Confisca di prevenzione e 416-bis c.p. La fine dell’appartenenza all’associazione mafiosa non fa venir meno la pericolosità del proposto
10 Aprile 2018
La Corte di cassazione (Sez. II, 13 marzo 2018, sentenza n. 14165) è intervenuta sulla questione dell'applicabilità della confisca di beni di proprietà del soggetto condannato per il reato di cui all'art. 416-bis c.p. dopo che sia cessato il legame di appartenenza con l'associazione di tipo mafioso. Secondo la Cassazione, la tesi della ragionevolezza temporale imporrebbe di evitare un abnorme dilatazione della sfera di operatività dell'istituto della confisca allargata, che legittimerebbe un monitoraggio patrimoniale esteso all'intera vita del condannato; tuttavia costituisce dato di comune esperienza «quello secondo il quale l'autore di reati destinati direttamente o indirettamente a generare un arricchimento sul versante patrimoniale, eviti di regola di provocare fenomeni di “appariscenza” del nuovo status economico, ontologicamente incompatibile con i redditi dichiarati o l'attività svolta, anche perché, non a caso, il sistema non solo tende a prevenire e reprimere le intestazioni fraudolente e le altre manovre volte a rendere “etero vestite” le disponibilità patrimoniali, ma espressamente fa riferimento (art. 12-quinquies d.l. 306/1992) a condotte elusive, volte proprio a scongiurare l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale». In queste ipotesi, il giudice non dovrà verificare la sussistenza della pericolosità generica quanto, piuttosto, quella della pericolosità qualificata, valutando in particolare se questa investa l'intero percorso esistenziale del proposto, nel qual caso saranno suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto, e non solo quelli ricadenti nel periodo temporale individuato. Invero, alcuni reati, tra cui in primis proprio quello di associazione di tipi mafioso, sono ontologicamente forieri di reddito in quanto diretti proprio all'acquisizione, con le tipiche modalità delittuose, di profitti illeciti. In conclusione, la Cassazione ha affermato che: «Il parametro della ragionevolezza temporale non esclude affatto la possibilità che siano acquisiti elementi di univoco spessore indiziante atti a ricondurre la genesi di accumulazioni patrimoniali o di singole possidenze, anche se materializzatesi in epoca di gran lunga successiva alla cessazione delle condizioni di pericolosità soggettiva, proprio all'epoca di permanenza di quelle stesse condizioni. Ove così non fosse, il dato temporale anziché fungere da indice della logicità di un costrutto argomentativo sulla cui base dedurre l'esistenza dei presupposti, diverrebbe esso stesso parametro scriminante agli effetti dell'applicazione della misura di prevenzione patrimoniale: ciò che né la lettera, né la ratio del sistema tollererebbero». |