L’intervenuta prescrizione dell’azione per disconoscimento di paternità viola la CEDU
06 Aprile 2018
Il caso affrontato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo ha ad oggetto l'impossibilità per un cittadino bulgaro di contestare la paternità del figlio nato nel 2003 in costanza di matrimonio. Dopo il divorzio, un test del DNA ha rivelato, nel gennaio 2007, che egli non era il padre biologico del bambino. Tuttavia, il suo ricorso per disconoscimento di paternità è stato respinto per intervenuta prescrizione, pronuncia poi confermata anche da due gradi superiori di giudizio. Secondo quanto previsto dall'articolo 32, paragrafo 1, del Codice bulgaro in materia di diritto di famiglia, si realizza la presunzione legale di paternità laddove un figlio nasca durante il matrimonio o prima della scadenza di trecento giorni dal suo scioglimento. Alla luce dell'articolo 33, paragrafo 1, dello stesso Codice, il padre può contestare la paternità entro un anno dalla data in cui è nato il bambino.
La Corte europea ha chiarito che tale limite risponde all'esigenza di garantire la certezza del diritto nelle relazioni genitoriali. Tuttavia, disporre che i termini decorrano dalla nascita del minore, piuttosto che dal momento in cui il ricorrente ha maturato la consapevolezza di non essere il padre del bambino, non realizza un bilanciamento proporzionato degli interessi in gioco. In particolare, non è prevista alcuna procedura che consenta di prendere in considerazione le singole circostanze di soggetti che, al pari del ricorrente, hanno agito oltre le previsioni per ragioni che non possono essere a loro imputate. Nel caso Yildirim, la Corte ha rilevato che «una volta scaduto il termine di prescrizione (…) va attribuito maggior peso agli interessi del minore rispetto all'interesse del ricorrente di disconoscere la sua paternità». Tuttavia, in questo appena citato come in altri casi, le domande dei ricorrenti sono state respinte dalle autorità competenti dopo aver preso in considerazione la situazione fattuale e in seguito a un bilanciamento. Nella vicenda che ci occupa, invece, non è avvenuto un esame nel merito e, dunque, il ricorrente non ha avuto l'opportunità di far valutare i diversi interessi coinvolti. C'è stata quindi una violazione dell'art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare), poiché non è stato raggiunto un giusto equilibrio tra l'obiettivo generale di garantire la stabilità nelle relazioni sociali, gli interessi delle parti coinvolte, in particolare del minore, e il diritto del ricorrente di ottenere un esame nel merito della sua posizione. |