Potere dell’ADS di rifiutare le cure senza l'intervento del GT: il Tribunale di Pavia solleva questione di legittimità
09 Maggio 2018
Massima
È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, commi 4 e 5, l. n. 219/2017, nella parte in cui stabilisce che l'amministratore di sostegno la cui nomina preveda l'assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento, possa rifiutare, senza l'autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell'amministrato, ritenendo le suddette disposizioni in violazione degli artt. 2, 3, 13, 32 Cost.. Il caso
Con decreto di nomina in data 16 ottobre 2008, veniva nominato un amministratore di sostegno a favore di un beneficiario, senza attribuzione di poteri in materia di consenso informato medico sanitario. La relazione clinica del febbraio 2018 certificava poi che il beneficiario si trovava in stato vegetativo in esiti di male epilettico in paziente affetto da ritardo mentale grave da sofferenza cerebrale perinatale in sindrome disformica e portatore di PEG. Si evidenziava come indispensabile l'attribuzione al rappresentante di facoltà in ambito sanitario, non residuando alcuna capacità in capo all'amministrato. La questione
La questione di legittimità costituzionale ed il quesito giuridico che l'ordinanza di remissione pone è la seguente: l'art. 3, comma 4 e 5, l. n. 219/2017, che conferisce all'amministratore di sostegno poteri in ambito sanitario, sotto forma di rappresentanza esclusiva laddove ricomprende il potere di rifiutare le cure necessarie alla sopravvivenza del beneficiario, è costituzionalmente legittimo laddove rimette ogni decisione in tema di rifiuto di trattamenti unicamente all'amministratore di sostegno, senza coinvolgere né prevedere l'intervento del giudice tutelare ? Le soluzioni giuridiche
Al superiore quesito, il GT pavese risponde sollevando questione di legittimità costituzionale della disciplina di nuovo conio, con riguardo, in particolare, all'art. 3, commi 4 e 5, l. n. 219/2017, laddove, appunto essa non prevede l'intervento autorizzatorio del giudice qualora, in assenza di DAT, l'amministratore di sostegno rifiuti le cure proposte, pur in mancanza di contrasto col medico. Ipotesi quest'ultima prevista e disciplinata nel comma 5 della medesima norma che espressamente prevede che il conflitto insorto tra ADS e medico sul rifiuto delle cure venga risolto dal GT, in una parentesi giudiziaria. Il presupposto da cui parte il GT pavese per dubitare della legittimità costituzionale delle disposizioni normative citate è dato dalla constatazione secondo cui, in materia di rifiuto delle cure, vengono in considerazione valutazioni di ordine personalissimo,«inscindibili dal soggetto interessato ed indissolubilmente legate alle sue proprie convinzioni religioso-filosofiche ed inclinazioni culturali, come tali insuscettibili di essere vagliate alla luce di un giudizio obiettivo o alla stregua del parametro del best interest», come precisa la pronunzia. Riprendendo taluni passaggi delle celebre pronunzia c.d. Englaro (Cass. 16 ottobre 2007, n. 21748), il remittente precisa che il rifiuto delle cure non può derivare da riflessioni ed individuali valutazioni dell'ADS, ma deve trovare «la propria inderogabile legittimazione nella volontà dell'interessato e nei suoi orientamenti esistenziali». Indispensabile, si appaleserebbe quindi, la ricerca della volontà individuale espressa dall'incapace in materia di rifiuto delle cure, quando lo stesso era ancora capace di autodeterminazione, cosicché l'ADS dovrebbe limitarsi a trasmettere la volontà già formata dell'amministrato. Si afferma, quindi, che le disposizioni dettate dalla legge sul c.d. biotestamento risulterebbero inidonee a «salvaguardare compiutamente la natura eminentemente soggettiva del diritto in questione» in quanto tali da rimettere all'ADS «un potere potenzialmente autonomo di rifiuto delle cure», avendo come effetto quello di condurre alla «negazione dell'essenza personalissima del diritto de quo e la sua correlativa violazione». Sotto il profilo costituzionale, quindi, i precetti impugnati vengono sospettati di ledere i principi sanciti dagli artt. 2, 13 e 32 Cost., laddove la scelta di rifiutare le cure, come dispone la norma censurata, sia espressa unicamente dall'ADS, senza autorizzazione del GT. Si censurano ancora le disposizioni di cui all'art. 3, commi 4 e 5, l. n. 219/2017, per incoerenza e per manifesta irragionevolezza, con susseguente violazione dell'art. 3 Cost, all'interno dell'architettura di sistema delineata dall'istituto dell'amministrazione di sostegno. In particolare, si evidenzia che, de iure conditum, l'autorizzazione del GT è prevista ai fini del compimento degli atti elencati negli artt. 374 e 375 c.c. (che, in tema di ADS, sono richiamati dall'art. 411 c.c.). Tuttavia, continua la pronunzia, prevedere tale autorizzazione per «l'esplicazione di atti attinenti la sfera patrimoniale» e, al contempo, non prevederla per l'atto di rifiuto alle cure, «sintesi ed espressione dei diritti alla vita, alla salute, alla dignità, all'autodeterminazione della persona, si profilerebbe come irrazionale». Osservazioni
L'art. 3 l. n. 219/2017 attiene alla manifestazione del consenso informato in capo a “minori e incapaci”. In particolare, in presenza di minori di anni 18, per quanto la legge valorizzi gli eventuali spazi di autonoma volontà nei congrui casi prospettabili in capo al minore capace di discernimento, la stessa rimette ogni decisione in materia di trattamenti sanitari alla decisione dei genitori (comma 2). In caso di contrasto tra i genitori, con riguardo alle scelte sanitarie relative al figlio minore, per sciogliere il conflitto, potranno trovare applicazione gli istituti generali previsti in materia, in presenza di «contrasto su questioni di particolare importanza» (art. 316, comma 2, c.c.) , ovvero, a seguito di separazione, divorzio, annullamento o nullità del matrimonio o per i figli nati fuori dal matrimonio, il disposto affidato all'art. 337-ter c.c.. Per l'interdetto (giudiziale), il consenso informato è espresso dal tutore, in piena sintonia a quanto dispone l'art. 357 c.c. (richiamato dall'art. 424 c.c.) che gli affida la cura della persona (art. 3, comma 3, l. 219/2017). L'inabilitato, in quanto soggetto capace di compiere gli atti che non eccedono l'ordinaria amministrazione (art. 394 c.c., richiamato dall'art. 424 c.c.), può esprimere personalmente il consenso informato ai trattamenti sanitari (art. 3, comma 4, cit.). Per l'ipotesi nella pratica maggiormente ricorrente, del soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno la legge dispone che l'amministratore di sostegno, investito di poteri di rappresentanza esclusiva, sia legittimato ad esprimere il consenso informato medico-sanitario (art, 3, comma 4, cit.). Il legislatore del 2017 ha trasfuso nel composito testo dell'art. 3 la previsione affidata all'art. 6 della Convezione di Oviedo del 1997 (ratificata dall'Italia con l. 28 marzo 2001, n. 145, ma il cui strumento di ratifica non è stato ancora depositato), che rimette al rappresentante legale dell'incapace le decisioni in materia sanitaria. Sulla scorta degli enunciati solennemente affermati dalla pronunzia c.d. Englaro, il principio era già stato seguito da una parte maggioritaria della giurisprudenza che, sin dall'entrata in vigore della l. n. 6/2004, riteneva di demandare all'ADS i poteri in materia sanitaria, senza dovere ricorrere alla pronunzia di interdizione. Ci riferiamo all'orientamento inaugurato nel 2004 dal Tribunale di Modena (Trib. Modena 28 giugno 2004), secondo cui, qualora l'interessato non sia in grado di esprimere consenso consapevole relativamente a decisioni di natura sanitaria, all'amministratore di sostegno possono essere attribuiti poteri di rappresentanza al fine di esprimere il consenso informato in nome e per conto del beneficiario (Trib. Modena 20 marzo 2008). L'assunto inespresso è quello secondo cui l'assenza di capacità del soggetto non può determinare la perdita dei diritti che ad essa si correlano. La norma di legge ora in vigore ha inteso “giuridificare” questo lungimirante e largamente condiviso insegnamento come emergente dal richiamato formante interpretativo. Il comma 5 dell'art. 3 l. n. 219/2017, opportunamente, ha poi previsto una modalità di risoluzione dell'ipotizzabile insorgendo contrasto, in assenza di DAT, tra rappresentante legale dell'incapace che intenda rifiutare le cure e medico curante che ritenga di non assoggettarsi a tale decisione. In tal caso è previsto l'intervento risolutivo del GT, il quale provvede con decreto motivato (art. 43, comma 1, disp. att. c.c.), previa istruzione della causa. Nell'istruzione dell'incidente, il giudice è tenuto a ricostruire la «presunta volontà del soggetto» dallo stesso espressa quando lo stesso era ancora capace all'autodeterminazione (v. art. 5, comma 1, lett. a, d.lgs. 9 agosto 2003, n. 184, in tema di sperimentazione clinica dei medicinali per uso clinico). Tale volontà può essere ricostruita tramite assunzione di sommari informatori (art. 738, comma 3, c.p.c.), quali parenti, familiari ed amici dell'incapace, in grado di ricostruire le convinzioni etiche, religiose, filosofiche, culturali espresse o inespresse (sotto forma di comportamenti significativi) dalla persona prima della perdita della coscienza (come aveva chiarito la pronunzia c.d. Englaro). In particolare, Cass. n. 21748/2007, i cui enunziati vengono a più riprese richiamati dalla pronunzia in epigrafe, aveva condizionato il potere del tutore dell'interdetta in materia di trattamenti sanitari ad un duplice limite. Affermando che il rappresentante dell'incapace deve agire decidendo non al posto, né per l'incapace, ma “con” l'incapace, in quanto interprete della sua volontà, della sua identità, del suo modo di intendere la dignità, la vita, la salute, la malattia e, alfine, la morte, in particolare, «ricostruendone la presunta volontà»; e, in ogni caso, operando «nell'esclusivo interesse» dello stesso. Invero, pretendere, come fa la pronunzia in oggetto sollevando questione di legittimità costituzionale, che ogni decisione dell'ADS in tema di rifiuto alle cure da somministrare all'incapace vada, volta a volta, autorizzata dal GT non sembra conformarsi al sistema delineato prima dall'art. 5 d.lgs. n. 184/2003, cui si è richiamato la pronunzia sul caso c.d. Englaro. In altre parole, nell'ordinarietà, l'attività di ricostruzione della volontà presunta dell'incapace in materia di fine vita è rimessa al tutore ovvero al rappresentante legale dell'incapace. Tale organo è in grado vicario di riportare gli esiti ricostruttivi di tale attività al medico curante, nel senso della prosecuzione delle cure o del rifiuto. La funzione da lui esplicata è più quella di un nuncius, che quella del rappresentante, che forma una propria volontà. D'altro canto, è normalmente l'ADS, molto spesso un familiare della persona, il convivente, un amico, un confidente, l'unico soggetto che, per scienza diretta, per frequentazione esistenziale avuta con l'inabile prima del sopraggiungere della condizione di incapacità, può riportare e riferire le convinzione etico-religiosi-culturali che il beneficiario aveva espresso, verbis o con atti significativi, prima di cadere in condizioni di incapacità di autodeterminazione e pur senza avere redatto una DAT L'ADS è quindi in grado di farsi portavoce della volontà di colui che non ha ormai più voce in capitolo innanzi alle strutture sanitarie. Sembra con ciò logico e pare conforme ai principi che siffatta volontà vada invece giudizialmente e formalmente ricostruita e sancita (secondo il disposto dell'art. 3, comma 5) unicamente in presenza di un contrasto insorto tra vicario e medico in ordine all'effettuazione o meno delle cure proposte, come avviene in ogni situazione litigiosa. In assenza di contrasti di sorta (tra ADS e medico), non compete intervento autorizzatorio del GT, dato che la ricostruzione della volontà dell'incapace in materia pare essere compito demandato al suo rappresentante legale, nell'ottica della «funzionalizzazione del potere di rappresentanza», dato che egli è tenuto, come precisa Cass. n. 21748/2007, a «completare l'identità complessiva della vita del paziente». Laddove tale volontà presunta del paziente non possa essere ricostruita dal vicario neppure in via indiziaria, la scelta sanitaria sulle cure praticabili al paziente incapace va improntata al criterio di natura obiettiva, della ricerca del best interest del paziente, con riguardo alla utilità del trattamento sanitario rispetto al grado di sofferenza patito. L'art. 6, comma 1, della Convenzione di Oviedo precisa al riguardo che «un intervento non può essere effettuato su una persona che non ha capacità di dare consenso, se non per un diretto beneficio dello stesso». L'ordinanza di remissione ha pure censurato la disciplina testè entrata in vigore con riguardo all'omessa previsione dell'autorizzazione giudiziale per scelte di così grande momento, quale quella in tema di rifiuto delle cure espressa dall'ADS. Ebbene, tale omissione parrebbe distonica rispetto al sistema codicistico che impone il preventivo ricorso al GT per il compimento di atti di straordinaria amministrazione, seppur di natura patrimoniale (artt. 374 e 375 c.c.) e perciò attinenti alla sfera patrimoniale, non alla persona dell'incapace e, in particolare, non per il compimento di scelte esistenziali cruciali, incidenti sul bene più prezioso dell'uomo, la sua vita. È questa una scelta conforme all'impostazione tradizionale, “produttivistica”, che anima il codice, un testo normativo approvato oltre settant'anni or sono. Tuttavia, tradizionalmente, alla “cura della persona” del soggetto minore provvedono i genitori (art. 357 c.c.), mentre per il soggetto sottoposto ad ADS è chiamato a provvedere l'amministratore di sostegno (art. 405 c.c.), cui sia stata conferito apposita facoltà, senza giudiziali previsione autorizzatorie. Nel termine cura personae si ricomprende, more solito, pure la manifestazione del consenso informato ai trattamenti sanitari, che è rimessa in toto al vicario. Per completezza d'informazione, si rammenta che la Commissione c.d. Alpa «per l'elaborazione di ipotesi di disciplina organica e riforma degli strumenti di degiurisdizionalizazione» (come pure in materia di volontaria giurisdizione), che ha consegnato l'elaborato di riforma al Ministro della Giustizia in data 18 gennaio 2017, non ha fornito suggerimenti né proposte per innovare il novero delle autorizzazione giudiziali afferenti la cura personae dei minori. Note a Cass. 16 ottobre 2017, n. 21748:
R. Campione, Direttive anticipate di trattamento sanitario e amministrazione di sostegno in Fam. Dir., 2006; L. D'Avack, Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento: una analisi della recente legge approvata dal Senato in Dir. Fam. Pers., 2018, 179; A. Romano, Legge in materia di disposizioni anticipate di trattamento: l'ultrattività del volere e il ruolo del notaio in Not., 2018, 1, 15 ss.; R. Masoni, Il rispetto della persona umana nelle disposizioni in materia di consenso informato medico e di disposizioni anticipate di trattamento in www.ridare.it; G. Ferrando, (voce) Testamento biologico, in Enc. Dir., Annali, Milano, 2014, 987 ss.; M. Foglia, S. Rossi, (voce) Testamento biologico, in Dig. IV ed., Disc. Priv., Aggiornamento, IX, Torino, 2014, 639 ss.; (a cura di) P. Zatti, Prova di testo normativo sulla relazione di cura in Nuova Giur. Comm., 2013, II, 3 ss.; R. Masoni, Brevi considerazioni sulle conclusioni della Commissione Alpa in tema di volontaria giurisdizione, in Dir. Fam. Pers., 2017, 1146. |