Nessun profilo di incostituzionalità per la messa alla prova

Redazione Scientifica
07 Maggio 2018

L'istituto della messa alla prova, introdotto con la legge 67/2014 ha passato indenne il vaglio di legittimità costituzionale. Con sentenza n. 91, depositata il 27 aprile 2018, la Consulta ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal tribunale di Grosseto con ordinanza del 16 dicembre 2017.

L'istituto della messa alla prova, introdotto con la legge 67/2014 ha passato indenne il vaglio di legittimità costituzionale.

Con sentenza n. 91, depositata il 27 aprile 2018, la Consulta ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal tribunale di Grosseto con ordinanza del 16 dicembre 2017.

Condividendo quanto già affermato dalla Cassazione con sentenza n. 36272 del 31 marzo 2017, la Corte costituzionale ha rilevato che: «questa nuova figura (n.d.r. la sospensione del procedimento con messa alla prova), di ispirazione anglosassone, realizza una rinuncia statuale alla potestà punitiva condizionata al buon esito di un periodo di prova controllata e assistita e si connota per una accentuata dimensione processuale, che la colloca nell'ambito dei procedimenti speciali alternativi al giudizio (Corte cost., n. 240 del 2015). Ma di essa va riconosciuta, soprattutto, la natura sostanziale. Da un lato, nuovo rito speciale, in cui l'imputato che rinuncia al processo ordinario trova il vantaggio di un trattamento sanzionatorio non detentivo; dall'altro, istituto che persegue scopi specialpreventivi in una fase anticipata, in cui viene “infranta” la sequenza cognizione-esecuzione della pena, in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto».

L'istituto della sospensione del processo con messa alla prova può paragonarsi all'applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p.: entrambi i riti si fondano sulla volontà dell'imputato che decide di non contestare l'accusa e, nel primo caso, si sottopone al trattamento mentre, nel secondo caso, accetta la pena. Se però la sentenza di patteggiamento costituisce un titolo esecutivo per l'applicazione di una sanzione penale, l'ordinanza che dispone la sospensione del processo e ammette l'imputato alla prova non costituisce un titolo per dare esecuzione alle relative prescrizioni: «il trattamento programmato non è infatti una sanzione penale, eseguibile coattivamente, ma dà luogo a un'attività rimessa alla spontanea osservanza delle prescrizioni da parte dell'imputato, il quale liberamente può farla cessare con l'unica conseguenza che il processo sospeso riprende il suo corso».

Viene, in questo modo, salvaguardata la volontà dell'imputato in relazione sia alla decisione sulla messa alla prova che sulla sua esecuzione.

Altresì, rilevano i giudici delle leggi, il giudice, ai sensi dell'art. 464-quater, comma 1, c.p.p. deve verificare che non sussistano le condizioni per prosciogliere l'imputato ai sensi dell'art. 129 c.p.p. e, a tale scopo, ha la facoltà di esaminare gli atti del fascicolo del P.M., disporre la comparizione dell'imputato e acquisire ulteriori informazioni.

Concludono dunque i giudici delle leggi che «se è vero che nel procedimento di messa alla prova manca una condanna, è anche vero che correlativamente manca un'attribuzione di colpevolezza: nei confronti dell'imputato e su sua richiesta (non perché è considerato colpevole), in difetto di un formale accertamento di responsabilità, viene disposto un trattamento alternativo alla pena che sarebbe stata applicata nel caso di un eventuale condanna», pertanto l'istituto della sospensione del processo con messa alla prova non viola, tra gli altri, gli articoli 25 e 27 della Costituzione sotto il profilo, rispettivamente, della presunzione di non colpevolezza e della determinatezza del trattamento sanzionatorio.

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