requisito teleologico.

L'organismo di diritto pubblico costituisce l'esempio emblematico di come, a livello europeo, s'imponga un'interpretazione funzionale delle singole definizioni che prescinde da mere qualificazioni formali. Il Giudice europeo ha inaugurato l'orientamento ermeneutico che impone un'interpretazione coerente con la ratio della disciplina sul diritto della concorrenza e con il principio della parità di trattamento degli operatori economici, anche a scapito della certezza del diritto.

Per quanto attiene alla necessaria sussistenza di tutti i requisiti enunciati nella definizione di organismo, la casistica ha spesso dimostrato difficoltà interpretative del requisito della partecipazione pubblica e, in particolare, la sovrapposizione che implicitamente si attua tra tale requisito e il requisito cosiddetto “funzionale” del perseguimento di esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale.

Emblematico è stato l'orientamento giurisprudenziale sugli enti fieristici, i quali sono stati ricondotti od esclusi dalla nozione di organismo di diritto pubblico dopo puntuale verifica della sussistenza dei tre requisiti descritti dal legislatore europeo.

Le Sezioni unite della Cassazione hanno escluso l'Ente Fiera di Milano dal novero dei soggetti tenuti ad osservare le procedure ad evidenza pubblica, attesa la finalizzazione dell'attività espletata da un ente fieristico al soddisfacimento delle esigenze proprie del mercato ( sent. 4 aprile 2000, n.97). Il Tar Puglia (Bari, sez. I, 11 novembre 2008, n.2558), invece, in un caso riguardante un ente fieristico, si è discostato dal principio di diritto statuito dal giudice di legittimità per accogliere quello inaugurato dal giudice europeo, teso a configurare in parte qua l'organismo di diritto pubblico (CGUE, 15 gennaio 1998, in C-44/96, Mannesman). In particolare, è stata sancita la non necessarietà della destinazione dell'attività dell'ente a soddisfare esclusivamente bisogni generali privi di carattere commerciale, a fortiori quando, come nel caso di specie, lo Stato o altri enti pubblici sopportino le perdite registrate in bilancio.

In altri termini, la circostanza che l'attività di un soggetto risponda più o meno direttamente ad un interesse generale non comporta automaticamente l'inquadramento del soggetto stesso nell'ambito degli organismi di diritto pubblico, poiché anche un interesse generale può essere perseguito con una logica commerciale, ossia imprenditoriale.

Sono numerose le pronunce della Corte di giustizia che escludono l'ascrivibilità al novero degli organismi di diritto pubblico di soggetti che, pur partecipati in misura maggioritaria dal soggetto pubblico ed aventi ad oggetto attività di interesse generale, operano sul mercato secondo una logica imprenditoriale.

È noto come la giurisprudenza, sia nazionale (Cassazione Civile, SS.UU., sentenza 07/04/2010 n° 8225) che europea, sia stata quasi sempre chiamata a chiarire la portata della seconda parte del primo requisito e, in particolare, della necessità che l'attività rivesta "carattere non industriale o commerciale".

Con riferimento a tale requisito, secondo l'ormai pacifica giurisprudenza europea, (Corte di Giustizia Europea, 15.1.1998, causa C-44/96, Mannesmann; 10.11.1998, causa C-360/96, BFI Holding; 10.5.2001, cause C-233/99 e C-260/99, Ente Fiera di Milano.) ciò che costituisce l'elemento dirimente ai fini della qualificazione di un soggetto come organismo di diritto pubblico è la verifica concreta in capo al soggetto del c.d. "rischio di impresa".

Il giudice europeo ha chiarito che la sussistenza del finanziamento maggioritario da parte dell'autorità pubblica o del controllo della gestione da parte dell'autorità pubblica deve necessariamente cumularsi a quello teleologico. In altri termini, la realizzazione di fini pubblicistici non aventi carattere industriale o commerciale deve avvenire sotto l'influenza dominante dell'autorità amministrativa.

Tale condizione può essere desunta da una serie di fattori indicati in forma alternativa dalla stessa direttiva e, quindi, dal codice dei contratti pubblici. Per verificare la sussistenza del controllo pubblico occorre, quindi, tenere conto di tutti gli elementi di diritto e di fatto caratterizzanti la fattispecie concreta, al fine di verificare se l'ente persegua in via principale l'esigenza di garantire il perseguimento di interessi pubblici secondo logiche diverse da quelle di mercato.

Le modifiche apportate dalle nuove direttive, solo apparentemente di lieve rilevanza pratica, recepiscono, quindi, i principali chiarimenti interpretativi della Corte di giustizia e contribuiscono a delineare con minore incertezza la nozione.

. Gli ordini professionali esclusi dalla categoria degli organismi di diritto pubblico

Una recente sentenza della Corte giustizia (Sez. V, 12 settembre 2013, n. 526) prende in esame il caso di un ordine professionale tedesco, avente natura di ente di diritto pubblico, cui si ritiene di non applicare la disciplina sugli appalti pubblici, escludendone la natura di organismo di diritto pubblico. La sentenza conferma l'orientamento ermeneutico di tipo sostanziale, che consente di non considerare decisiva, ai fini dell'individuazione della natura dell'ente interessato, la sua specifica menzione nell'elenco degli organismi di diritto pubblico, di cui all'Allegato III (Parte III, 1.1., secondo trattino) della Dir. 2004/18/CE.

In particolare, l'inclusione nel citato elenco non viene ritenuta dalla Corte come una presunzione assoluta, ritenendosi comunque necessaria la verifica in concreto della sussistenza dei requisiti sostanziali per accertare la sussistenza o meno della qualità di amministrazione aggiudicatrice dell'ordine professionale, istituito con legge ed avente le caratteristiche tipiche dell'ente pubblico. La Corte assume gli indici rivelatori dell'organismo di diritto pubblico quali elementi basilari per effettuare la propria valutazione, con la conseguenza che, qualora l'ente non dovesse integrare gli estremi dell'organismo di diritto pubblico, esso dovrebbe ritenersi, in ogni caso, escluso dal novero delle amministrazioni aggiudicatrici, anche ove si tratti di un ente pubblico.

Casistica: l'affidamento diretto di appalti e servizi pubblici

Nell'ambito delle numerose questioni pregiudiziali della quale è stata investita, a partire dalla nota sentenza Teckal del 1999, la Corte di Giustizia europea ha progressivamente specificato i criteri in base ai quali può considerarsi legittimo l'affidamento diretto di appalti e servizi pubblici in deroga al generale principio di concorrenza, che implica l'obbligo di indire ed espletare pubbliche gare (artt. 49, 56 e 106 TFUE).

L'attuale contesto normativo ha trasformato la deroga degli affidamenti diretti tra enti del settore pubblico da affermazione di origine pretoria a vera e propria modalità alternativa all'appalto pubblico. Infatti, come precisato all'art. 12 della Dir. 2014/24/CE, "un appalto pubblico aggiudicato da un'amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell'ambito di applicazione della presente direttiva quando siano soddisfatte" tutte le condizioni per l'in house providing.

Nello stesso tempo, però, le nuove direttive introducono una dettagliata disciplina delle relazioni tra enti del settore pubblico e forniscono precise indicazioni sui confini delle figure di organismo di diritto pubblico, impresa pubblica ed in house providing.

In particolare, l'introduzione, ad opera delle nuove direttive, di una puntuale disciplina dell'in house providing potrebbe aiutare a chiarire la distinzione tra il requisito del controllo analogo (richiesto appunto per l'in house) da quello dell'influenza dominante (che, invece, caratterizza l'organismo di diritto pubblico). Il controllo analogo consiste in un controllo molto più penetrante rispetto a quello che caratterizza l'organismo, richiede che al soggetto pubblico sia garantita la possibilità di decidere in modo determinante gli indirizzi strategici e le decisioni più importanti dell'ente in house.

La società in house è un vero organo della p.a. non contaminato da alcun interesse privato. La presenza di un socio privato che impedisce la realizzazione di un controllo analogo a quello che l'amministrazione esercita sui propri servizi esclude l'in house providing.

La CGUE ha stabilito, nell'ambito dell'orientamento già inaugurato da una precedente sentenza, che affinché il controllo analogo possa dirsi sussistente non è sufficiente che vi sia la partecipazione pubblica totalitaria, essendo anche necessario che il soggetto pubblico socio al 100 per cento abbia anche la possibilità di influire sulle decisioni più importanti, soprattutto quelle strategiche della società.

(CGUE, 13ottobre 2005, C- 458/2003 Parking Brixen).

In seguito alla sentenza della Corte di Giustizia, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che non può dirsi sussistente il requisito del controllo analogo in presenza di una compagine societaria composta anche da capitale privato, essendo necessaria la partecipazione pubblica totalitaria, sicchè deve escludersi in via generale la riconducibilità del modello organizzativo della società mista a quello dell'in house.

(Cons. St., Ad. plen., 3marzo 2008, n. 1).

In evidenza

Mentre la previgente normativa, come interpretata dalla Corte di giustizia, escludeva il controllo analogo in presenza di partecipazione anche minoritaria di capitale privato e/o della previsione concreta di apertura a privati del capitale sociale, nel citato art. 12, tale elemento non è più dirimente poiché si ammette la partecipazione privata al capitale sociale, purché non comporti "controllo o potere di veto" e non eserciti un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

L'affidatario in house, proprio in quanto proiezione organizzativa e parte integrante dell'amministrazione controllante e affidante, deve considerarsi a sua volta disciplina pubblicistica, allorché intenda reperire sul mercato risorse strumentali all'esercizio dell'attività affidatagli senza gara.

Tale considerazione, seppur scontata, ha una rilevante portata di carattere applicativo in quanto induce a ritenere che l'affidatario in house integri una nuova ed ulteriore nozione di amministrazione aggiudicatrice cui si applica la disciplina di gara a carattere pubblicistico, al pari degli enti pubblici e degli organismi di diritto pubblico.

Casistica: l'affidamento tra amministrazioni aggiudicatrici e la deroga alla disciplina sugli appalti pubblici

In evidenza

Come evidenziato al 32 considerando, "le amministrazioni aggiudicatrici quali gli organismi di diritto pubblico, per i quali è possibile la partecipazione di capitali privati, dovrebbero essere in condizione di avvalersi dell'esenzione per la cooperazione orizzontale. Pertanto, se tutte le altre condizioni per la cooperazione orizzontale sono soddisfatte, l'esenzione ad essa relativa dovrebbe estendersi a tali amministrazioni aggiudicatrici qualora il contratto sia concluso esclusivamente tra amministrazioni aggiudicatrici".

Le condizioni sono indicate all'art. 12, punto 4, della Dir. 2014/24/CE, secondo cui è necessario che:

a) il contratto di servizi pubblici sia prestato nell'ottica di conseguire gli obiettivi che le amministrazioni aggiudicatrici hanno in comune;

b) l'attuazione di tale cooperazione sia retta esclusivamente da considerazioni inerenti all'interesse pubblico;

c) le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti svolgano sul mercato aperto meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione.

L'impresa pubblica e gli appalti estranei ai settori speciali.

In evidenza

L'art. 217 del codice nel riprodurre fedelmente l'art. 20 della direttiva 2004/17/CE, prescrive che la disciplina nei settori speciali non si applica agli appalti che gli enti aggiudicatori aggiudicano per scopi diversi dall'esercizio delle loro attività di cui agli artt. da 208 a 213 (che individuano i predetti singoli settori speciali) o per l'esercizio di tali attività in un Paese terzo, in circostanze che non comportino lo sfruttamento materiale di una rete o di un'aerea geografica all'interno della Comunità.

A differenza di quanto previsto per l'organismo di diritto pubblico, l'assoggettamento alle procedure pubblicistiche è subordinato alla sola qualificazione dell'ente affidante in termini di impresa pubblica, senza che sia necessario verificare la sussistenza della sua istituzionale funzionalizzazione al soddisfacimento di bisogni generali a carattere non commerciale o industriale.

La differenza sostanziale tra impresa pubblica ed organismo di diritto pubblico risiede nel fatto che la prima è esposta alla concorrenza, subisce e può subire perdite commerciali.

Viceversa, l'organismo di diritto pubblico è caratterizzato dalla irrinunciabilità del servizio, dalla mancanza di un contesto concorrenziale e dall'obbligo in capo all'ente di riferimento di ripianare le eventuali perdite registrate in bilancio.

Una questione controversa riguarda l'applicabilità del codice dei contratti pubblici. In particolare ci si è chiesti se soggetti qualificabili come imprese pubbliche debbano o meno affidare appalti al di fuori dell'ambito dei c.d. settori speciali.

Le imprese pubbliche, infatti, rientrano tra gli enti aggiudicatori tenuti al rispetto della disciplina degli appalti nei settori speciali (art. 207 D.lgs. n. 163 del 2006), ma non figurano tra le amministrazioni aggiudicatrici e gli altri soggetti aggiudicatori tenuti all'osservanza della disciplina degli appalti nei settori ordinari (art. 32 del D.lgs. n.163/2006).

I commi 28 e 29 dell'art. 3 devono certamente essere letti in combinato disposto con le specifiche previsioni che assoggettano ad obblighi di evidenza pubblica le imprese pubbliche e non possono, per tale ragione, essere interpretati alla stregua di disposizioni che di per sé assoggettano le imprese pubbliche a tutta la disciplina del codice.

Le imprese pubbliche, infatti, sono state sottratte al diritto dei pubblici appalti per essere ricondotte a quello dei settori speciali e solo relativamente a questi ultimi.

L'assoggettabilità dell'affidamento di un servizio alla disciplina dettata per i settori speciali non può essere desunta sulla base di un criterio meramente soggettivo, relativo al fatto che ad affidare l'appalto sia un ente operante nei settori speciali, ma anche ricorrendo ad un parametro di tipo oggettivo, attento alla riferibilità del servizio all'attività speciale.

Le previsioni settoriali della direttiva sono oggetto di interpretazione restrittiva da parte della giurisprudenza europea.

La CGUE ha stabilito che, qualora l'appalto del cui affidamento l'impresa pubblica deve farsi carico sia “escluso” dall'ambito di applicazione della disciplina dei settori speciali, in quanto da aggiudicare per scopi diversi dall'esercizio di specifiche missioni rientranti nei settori speciali, e non legato a tali missioni da vincolo di strumentalità, deve escludersi l'applicabilità della disciplina di evidenza pubblica dettata per i settori speciali.

(CGUE, 10 aprile 2008, in C-393/06, Aigne)

In seguito alla sentenza della Corte di Giustizia, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che le imprese pubbliche, a differenza degli organismi di diritto pubblico, rientrano tra gli enti aggiudicatori tenuti all'osservanza della disciplina degli appalti nei settori speciali ex art. 207 del d.lgs. n. 163 del 2006, e non tra le amministrazioni aggiudicatrici e altri soggetti aggiudicatori tenuti all'osservanza della disciplina degli appalti nei settori ordinari di cui all'art. 32. L'esigenza di tutela della concorrenza perseguita dalla direttiva 2004/17/CE sugli appalti nei settori speciali non sussiste per le attività delle imprese pubbliche che, svolgendosi in un mercato competitivo, sono naturalmente portate alla compressione dei costi dei contratti e perciò spontaneamente orientate all'apertura al mercato dei fornitori di beni e servizi, cioè verso il prezzo più basso o l'offerta economicamente più vantaggiosa, e quindi senza bisogno che ciò sia imposto da regole esterne.

(Cons. St., Ad. plen., 1agosto 2011, n. 16).

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