Spese di lite: il perimetro per la compensazione si estende

24 Aprile 2018

In tema di spese del giudizio tributario, la Corte Costituzionale si è pronunciata con la sentenza n. 77 dello scorso 19 aprile, allargando le maglie delle eccezioni alla regola generale per cui è il soccombente a pagare le spese. Un ritorno alla tecnica normativa della clausola generale delle «gravi ed eccezionali ragioni» che permettono al giudice di valutare e alleggerire la posizione di chi perde, esonerandolo dal rimborsare le spese legali al vincitore.
Clausola generale

La recentissima sentenza della Corte Costituzionale n. 77 del 19 aprile 2018 costituisce un ulteriore elemento di valutazione e di analisi della clausola generale di condanna alle spese del soccombente anche nel giudizio tributario, ancorché sia formalmente dedicata alla versione dell'art. 92 secondo comma, del codice di procedura civile, come modificato dalla novella dell'art. 13 del D.L. 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, nella Legge 10 novembre 2014, n. 162.

Come noto e come espressamente richiama la Corte (paragrafo n. 16 della sentenza), che utilizza la disposizione speciale del processo tributario “per la riconduzione a legittimità della disposizione censurata”, cioè dell'art. 92 c.p.c., “lo stesso legislatore, in linea di continuità con l'azione riformatrice degli ultimi anni, è ritornato alla tecnica normativa della clausola generale delle «gravi ed eccezionali ragioni».

Infatti, dopo l'introduzione della disposizione attualmente censurata, il legislatore ha novellato alcune norme del processo tributario.

In particolare l'art. 9, comma 1, lettera f), numero 2), del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 (Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli artt. 6 e 10, comma 1, lettere a e b, della Legge 11 marzo 2014, n. 23), ha sostituito gli originari commi 2 e 2-bis dell'art. 15 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega governativa nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991 n. 413) ed ha, tra l'altro, previsto che le spese del giudizio possono essere compensate in tutto o in parte, oltre che in caso di soccombenza reciproca, anche «qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni» che devono essere espressamente motivate”.

Questo inciso è sicuramente importantissimo, in quanto non solo rende la disposizione, di cui da più parti si lamentava la mancata corrispondenza con il regime del processo civile ordinario, del tutto coerente con un'analisi di costituzionalità, fugando ex post, quasi a suggello, il diffuso dubbio che la norma trovasse la sua causa ultima in un mancato coordinamento con la disposizione vigente del codice di rito, avendone mutuata la previgente versione senza speciale motivazione, ma pone anzi la norma come elemento a parere di chi scrive aperto alla enumerazione di plurime fattispecie nelle quali sussistano, a giudizio della corte chiamata a regolare le spese in caso di soccombenza, le gravi ed eccezionali ragioni che la norma (e l'opinione della Corte) pone al centro dell'esegesi anche della ulteriore limitazione che la Corte evidenzia aver introdotto il legislatore per esigenze di “politica giurisdizionale”, cioè per un contenimento del ricorso smodato alla giurisdizione di cui diffusamente (ed in verità non molto fondatamente) ci si lamenta in ogni campo processuale.

La deroga all'istituto della condanna del soccombente alla rifusione delle spese di lite

La Corte riconosce come “ampia quindi è la discrezionalità di cui gode il legislatore nel dettare norme processuali (ex plurimis, sentenze n. 270/2012, n. 446/2007 e n. 158/2003) e segnatamente nel regolamentare le spese di lite.”

Sicché è ben possibile, soggiunge la Corte citando se stessa (sentenza n. 157/2014) «una deroga all'istituto della condanna del soccombente alla rifusione delle spese di lite in favore della parte vittoriosa, in presenza di elementi che la giustifichino (sentenze n. 270/2012 e n. 196/1982), non essendo, quindi, indefettibilmente coessenziale alla tutela giurisdizionale la ripetizione di dette spese (sentenza n. 117/1999)».

In poche parole, la Corte sembra aprire, nel rito civile, più di uno spiraglio ermeneutico alla compensazione delle spese, ancorando il parametro più alle “gravi ed eccezionali ragioni” che alla enumerazione delle stesse in fattispecie puntuali, poiché è espressa opinione della Corte che le questioni oggetto del suo giudizio valutativo – l'«assoluta novità della questione trattata» ed il «mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti» “hanno carattere paradigmatico e svolgono una funzione parametrica ed esplicativa della clausola generale”.

Ovviamente, resta il principio dell'obbligo di specifica motivazione, ma, soggiunge la Corte Costituzionale, non ci sarebbe motivo di derogare in materia al principio sancito dall'art. 111 Cost. che stabilisce che la motivazione è connaturata ad ogni provvedimento giurisdizionale.

L'unico ipotizzabile corto circuito può trovare ragione nel fatto che la giurisprudenza di legittimità (fra le più recenti Cass. civ., sez. VI-T, 13 aprile 2017, n. 9605) ha statuito che “in tema di contenzioso tributario, secondo la testuale previsione del D.Lgs. n. 546/1992, art. 15, comma 1, la commissione tributaria può dichiarare compensate le spese processuali in tutto o in parte a norma dell'art. 92 c.p.c., comma 2, norma quest'ultima emendata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, applicabile alla fattispecie per essere il giudizio di primo grado iniziato dopo il 4/07/2009”.

Detta norma, com'è noto, prevede che, "se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti".

Sul punto si è consolidato l'orientamento (Cass. civ., 20 aprile 2012, n. 6279) per il quale le "gravi ed eccezionali ragioni", da indicarsi esplicitamente nella motivazione ed in presenza delle quali - o, in alternativa alle quali, della soccombenza reciproca - il giudice può compensare, in tutto o in parte, le spese del giudizio, devono trovare puntuale riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa (Cass. civ., 15 dicembre 2011, n. 26987) e comunque devono essere appunto indicate specificamente (Cass. civ., 13 luglio 2011, n. 15413; Cass. civ., 20 ottobre 2010, n. 21521)”.

Tuttavia, aggiunge la Suprema Corte, “al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di precisare che «l'art. 92 c.p.c., comma 2, nella parte in cui permette la compensazione delle spese di lite allorché concorrano "gravi ed eccezionali ragioni", costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche» (Cass. civ., Sez. Un., n. 2572/2012). Erroneamente, pertanto, la CTR ha disposto la compensazione integrale delle spese di lite "per validi motivi", in violazione della normativa vigente ratione temporis”.

Il controllo di legittimità e la ricerca dell'univoca determinazione

Se dunque l'orientamento della Suprema Corte sembra convergere con quello della Corte costituzionale, che fa della nozione di “gravi ed eccezionali ragioni” una clausola generale suscettibile di adeguamento al contesto storico-sociale, è sul sistema del controllo di legittimità che ancora non si può dire raggiunta una univoca determinazione, se è vero che la recentissima Cass. civ. sez. III, 13 aprile 2018, n. 9179 ha di nuovo confermato che “…costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice non censurabile in sede di legittimità quello relativo all'eventuale compensazione (sia in senso positivo che negativo) delle spese stesse (cfr. ad es. Cass. civ., sez. III, 1° marzo 1977, n. 851; sez. I, 16 marzo 2006, n. 5828; sez. III, sentenza n. 17457 del 31 luglio 2006; sez. trib., 6 ottobre 2011, n. 20457”.

Non si può che propendere per l'esistenza di un controllo di legittimità sull'adozione di formule di compensazione delle spese di lite in contrasto con il principio di soccombenza, che è principio legale legato fra l'altro ai valori costituzionali sanciti dall'art. 111 Cost., mentre non si deve confondere tale problematica con quella riferibile ai casi di regolazione delle spese dipendenti da declaratoria di cessazione della materia del contendere, regolate dagli artt. 46 e 15 D. Lgs. 546/1992).

Come infatti rammenta Cass. civ., sez. VI-T, 30 marzo 2018, n. 7950 “…il giudice di appello, dopo avere dichiarato estinto il giudizio in esito all'esercizio del potere di autotutela dell'Amministrazione - circostanza pacifica fra le parti (cfr. pag. 4 ricorso per cassazione e pag. 3 controricorso) ha giustificato la compensazione sulla base del richiamo alla complessità della vicenda, in tal modo non considerando che in tema di processo tributario, nell'ipotesi di estinzione del giudizio ex art. 46, comma 1, D Lgs. n. 546/1992, per cessazione della materia del contendere determinata dall'annullamento in autotutela dell'atto impugnato, può essere disposta la compensazione delle spese di lite ai sensi dell'art. 15, comma 1, del medesimo D.Lgs., purché intervenuta all'esito di una valutazione complessiva della lite da parte del giudice tributario, trattandosi di una ipotesi diversa dalla compensazione "ope legis" prevista dal comma 3 dell'art. citato, quale conseguenza automatica di qualsiasi estinzione del giudizio, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 274/2005 (cfr. Cass. civ., n. 3950/2017)”.

Quindi, anche in caso di estinzione del giudizio, il giudice tributario può effettuare una valutazione complessiva della lite onde regolarne le spese, non ostandovi più il disposto dell'originaria disposizione di compensazione ex lege espunta dall'ordinamento perché ritenuta incostituzionale.

Va tuttavia ricordato che la clausola della sussistenza di “giusti motivi” per la compensazione delle spese di lite del processo tributario non ha più ragione di esistere sulla base dell'attuale riferimento legislativo, né certo può rinvenirsi nell'esistenza fisiologica di una parte pubblica un elemento costitutivo delle “gravi ed eccezionali ragioni”, che sono invece il parametro normativo, flessibile ma non evanescente, a cui deve essere ancorato un giudizio sulla regolazione delle spese di lite che non violi il principio generale di soccombenza ed il rapporto, attenuato ma non inesistente, che esso ha anche con l'art. 111 Cost.

Pur prendendo atto, anche sulla base della richiamata pronuncia della Corte Costituzionale, che le misure legislative in materia di regolazione delle spese di lite hanno anche effetti deflattivi sul contenzioso, non si può trascurare che, specie quando una parte del procedimento giurisdizionale è per natura pubblica, deve tenersi in adeguata considerazione il principio – anch'esso di rango costituzionale – che eventuali limitazioni di carattere economico all'accesso alla giurisdizione, violando il principio di uguaglianza, non sono ammissibili.

Ne è riprova logica che lo stato addirittura appresti un sistematico apparato di soccorso, il patrocinio a spese dello stato, quando il soggetto che richiede tutela giurisdizionale non abbia le risorse per farvi fronte personalmente.

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