Divieto di espatrio

Chiara Fiandanese
03 Maggio 2018

L'art. 281 c.p.p. prevede il divieto di espatrio che è una misura cautelare personale coercitiva, che pur connotata dal minor tasso di afflittività rispetto ad altre misure cautelari coercitive, incide nell'area della libertà personale e sulla libertà di circolazione del cittadino. Il comma 1 prevede che, con tale provvedimento, il giudice prescrive all'imputato di non uscire dal territorio nazionale senza l'autorizzazione del giudice che procede. Il comma 2, dispone che il giudice dà le disposizioni necessarie per assicurare l'esecuzione del provvedimento, anche al fine di impedire l'utilizzazione del passaporto e degli altri documenti di identità validi per l'espatrio. Secondo il comma 2-bis, con l'ordinanza applicativa di una delle altre misure coercitive previste nel Capo II ...
Inquadramento

L'art. 281 c.p.p. prevede il divieto di espatrio che è una misura cautelare personale coercitiva, che pur connotata dal minor tasso di afflittività rispetto ad altre misure cautelari coercitive, incide nell'area della libertà personale e sulla libertà di circolazione del cittadino.

Il comma 1 prevede che, con tale provvedimento, il giudice prescrive all'imputato di non uscire dal territorio nazionale senza l'autorizzazione del giudice che procede.

Il comma 2, dispone che il giudice dà le disposizioni necessarie per assicurare l'esecuzione del provvedimento, anche al fine di impedire l'utilizzazione del passaporto e degli altri documenti di identità validi per l'espatrio.

Secondo il comma 2-bis, con l'ordinanza applicativa di una delle altre misure coercitive previste nel Capo II del Libro IV del codice di procedura penale (e cioè l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, l'allontanamento dalla casa familiare, il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, l'obbligo di comunicazione, il divieto e l'obbligo di dimora, gli arresti domiciliari, la custodia cautelare in carcere, la custodia cautelare in istituto a custodia attenuata per detenute madri e la custodia cautelare in luogo di cura) il giudice dispone in ogni caso il divieto di espatrio nei confronti dell'indagato o dell'imputato.

Illegittimità costituzionale del comma 2-bis

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 104/1994 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 281, comma 2-bis c.p.p. (aggiunto dall'art. 9, comma 1, del d.l. 306/1992, conv. nella l. 356/1992).

Ad avviso della Corte, l'automatica applicazione prevista è irragionevole e non rispondente ai principi di proporzionalità ed adeguatezza correlati all'imposizione di tali misure. Peraltro, la sottrazione al giudice di qualunque discrezionalità che gli consenta di verificare l'esistenza delle esigenze cautelari che rendano necessario adottare detto divieto come misura accessoria, può farla risultare incongrua, se non addirittura incompatibile, con le altre misure già applicate, come nel caso della custodia cautelare, né, d'altra parte, alcuna ragione impedisce al giudice di disporre il divieto d'espatrio all'atto della cessazione della misura cautelare più afflittiva o quando particolari esigenze ciò consiglino. Tale disposizione lede anche l'art. 13, comma 2, Cost. che postula come condizione per la legittimità dei provvedimenti giurisdizionali comunque operanti nell'area della libertà personale l'atto motivato dell'autorità giudiziaria, qui non richiesto, e l'art. 16, chiamato in causa per le limitazioni alla libertà di circolazione comunque derivanti dall'automatica applicazione del divieto di espatrio per il cittadino, senza che all'obbligo imposto di non uscire dal territorio nazionale corrisponda un'esigenza concretamente apprezzabile dal giudice.

Applicabilità

A norma dell'art. 280, comma 1, c.p.p., tale misura si applica solo quando si procede per i delitti per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 3 anni.

La stessa deve essere assoggettata al regime delle misure coercitive sia con riguardo all'esistenza di gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p.), sia con riferimento alle esigenze cautelari generalmente connotate dal pericolo di fuga (art. 274, comma 1 lett. b) c.p.p.).

Può essere applicata, quindi, in presenza di una ragionevole, concreta e attuale probabilità, data da occasioni prossime e favorevoli, che l'indagato faccia perdere all'estero le proprie tracce e deve fondarsi su elementi e circostanze di fatto, non necessariamente rivelatori di una condotta prodromica all'espatrio, bensì idonei a conferire significativa consistenza al periculum libertatis (Cass. pen., Sez. II, n. 30939/2015) e può fondarsi anche sull'esame di elementi e fatti obiettivi, sulla valutazione della personalità dell'imputato anche in riferimento ai riflessi che detti elementi e fatti possono avere sulla condotta post delictum, nonché sulla natura degli addebiti e dall'entità della pena già comminata nel giudizio di cognizione in itinere (Cass. pen., Sez. V, 18 febbraio 1999, n. 863).

Per la valutazione della sussistenza del concreto pericolo di fuga, il pregresso stato di latitanza dell'indagato assume significativo valore sintomatico in quanto rivelatore di una tendenza ostruzionistica all'esecuzione di provvedimenti restrittivi della libertà e, pertanto, in posizione di latente inosservanza dei dettami della legge (Cass. pen., Sez. V, n. 863/1999).

In merito al soddisfacimento delle esigenze cautelari previste per il pericolo di reiterazione del reato ex art. 274, comma 1, lett. c) c.p.p. esistono due orientamenti contrastanti.

È prevista, inoltre, la possibilità di cumulo con altre misure, purché ognuna di esse abbia una sua autonoma ragione d'essere e il cumulo risulti compatibile con ciascuna delle misure adottate.

Durata massima

Il termine di durata massima per la misura cautelare del divieto di espatrio è stabilito dall'art. 308, comma 1, c.p.p. che dispone che la stessa perde efficacia quando, dall'inizio dell'esecuzione, è decorso un periodo di tempo pari al doppio dei termini previsti dall'articolo 303 c.p.p.

Scarcerazione per decorrenza dei termini

L'art. 307, comma 1, c.p.p. dispone che, nei confronti dell'imputato scarcerato per decorrenza dei termini, è possibile disporre in via cumulativa - permanendo le ragioni che avevano giustificato la custodia cautelare - più misure coercitive.

Inoltre, qualora si proceda per uno dei reati indicati nell'art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p., il giudice può disporre a norma dell'art. 307, comma 1-bis, c.p.p., nei confronti dell'imputato, le misure cautelari del divieto di espatrio, dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, del divieto e obbligo di dimora (artt. 281, 282, 283 c.p.p.); se fornisce adeguata motivazione dell'esercizio di tale potere discrezionale, ha la facoltà di applicarle anche cumulativamente (Cass. pen., Sez. III, 27 ottobre 2005, n. 43972).

Ripristino della misura

L'art. 307, comma 2, lett. b) c.p.p., prevede il ripristino della misura della custodia cautelare in presenza di sentenza di condanna di primo o di secondo grado, nonché dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274, lett. b) c.p.p. In virtù del principio di analogia, consentito nel silenzio della norma, la rinnovazione della misura cautelare deve ritenersi estensibile al divieto di espatrio, sempre che sussista il presupposto della modifica della situazione processuale dell'imputato, per effetto di una sentenza di condanna di primo o di secondo grado (Cass. pen., Sez. V, 19 febbraio 1993, n. 589).

Impugnazioni e giudicato di condanna

Il provvedimento impositivo della misura cautelare del divieto di espatrio, in quanto applica una misura coercitiva, è impugnabile davanti al tribunale del riesame (art. 309) ovvero con il ricorso diretto per cassazione (art. 311, comma 2).

Il ricorso per cassazione avverso il provvedimento applicativo del divieto di espatrio è stato ritenuto inammissibile per causa sopravvenuta quando, prima della decisione dello stesso, si sia formato il giudicato sostanziale di condanna. La misura coercitiva in questione, invero, rientra nel novero delle misure cautelari personali, volte ad assicurare il corretto svolgimento del procedimento, la presenza dell'imputato quando necessaria, la genuinità delle prove, la loro acquisizione, la garanzia dall'eventuale pericolo derivante alla collettività dalla personalità del soggetto contro cui si procede. Esauritosi il giudizio di cognizione, tuttavia, si deve passare all'esecuzione del giudicato, pertanto vengono meno le ragioni cautelari in quanto in ipotesi di proscioglimento, il giudice deve dichiarare cessate le misure cautelari personali eventualmente applicate ai sensi dell'art. 532 c.p.p.; mentre, nel caso di condanna non sospesa condizionalmente, segue l'actio iudicati attraverso l'ordine di carcerazione e il divieto di espatrio resta assorbito nella carcerazione, maggiormente restrittiva della libertà personale, in esecuzione del giudicato (Cass. pen., Sez. I, 1 giugno 1990, n. 1550).

Casistica

Esecuzione della misura in altro paese europeo

L'attivazione della procedura per l'esecuzione di una misura cautelare non detentiva in altro Paese dell'Unione - possibilità introdotta dal d.lgs. 36/2016, che ha conformato il diritto interno alla decisione quadro 2009/829/Gai del Consiglio, del 23 ottobre 2009, sull'applicazione tra gli Stati membri dell'Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare - è provvedimento di natura esecutiva rimesso alla valutazione discrezionale del pubblico ministero, il cui controllo di legittimità è effettuabile attraverso l'attivazione dell'incidente di esecuzione. (In motivazione, la S.C. ha altresì precisato che i parametri che devono guidare il pubblico ministero nell'esercizio di tale potere attengono al bilanciamento tra l'interesse della persona sottoposta a cautela a rientrare presso lo Stato di residenza (o altro indicato) e l'interesse collettivo alla tutela della sicurezza, che informa l'intero sistema cautelare, in coerenza con le indicazioni contenute negli artt. 3 e 5 della decisione quadro 2009\829\Gai).(Cass. pen., Sez. II, 9 marzo 2017, n. 26526)

Estradizione

In tema di estradizione per l'estero, non costituisce atto abnorme il provvedimento con cui la Corte d'appello revochi "ex officio" il provvedimento di revoca di una misura cautelare applicata in via provvisoria nei confronti della persona richiesta dall'autorità straniera, precedentemente adottato sull'erroneo presupposto della mancata ricezione della documentazione necessaria per l'estradizione e non ancora eseguito. (Fattispecie relativa ad una domanda di estradizione formulata dalle autorità cinesi, in cui la Corte d'appello aveva applicato la misura cautelare dell'obbligo di dimora con divieto di espatrio). (Cass. pen., Sez. VI, 25 ottobre 2011, n. 45310)

In tema di procedura di estradizione, qualora in epoca successiva alla sentenza favorevole alla richiesta dello Stato estero si provveda con decreto ministeriale alla sospensione della consegna del cittadino e si chieda la revoca della misura coercitiva, il mantenimento del ritiro del passaporto, una volta revocata dal giudice la misura, non trova alcuna giustificazione, trattandosi di adempimento funzionale ad eventuale misura cautelare del divieto di espatrio che, in assenza di richiesta del Ministro, non può essere disposta (Fattispecie in cui la Corte ha annullato senza rinvio l'ordinanza della Corte di appello che aveva respinto la richiesta di restituzione del passaporto sul presupposto della pendenza della pratica estradizionale e del permanere dell'esigenza di evitare che il possesso del passaporto potesse favorire la sottrazione dell'estradando all'esecuzione della consegna). (Cass. pen., Sez. VI, 5 luglio 2001, n. 34796)

Soggetto trasferito all'estero

È legittima l'applicazione della misura del divieto di espatrio a carico di un soggetto che si sia trasferito all'estero in epoca precedente all'inizio del procedimento a suo carico, qualora tale misura sia giustificata dall'esigenza di prevenire il pericolo di una sottrazione irreversibile dell'indagato all'istanza di giustizia dello Stato, pericolo cui la misura è diretta a porre rimedio, non appena si presenti la concreta possibilità di dare attuazione al divieto di espatrio a seguito della intervenuta presenza dell'indagato nel territorio dello Stato. Pertanto, il trasferimento in un paese estero in epoca anteriore all'inizio del procedimento non è né giuridicamente né logicamente in contraddizione con tale misura quando concretamente sia ravvisabile la suddetta situazione di pericolosità, desumibile nella specie, dalle modalità della condotta (permanenza all'estero senza apprezzabile e comprovato motivo durante il procedimento nonché assenza di qualsiasi affidabile prospettiva di disponibilità verso la giurisdizione dello Stato) e dalla contestazione di un fatto criminoso di particolare gravità.(Cass. pen., Sez. VI, 25 settembre 1996, n. 2799)

Sorveglianza speciale

L'esecuzione della sorveglianza speciale non è incompatibile con l'applicazione della misura cautelare del divieto d'espatrio. (Cass. pen., Sez. I, 1 luglio 2008, n. 27811)

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