Le comunicazioni di un’associazione di categoria alle imprese aderenti, relative ai prezzi da offrire in una gara, sono intese restrittive della concorrenza

26 Marzo 2018

Le comunicazioni da parte di una associazione di categoria alle proprie associate relative ai prezzi da offrire in una gara costituiscono intese sanzionate dall'art. 2 della legge 287 del 1990, poiché volte a sostituire la concorrenza con un meccanismo di concertazione delle rispettive politiche di prezzo. Tale scambio di informazioni è di per sé illecito, «indipendentemente dagli effetti che abbia prodotto».

Il Caso. Il Consiglio di Stato affronta la questione dello standard probatorio di una intesa tra imprese concorrenti, quando le stesse si coordinano sia direttamente tra loro sia attraverso l'associazione di categoria. Nel caso di specie, il TAR Lazio, con sentenza del 6 giugno 2016, n. 6475, aveva annullato il provvedimento dell'AGCM (che aveva erogato una sanzione per violazione dell'art. 2 della legge 287 del 1990), poiché aveva ritenuto non sufficienti le prove prodotte dall'AGCM per addebitare l'illecito oltre che alle imprese anche all'associazione di categoria delle stesse. La gara in oggetto è disciplinata ratione temporis dal d.lgs n. 163 del 2006.

Il provvedimento dell'AGCM. L'AGCM, con provvedimento del 27 maggio 2015 ha sanzionato le imprese e l'associazione di categoria nel mercato della post-produzione televisiva, ritenendo che le stesse avessero posto in essere uno scambio di informazioni sulle reciproche politiche di prezzo ed avessero coordinato le proprie offerte «in sede di partecipazione alle gare RAI con l'obiettivo di innalzare il livello dei prezzi praticato, in tal modo violando l'art. 2 della legge n. 287/90». Tale coordinamento sarebbe stato realizzato, da un lato, mediante la funzione di indirizzamento dei prezzi da praticare (di per sé illecita) da parte dell'associazione NIBA e, dall'altro, mediante un coordinamento diretto tra le imprese stesse.

Gli indizi possono costituire prova di una violazione sulle norme della concorrenza. Il Consiglio di Stato, accogliendo l'appello proposto dall'Autorità in tema di prova sulle intese restrittive, afferma che «nella maggior parte dei casi, l'esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale deve essere inferita da un certo numero di coincidenze e di indizi che, considerati insieme, possono costituire, in mancanza di un'altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle norme sulla concorrenza».

Le comunicazioni di un'associazione di categoria alle imprese aderenti, relative ai prezzi da offrire in una gara, sono intese restrittive della concorrenza. Dunque, contrariamente all'assunto del TAR, l'oggetto delle comunicazioni di un'associazione di categoria alle proprie associate «è costituito da dati potenzialmente idonei ad incidere sulle determinazioni di prezzo di ciascuna impresa, consentendo di svelare i recenti e dettagliati comportamenti di mercato dei concorrenti, al fine di orientare i prezzi delle offerte future».

A detta del Consiglio di Stato, sussiste quindi un'intesa di carattere orizzontale «volta in modo illecito a determinare un allineamento tra le politiche di prezzo dei partecipanti» e tale comportamento è sufficiente a giustificare «l'esercizio dei poteri repressivi e sanzionatori dell'Autorità, non rilevando in senso opposto nemmeno l'eventuale mancato allineamento». Infatti il coordinamento tra imprese ha un chiaro oggetto anticoncorrenziale ogni volta che esse danno luogo a una reciproca collaborazione allo scopo di sostituire la concorrenza con un meccanismo di concertazione delle rispettive politiche di prezzo, eliminando l'incertezza derivante dal dispiegarsi del libero gioco della concorrenza. Questa forma di collusione rientra tra le più gravi restrizioni della concorrenza già per il suo “oggetto” (c.d. “hardcore”), senza bisogno che ne sia provato l'effetto (Cons. St., 21 dicembre 2017, nn. 5998 e 5997).

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