La futura residenza del genitore non è automaticamente la residenza abituale del minore
24 Aprile 2018
Massima
La nozione di residenza abituale del minore, ai sensi della Convenzione del l'Aja del 25 ottobre 1980, ratificata con l. n. 64/1994, non coincide con quella di domicilio (art. 43, comma 1, c.c.) né con quella di carattere formale di residenza scelta da uno dei genitori (art. 144 c.c.), ma corrisponde ad una situazione di fatto e consiste nel luogo in cui il minore, in ragione di una stabile permanenza in un luogo, abbia consolidato o, in caso di recente trasferimento, possa consolidare una rete di affetti e relazioni tali da assicurargli un armonico sviluppo psicofisico. Ne consegue che, in tema di sottrazione internazionale del minore da parte di uno dei genitori, il luogo indicato come futura residenza da parte dei genitori, senza che lo sia in concreto divenuto, non può essere ritenuto residenza abituale del minore. Il caso
Il padre di un bambino in tenera età ha adito la Corte di Cassazione lamentando che il figlio era stato sottratto alla sua abituale residenza, in Inghilterra, e condotto in Italia da sua moglie, madre del bambino, senza il suo consenso. Il ricorrente ricordava che, dopo aver contratto matrimonio in Italia, insieme con la moglie avevano vissuto per alcuni anni in Olanda, per poi programmare di trasferire la residenza familiare a Londra, dove lui aveva ottenuto una buona opportunità lavorativa, sottoscrivendo entrambi il contratto di locazione della futura casa familiare. Nel mese di dicembre 2014, pochi mesi dopo la nascita del bambino, il ricorrente ha consentito alla moglie di trasferirsi in Italia, portando con sé il figlio, affinché potesse trascorrere il Natale con la famiglia di origine e cercare di risolvere alcuni problemi di salute da cui la donna era affetta. Intanto, il marito si è trasferito a lavorare a Londra. Quando l'uomo ha raggiunto la moglie a Bologna, quest'ultima ha manifestato però la volontà di separarsi. La coppia ha concordato, comunque, di svolgere un percorso di mediazione familiare a Londra. Fallito tale tentativo, la moglie ha deciso di ritornare in Italia con il bambino. Il Tribunale della separazione ha adottato i provvedimenti provvisori e urgenti, autorizzando i coniugi a vivere separatamente ed affidando il figlio minore ad entrambi i genitori, con collocazione prevalente presso la madre e facoltà del padre di tenerlo con sé liberamente, previo accordo con la madre o, in mancanza di intesa, secondo le modalità stabilite dal Giudice. A seguito di tale statuizione, il padre ha frequentato regolarmente il minore, pur non versando con continuità il contributo per il mantenimento. Secondo quanto prospettato dal ricorrente, il trasferimento del minorenne da Londra all'Italia integra la fattispecie della sottrazione internazionale di minori, di cui all'art. 3 della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980. Tale trasferimento sarebbe avvenuto infatti senza il consenso del padre, ed in violazione dei diritti di custodia attribuiti in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del trasferimento, da individuarsi nel caso di specie nell'Inghilterra, residenza “programmata” della famiglia. La madre del minore ha replicato che il bambino non ha alcun legame con la città di Londra e difetta pertanto il requisito della residenza abituale del figlio in quel luogo, posto che il bambino è nato in Olanda, e dal mese di dicembre 2014 è vissuto stabilmente in Italia. In ogni caso, la donna ha contestato l'applicabilità dell'art. 3 della Convenzione dell'Aja, affermando che l'ex coniuge aveva prestato il proprio consenso al trasferimento in Italia del bambino. La questione
La principale questione giuridica, che è stata affrontata dalla Suprema Corte nella decisione in commento, consiste nel definire come debba individuarsi la residenza abituale del minore, ai fini dell'applicazione dell'art. 3 della Convenzione dell'Aja, e pertanto di individuare quale sia il Giudice nazionale competente a conoscere delle controversie in materia di sottrazione internazionale del minore. La tesi del ricorrente, che ha invocato una pronuncia della Corte di giustizia europea (cfr. Corte di giustizia UE, C-407/10), afferma che se un bambino è così piccolo da non aver ancora potuto sviluppare una propria vita sociale, deve considerarsi residente dove la famiglia intendeva stabilire la propria residenza abituale, avendo locato un alloggio in quella città, sebbene, di fatto, non vi abbia mai vissuto. Le soluzioni giuridiche
Il quadro normativo di riferimento, in materia di sottrazione internazionale di minori, è costituito, principalmente, dalla Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, che rappresenta il primo strumento pattizio interamente dedicato alla tutela del minore sottratto, e dal Regolamento (CE) n. 2201/2003 (cd. Regolamento Bruxelles II-bis). Dalla lettura coordinata delle due discipline, si desume che il Giudice dello Stato di residenza abituale del minore è competente ad ordinare, su istanza di parte, l'immediato rientro del bambino indebitamente sottratto. In base all'art. 3, lett. a), della Convenzione dell'Aja, ratificata con l. n. 64/1994, il trasferimento o mancato rientro di un minore è ritenuto illecito in presenza di due presupposti. In primo luogo il trasferimento, o il mancato rientro, deve essere avvenuto in violazione dei diritti di custodia assegnati in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento, o del suo mancato rientro. Inoltre, tali diritti di custodia dovevano essere effettivamente esercitati al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o avrebbero potuto esserlo se non si fossero verificate tali circostanze. Risulta pertanto essenziale definire il concetto di residenza abituale del bambino, non solo per valutare se risulti integrata la sottrazione internazionale del minore, ma anche al fine di individuare il Giudice nazionale dotato di giurisdizione. Secondo l'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con la decisione in esame, per «residenza abituale», ai fini della Convenzione dell'Aja, deve intendersi «il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, abbia il centro dei propri legami affettivi, non soltanto parentali, che derivano dallo svolgersi, in tale località, della sua quotidiana vita di relazione. Tale accertamento è riservato all'apprezzamento del Giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato». La nozione di residenza abituale si fonda, quindi, su una situazione di fatto. Il criterio che deve guidare l'attività del Giudice, nell'individuare la residenza abituale del minore, è quello della “vicinanza”: la residenza abituale è, in sostanza, il luogo in cui bambino esplica la propria vita “affettiva”. Comunque, nel determinare la residenza abituale, che costituisce il luogo da cui il bambino non deve essere allontanato e al quale deve essere nel più breve tempo ricondotto in caso di trasferimento illecito, il Giudice dovrà sempre aver riguardo del superiore interesse del minore. Nella fattispecie sottoposta al giudizio della Suprema Corte, la madre del minore vantava un diritto di custodia effettiva sul minore, che con la stessa convive sin dalla nascita. Il marito, inoltre, ha assistito e collaborato con la moglie nella fase del suo ritorno in Italia. Di fatto, poi, è rimasto inerte per un considerevole periodo di tempo dopo l'avvenuto trasferimento del bambino in Italia con la madre. Come evidenziato anche dal Giudice del rinvio (con decreto Trib. min. Bologna, 8 novembre 2016), l'intenzione dei genitori di stabilirsi in uno Stato membro può essere presa in considerazione quando si esprime mediante misure tangibili (quali, ad esempio, la locazione di un alloggio), ma comunque essa non può essere decisiva, di per sé sola, a determinare la residenza abituale del minore, rappresentando invece un semplice indizio suscettibile di valutazione da parte del Giudice, insieme con altri eventualmente raccolti. Alla luce di tali circostanze, non può ritenersi che il luogo di residenza abituale del minore, al momento del rientro della madre e del figlio in Italia, fosse l'Inghilterra, e in particolare la città di Londra, essendo invece l'Italia. Il trasferimento del nucleo familiare in Inghilterra, infatti, ha avuto natura solo provvisoria e sperimentale, con la finalità di consentire l'espletamento del tentativo di mediazione familiare, stante la brevissima durata della permanenza del minore in tale Paese, rispetto al periodo trascorso nello Stato italiano. In Italia, il bambino ha instaurato dei legami affettivi anche con i nonni materni, con i quali ha trascorso la maggior parte del tempo, e in tale luogo si sono progressivamente stabilite la sue abitudini di vita. Di conseguenza, non sussiste la violazione dell'art. 3 della Convenzione dell'Aja, non potendosi considerare illecito il rientro del minore nel luogo di residenza abituale. Osservazioni
In una prima fase delle sue analisi in materia, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la nozione di residenza abituale del minore non coincide con le nozioni civilistiche di domicilio (art. 45 c.c.) e di residenza scelta d'accordo tra i coniugi (art. 144 c.c.), «(…) in quanto corrisponde piuttosto ad una situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località della sua quotidiana vita di relazione» (Cass. civ., 19 dicembre 2003, n. 19544). Successivamente, la Corte ha ribadito tale impostazione, precisando inoltre che la residenza abituale, essendo qualificata come situazione di fatto «prescinde…dai progetti di vita, eventualmente concordi, degli adulti» (Cass. civ., 2 febbraio 2005, n. 2093). Da tali affermazioni può desumersi che il Giudice di legittimità non attribuisce rilievo esclusivo all'intenzione dei genitori, al fine di determinare il luogo di residenza abituale del minore. In una pronuncia la Suprema Corte ha ritenuto determinanti le intenzioni dei genitori, e precisamente della madre, attribuendo al trasferimento della minore dall'Italia alla Polonia efficacia di spostamento della residenza abituale, nonostante il breve lasso di tempo decorso dal trasferimento nello Stato polacco (cfr. Cass. civ., 14 luglio 2006, n. 16092). Tale conclusione si fondava sul rilievo riconosciuto alla volontà ed ai propositi della madre, che aveva intenzione di dare alla propria permanenza in Polonia il carattere della stabilità e serietà, avendo intrapreso in tale Paese un'attività lavorativa ed instaurato una relazione sentimentale con un cittadino polacco, dal quale aveva avuto un altro figlio. In altro caso, la Cassazione ha poi affermato che il trasferimento dei tre figli minori dall'Italia alla Svezia, della durata di dieci mesi, avesse la natura di un semplice soggiorno e che non assumesse i caratteri di un vero e proprio spostamento della residenza abituale del nucleo familiare. Anche in questa ipotesi, i Giudici hanno preso in considerazione unicamente le intenzioni dei genitori (cfr. Cass. civ., 16 giugno 2009, n. 13936). Diversamente, in un'altra decisione, il Giudice di legittimità ha ritenuto che un periodo di permanenza di otto mesi in un nuovo luogo, con conseguente integrazione nel tessuto scolastico, nonché la convivenza con la madre e la sorella, determinassero la fissazione della residenza abituale (cfr. Cass. civ., n. 3798/2008). Può allora osservarsi come la giurisprudenza di legittimità, prendendo in considerazione il “fattore tempo”, ha statuito che tale elemento non è sempre decisivo, poiché occorre comunque tenere conto della situazione di fatto: talvolta, anche un tempo di permanenza breve è sufficiente a radicare una nuova residenza “affettiva” del minore. Anche la Corte di giustizia europea si è impegnata ad assicurare un'esatta definizione dell'istituto della residenza abituale del minore. Sulla base di un primo orientamento, il Giudice comunitario ha affermato che la nozione di residenza abituale è legata al caso concreto: la residenza abituale è determinata infatti da una serie di elementi che caratterizzano in maniera peculiare il caso concreto. Ciò significa che non ci sono fattori preponderanti in senso assoluto, ma che gli stessi elementi possono acquisire un valore differente, più o meno importante, nel singolo caso oggetto di giudizio. La Corte di giustizia europea ha indicato alcuni indizi che il Giudice del merito deve valutare per stabilire quale sia la residenza abituale del minore. In particolare: la durata del soggiorno, la regolarità della permanenza, le ragioni dello spostamento del nucleo familiare, i rapporti familiari e sociali del minore e la volontà dei genitori. I criteri individuati dal Giudice europeo non trovano una sistemazione gerarchica e tale elenco non è da ritenersi comunque esaustivo (cfr. Corte di giustizia UE, 2 aprile 2009, C-523/07). Nella stessa decisione, la Corte europea ha specificato che, per quanto riguarda i neonati e i lattanti, i fattori i quali consentono normalmente di determinare la residenza abituale possono divenire irrilevanti a causa della totale dipendenza di questi minori, in tenera età, dalle persone che ne hanno la custodia. Pertanto la Corte di giustizia europea, al fine di determinare la residenza abituale di un neonato o di un lattante, ha valorizzato il criterio dell'intenzione comune dei genitori, che può dedursi da una serie di circostanze, quali la dichiarazione di nascita di quest'ultimo allo stato civile del luogo della loro residenza abituale o la locazione di un'abitazione più grande (cfr. Corte di giustizia UE, 2 aprile 2009, C-523/07). L'impostazione più recente della Corte di giustizia europea, tuttavia, è nel senso la «residenza abituale» del minore corrisponde «al luogo che denota una certa integrazione di quest'ultimo in un ambiente sociale e familiare» (Corte di giustizia UE, 8 giugno 2017, C-111/17). Tale luogo deve essere determinato dai Giudici nazionali in considerazione dell'insieme delle circostanze di fatto che caratterizzano il caso concreto (cfr. Corte di giustizia UE, 2 aprile 2009, C-523/07; Corte di giustizia UE, 22 dicembre 2010, C-497/10). Il Giudice europeo, con un chiaro révirement, ha perciò ritenuto condivisibile l'orientamento della giurisprudenza di legittimità. Più precisamente, si è verificata una sorta di“osmosi”, la Corte di giustizia europea (cfr. Corte di giustizia UE, 8 giugno 2017, C-111/17) ha mutuato la definizione di “residenza abituale” come situazione di fatto, proposta dalla Suprema Corte italiana, mentre la Cassazione ha considerato necessario tener conto dell'interesse del minore, secondo quanto già affermato dal Giudice europeo. Anche la Corte di giustizia è giunta a ritenere che l'intenzione dei genitori rappresenti solo un elemento, da valutare nel contesto di altri indizi, comunque ricavabili dal caso di specie. L'intenzione iniziale dei genitori di stabilire la residenza del minore nello Stato in cui avevano pensato di fissare la loro comune residenza non può infatti prevalere sulla circostanza che il figlio sia nato e abbia soggiornato lungamente, nel corso della sua breve vita, con uno dei genitori in un altro Stato. Il rifiuto da parte della madre di ricondurre il minore nello Stato in cui i genitori avevano originariamente programmato di fissare la loro residenza familiare, pertanto, non integra un trasferimento illecito e non giustifica, dunque, un ordine di rientro del minore. Del resto, in tal modo non sarebbe soddisfatta la ratio della normativa in materia, che è quella di tutelare l'interesse del minore al rientro (e alla permanenza) nell'ambiente a lui più familiare. Peraltro, il genitore contro la volontà del quale il minore è trattenuto in uno Stato diverso da quello della sua residenza abituale potrà comunque adire i Giudici di detto Stato, al fine di ottenere una pronuncia in materia di responsabilità genitoriale. La Cassazione ha evidenziato, nella decisione in esame, che la residenza abituale del minore deve essere individuata proprio a partire dal legame che il bambino vanta con un determinato luogo, con ciò esplicitando tra l'altro il criterio della vicinanza e del forum conveniens, cioè una sorta di competenza naturale dei Giudici del luogo in cui la vita del minore si svolge prevalentemente, nella presunzione che si tratti delle autorità che meglio possono conoscere la situazione del bambino e della sua famiglia, e sono pertanto le più idonee ad assicurare la tutela del superiore interesse del minore. L'esposto orientamento giurisprudenziale appare coerente anche con le previsioni di cui all'art. 8, Regolamento (CE) n. 2201/2003, ove prevede che le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, se il minore risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui esse sono adite. Il dodicesimo considerando del Regolamento specifica poi come «è opportuno che le regole di competenza in materia di responsabilità genitoriale», accolte nel Regolamento stesso, «si informino al superiore interesse del minore e in particolare al criterio di vicinanza». Il criterio della residenza abituale costituisce quindi la “declinazione processuale” del superiore interesse del minore, in quanto si presume che il Giudice del luogo di residenza abituale sia quello più idoneo a garantire decisioni fondate su un'approfondita conoscenza della situazione concreta. -C. Benanti, Sottrazione internazionale e nozione di “residenza abituale“ del minore, in Familia, Il diritto della famiglia e delle successioni in Europa. -N. Di Lorenzo, La nozione di residenza abituale del minore vittima di sottrazione internazionale: breve analisi della prassi giurisprudenziale nell'Unione Europea, in I quaderni europei, 2013/50. -C. Honorati, Sottrazione internazionale dei minori e diritti fondamentali, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2013, 1. |