Assegnazione della casa familiare al coniuge disabile

Alberto Figone
11 Aprile 2018

La casa coniugale può essere assegnata al coniuge disabile, anche se i figli sono affidati o collocati presso l'altro?

La casa coniugale può essere assegnata al coniuge disabile, anche se i figli sono affidati o collocati presso l'altro?

L'art. 337-sexies c.c., nell'ambito di una disciplina uniforme per tutte le situazioni di crisi della coppia genitoriale, dispone che il godimento della casa familiare sia attribuito «tenendo conto prioritariamente dell'interesse dei figli». L'assegnazione mira infatti a garantire ai figli, minorenni ma pure maggiorenni e non autosufficienti, il mantenimento dell'habitat domestico. Muovendo da tale presupposto è costante in giurisprudenza il principio per cui l'assegnazione non può rappresentare una forma di contribuzione in favore del coniuge più debole, essendo a ciò destinati altri istituti (assegno di mantenimento e divorzile). Il coniuge debole potrà beneficiare indirettamente della casa coniugale (a prescindere dal titolo di proprietà) se allo stesso assegnata, in ragione della coabitazione con i figli; di tanto il Giudice terrà conto ai fini della regolamentazione dei rapporti economici tra le parti.

L'art. 337-sexies c.c., al pari del pregresso art. 155-quater c.c., non impone necessariamente l'assegnazione della casa al genitore con cui continueranno ad abitare i figli, atteso che il loro interesse deve essere valutato in via prioritaria. Non è escluso pertanto che, bilanciando interessi tra loro contrapposti, possa risultare meritevole di maggior tutela quello del genitore diverso dall'affidatario o collocatario. Premesso che la situazione di difficoltà economica non può in alcun modo comportare una deroga al regime dell'assegnazione della casa, per le ragioni sopra esposte, può presentarsi invece il caso in cui il genitore presso cui i figli non continuano a convivere sia affetto da una grave disabilità e l'abitazione sia strutturata in modo da consentigli una vita più o meno autonoma. Può pensarsi ad es. ad una casa priva di barriere architettoniche o dotata di presidi idonei per una persona su sedia a rotelle, ovvero affetta da altre gravi patologie.

Sul punto è intervenuta una pronuncia della Corte d'appello di Venezia, che ha riformato l'ordinanza presidenziale emessa in sede di separazione, assegnando la casa coniugale al marito per quanto la collocazione dell'unica figlia minore fosse stata disposta presso la madre (App. Venezia, 6 marzo 2013, in Fam. e dir. 2013, 1009, con nota di RUSSO). Nella specie, il marito era non vedente e la casa in questione era già stata da lui occupata da molto tempo quando ancora abitava con i genitori prima delle nozze. Per di più quegli usufruiva dell'ausilio di un cane, che aveva memorizzato il percorso da seguire per consentire all'uomo di uscire di casa in sicurezza, raggiungere i mezzi pubblici e recarsi al lavoro. Osserva la Corte che, nel bilanciamento tra un generico interesse della figlia a mantenere l'habitat domestico e quello del padre a beneficiare della continuità abitativa, essenziale per le sue abitudini di vita e per le esigenze lavorative, doveva ritenersi prevalente quest'ultimo.

La Corte veneziana ha dunque assegnato la casa al marito (con un incremento dell'assegno per la figlia, per coprirne anche i costi alloggiativi). È lecito peraltro domandarsi se, in situazioni di questo tipo, il Giudice debba sempre disporre sull'assegnazione, ovvero possa non pronunciarsi, come se la coppia non avesse figli (o fossero maggiorenni ed autosufficienti). In questo caso l'occupazione dell'alloggio seguirebbe le regole generali in base al titolo di godimento.

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