Approvati i primi ISAF
17 Aprile 2018
Premessa
Con l'emanazione del Decreto Ministeriale 23 marzo 2018 è stato compiuto un primo importante passo verso la effettiva entrata in vigore degli indici di affidabilità fiscale in sostituzione degli studi di settore e dei parametri. Detto decreto segue il provvedimento n. 22 del Direttore dell'Agenzia delle Entrate con il quale è stato approvato il programma delle elaborazioni degli indici sintetici di affidabilità fiscale, pe i quali, inizialmente, era stata prevista l'adozione a partire dal periodo d'imposta 2017. Tralasciando le singole categorie economiche interessate dal provvedimento per le quali gli ISAF troveranno applicazione del primo gennaio 2019, il provvedimento ministeriale contiene importanti informazioni con riferimento anche all'iter procedimentale seguito per la loro approvazione. Dopo l'ennesima modifica alla normativa sull'accertamento e i tentativi di ridurre al minimo il contenzioso con i contribuenti, è auspicabile che l'introduzione di questa ennesima procedura di accertamento catastalizzato assicuri un periodo di stabilità legislativa al fine di poter consentire, anche sul piano operativo e della prassi, l'acquisizione della necessaria esperienza per poter individuare, eventualmente, gli aspetti che necessitano di essere ulteriormente affinati. Non è più accettabile il continuo stravolgimento delle strategie di accertamento e, soprattutto, la mancanza di chiarezza e di certezza sulla portata delle singole metodologie e, quindi, dell'esercizio dei diritti difensivi.
I soggetti esclusi
Come criterio di carattere generale gli ISAF si applicano agli stessi contribuenti assoggettati agli studi di settore a meno che sullo specifico punto non intervenga una differente previsione normativa. In sostanza, sono interessati i soggetti esercenti attività di impresa o di lavoro autonomo che svolgono, come “attività prevalente”, un'attività per la quale non sussiste una causa di esclusione o di inapplicabilità che non superano un volume d'affari di 7,5 milioni di euro.
Per “attività prevalente” si intende l'attività dalla quale deriva, nel corso del periodo d'imposta, il maggiore ammontare di ricavi o di compensi. L'individuazione dell'attività prevalente deve essere effettuata con riferimento a una stessa categoria reddituale. Pertanto, se il contribuente svolge diverse attività, alcune delle quali in forma di impresa e altre in forma di lavoro autonomo, dovrà determinare sia l'attività prevalente relativa al complesso delle attività svolte in forma di impresa sia quella prevalente relativa al complesso delle attività svolte in forma di lavoro autonomo, indicando separatamente quelle che producono una categoria di reddito e quelle che producono l'altra.
Per quanto concerne, per contro, i contribuenti esclusi dall'area applicativa degli ISAF alcune categorie erano già state previste dall'art. 9-bis del D.L. 24 aprile 2017, n. 50. In particolare erano stati esclusi, per repressa previsione, i contribuenti che:
Il citato D.L. n. 50/2017 ha delegato il Ministro dell'Economia e delle Finanze a prevedere, con proprio decreto, ulteriori ipotesi di esclusione dell'applicabilità degli indici per determinate tipologie di contribuenti.
Di tale potere il Ministro si è avvalso con il decreto ministeriale in esame. In particolare è stato previsto che detti indici non si applicano alle seguenti categorie:
È indubbio che uno dei punti di maggiore criticità per l'applicazione degli IASF sia costituito dall'attribuzione del voto cui conseguono rilevanti effetti di carattere sostanziale e procedimentale. È noto che detti indici, una volta approvati, comportano l'attribuzione di un voto, su una scala da 1 a 10, che misura il grado di affidabilità fiscale riconosciuto a ciascun contribuente sulla base dei dati dichiarati entro i termini ordinariamente previsti.
In merito, il decreto evidenzia che detto voto è utilizzabile anche al fine di consentire al contribuente l'accesso al regime premiale.
Il decreto chiarisce che, sul piano procedurale, è stato realizzato un programma informatico da parte dell'Agenzia delle Entrate di ausilio all'applicazione degli indici sintetici di affidabilità fiscale il quale segnala anche il punteggio relativo agli indicatori elementari tesi a verificare la normalità e la coerenza della gestione aziendale o professionale, anche con riferimento a diverse basi imponibili. Va da sé che la fondatezza dei risultati derivanti dall'applicazione del programma solleva non pochi interrogativi, anche di rango costituzionale, essendo evidente che i risultati saranno comunicati, verosimilmente al contribuente il quale dovrà fare una sorta di atto di fede non tanto sul loro veridicità quanto con riferimento ai parametri utilizzati in sede di predispostone del programma informatico.
D'altra parte lo stesso decreto, all'art. 3, chiarisce che il programma informatico consente anche al contribuente la possibilità di indicare l'inattendibilità delle informazioni desunte dalle banche dati rese disponibili dall'Agenzia delle entrate, attraverso l'inserimento dei dati ritenuti corretti dal contribuente stesso. Non chiarisce, però, né le modalità da seguire né i termini per procedere alla loro contestazione. In ogni caso, tale previsione conferma la possibile inattendibilità dei dati utilizzati per la formazione degli indici, circostanza di tutta evidenza in quanto non è sufficiente l'acceso alle banche dati ma occorre che le informazioni ivi contenute siano non solo complete ma anche attuali, almeno con riferimento al periodo d'imposta interessato. È inevitabile, allora, che nel calcolo del punteggio dei relativi indicatori elementari e di quello complessivo dell'indice sintetico di affidabilità fiscale, il programma informatico tenga conto degli eventuali dati rettificati dal contribuente.
Tale rettifica, ovviamente, non può che seguire la preventiva dimostrazione da parte del contribuente interessato una volta noti i risultati del programma. Si resta comunque convinti che, proprio per i vantaggi che conseguono all'attribuzione del voto, i criteri da seguire dovevano essere fissati dalla norma primaria. Nel caso in esame, la possibile sperequazione non deriva tanto dalla violazione del principio di uguaglianza quanto dalla indeterminatezza dei criteri utilizzabili
Ricavi e compensi di riferimento
Per quanto concerne la individuazione dei valori da confrontare ai fini dell'attribuzione del punteggio relativo agli indicatori elementari tesi a verificare la normalità e la coerenza della gestione aziendale o professionale, relativa alle diverse basi imponibili, da un lato si considerano gli indici determinati dal programma informatico; dall'altro i ricavi, ovvero, i compensi dichiarati. Relativamente ai ricavi, seguendo uno schema ampiamente utilizzato anche per gli studi di settore, vanno considerarti esclusivamente i corrispettivi:
Relativamente ai professionisti il parametro da confrontare è costituito soltanto dai compensi, in denaro o in natura, percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili. Tali compensi sono da considerare al netto dei contributi previdenziali ed assistenziali previsti dalla normativa di riferimento a carico del soggetto che li corrisponde. Un differente criterio è stato dettato per le imprese che eseguono opere, forniture e servizi pattuiti come oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale. Per tali contribuenti, infatti, i ricavi dichiarati, da confrontare con quelli presunti in base agli indicatori elementari, vanno aumentati delle rimanenze finali e diminuiti delle esistenze iniziali valutate secondo i principi generali dettai dal TUIR.
Il decreto ministeriale riprende, nella sostanza, quanto già previsto dall'art. 9-bis, comma 7, del D.L. n. 50/2017 il quale ha introdotto un sorta di ravvedimento operoso permanente esente da sanzioni. Invero, è stato previsto che per i periodi d'imposta per i quali trovano applicazione gli indici (e non si comprende quali altri periodi d'imposta avrebbe potuto interessare), i contribuenti possono indicare nelle dichiarazioni fiscali ulteriori componenti positivi, non risultanti dalle scritture contabili, rilevanti per la determinazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi, per migliorare il proprio profilo di affidabilità nonché per accedere al regime premiale. Tali ulteriori componenti positivi rilevano anche ai fini dell'IRAP e determinano un corrispondente maggior volume di affari rilevante ai fini IVA.
Ai fini dell'IVA, salva prova contraria, all'ammontare degli ulteriori componenti positivi dichiarati si applica, tenendo conto dell'esistenza di operazioni non soggette ad imposta ovvero soggette a regimi speciali, l'aliquota media risultante dal rapporto tra l'imposta relativa alle operazioni imponibili, diminuita di quella relativa alle cessioni di beni ammortizzabili, e il volume d'affari dichiarato. In altri termini, si è in presenza di una sorta di ravvedimento operoso gratuito. Infatti, per espressa previsione, le dichiarazioni integrative non comportano l'applicazione di sanzioni e interessi. Come unica condizione per beneficiare di tale previsione è richiesto che il versamento delle relative imposte sia effettuato entro il termine e con le modalità previste per il versamento a saldo delle imposte sui redditi, con facoltà di effettuare il pagamento rateale delle somme dovute a titolo di saldo e di acconto delle imposte. Al riguardo, si confermano le perplessità emerse sin dalla pubblicazione del provvedimento riguardanti non tanto il merito della opportunità o meno della previsione normativa quanto la mancata indicazione della differenza, almeno per quanto riguarda gli effetti, tra il ravvedimento operoso previsto in via generale e la citata forma integrativa.
In entrambi i casi, ovviamente, si è in presenza di una rettifica della dichiarazione a favore del Fisco con conseguente incremento dell'imposta dovuta. Ne consegue, con riferimento al principio di uguaglianza, una evidente discriminazione che non può essere superata invocando la ormai abusata compliance. Si può anche condividere la scelta dell'integrazione permanente della dichiarazione nel qual caso, però, tale possibilità dovrebbe essere estesa a tutti i contribuenti. Non può essere il solo volume d'affario l'entità dei ricavi e/o compensi l'elemento discriminante, almeno secondo una interpretazione costituzionalmente orientata. Si ha l'impressione che gli ultimi provvedimenti in materia fiscale, anziché assumere come riferimento il quadro giuridico, sembrano privilegiare il profilo finanziario, cioè l'incremento del gettito a favore dell'erario e degli enti locali.
In tal modo si corre il rischio di conseguire risultati opposti a quelli auspicati. Non sussistono elementi contrari per incentivare la compliance a condizione, però, che tale politica non determini sperequazioni e dia certezza giuridica, conseguenze che si è del parere che non possano essere escluse. Sotto tale aspetto, peraltro, la norma giuridica risulta eccessivamente indeterminata senza contare che perde di ogni efficacia il ruolo deterrente della sanzione. Anche in questo caso l'effetto rischia di essere negativo.
Si può, al limite condividere la mancata irrogazione della sanzione, ma non si giustifica affatto la mancata debenza degli interessi visto che non è previsto neanche un termine ultimo per procedere all'integrazione. |