La riforma del sistema di videoconferenza e il cambiamento di prospettiva

Claudio Papagno
10 Maggio 2018

La natura eccezionale del ricorso alla videoconferenza – contestualizzata alle ipotesi di rilevante pericolosità sociale del prevenuto – implicherebbe la necessarietà della partecipazione dell'imputato tutte le volte in cui sarebbe oggettiva la mancanza di pericolosità sociale del prevenuto. Dal punto di vista sistematico, siffatta richiesta appare del tutto legittima, atteso che l'art. 146-bis disp. att. c.p.p. e ...

Nel caso qui in esame, la difesa invoca la presenza dell'imputato all'udienza di trattazione essendo del tutto acclarata la mancanza di pericolosità sociale dello stesso, che si evincerebbe dalle caratteristiche della condotta contestata nel processo e dalla sua estemporaneità. Siffatte caratteristiche consentirebbero il ricorso al comma 1-ter dell'art. 146-bis disp. att. c.p.p., per cui «ad esclusione del caso in cui sono state applicate le misure di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, il giudice può disporre con decreto motivato, anche su istanza di parte, la presenza alle udienze delle persone indicate nei commi 1 e 1-bis del presente articolo qualora lo ritenga necessario». Giunge, però, il rigetto dell'autorità giudiziaria, il quale si condensa in pochissime parole: si conferma la videoconferenza in base alla normativa vigente.

Ora, la natura eccezionale del ricorso alla videoconferenza – contestualizzata alle ipotesi di rilevante pericolosità sociale del prevenuto – implicherebbe la necessarietà della partecipazione dell'imputato tutte le volte in cui sarebbe oggettiva la mancanza di pericolosità sociale del prevenuto. Dal punto di vista sistematico, siffatta richiesta appare del tutto legittima, atteso che l'art. 146-bis disp. att. c.p.p. e, in particolare, la partecipazione a distanza dell'imputato, rinviene la sua ratio nella necessità di contrastare le complesse connotazioni fenomeniche delle organizzazioni di stampo mafioso che, sommate soprattutto alla consuetudine per la quale, gran parte degli imputati si avvalgono spesso del diritto di presenziare al dibattimento personalmente, condizionano pesantemente i tempi di definizione dei giudizi e sono di intralcio alla continuità nella trattazione del singolo processo per la necessità delle continue traduzioni degli imputati da una sede all'altra.

Questo precetto legislativo non sarebbe venuto meno nemmeno con la riforma Orlando, ex lege 23 giugno 2017, n. 103, che ha profondamente riformato la disposizione normativa in commento. Sul punto, occorre un chiarimento: la c.d. riforma Orlando, invocata nel caso di specie, non può trovare applicazione – salvo le eccezioni riportate nella norma medesima – perché l'art. 1, comma 81, l. 103/2017, afferma che «le disposizioni di cui ai commi 77, 78, 79 e 80 [riguardanti la riforma del sistema dei video-collegamenti, n.d.r.] acquistano efficacia decorso un anno dalla pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale, fatta eccezione per le disposizioni di cui al comma 77, relativamente alle persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti di cui agli articoli 270-bis, primo comma, e 416-bis, secondo comma, del codice penale, nonché di cui all'articolo 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica, 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni». Formalmente, quindi, la disposizione de qua entrerà in vigore il 3 luglio 2018, a meno che non si proceda per uno dei reati indicati nel comma appena riportato per cui la riforma è già operativa (artt. 416-bis, comma 2, c.p.; 74, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309).

La questione appena accennata non è di poco momento perché l'introduzione della riforma apporta un sostanziale capovolgimento del rapporto regola-eccezione e questo ha indubbi riflessi sulla vicenda de qua. In essa, infatti, si invoca, a buon diritto, la regola della presenza fisica dell'imputato all'udienza del suo processo; ex adverso, ove verrebbe meno il presupposto oggettivo dell'applicazione dell'eccezione (la video-conferenza) – rappresentata dalla pericolosità sociale – tornerebbe ad avere massima ampiezza applicativa la regola della presenza fisica dell'imputato.

Ma la riforma Orlando mina alle fondamenta questo assunto perché la regola, per siffatti reati, non è più la presenza fisica dell'imputato all'udienza del suo processo, bensì il collegamento in videoconferenza anche quando il processo non abbia ad oggetto uno dei reati indicati nell'art. 407, comma 2, lett. a), n. 4), del codice di rito. Il combinato disposto degli artt. 146-bis e 147-bis disp. att. c.p.p. descrive compiutamente le ipotesi, originariamente da considerarsi eccezionali, in cui può darsi luogo al collegamento “a distanza”, sebbene vi sia anche l'art. 45-bis disp. att. c.p.p., in virtù del quale la partecipazione audiovisiva dell'imputato o del condannato è consentita anche nel corso delle udienze in camera di consiglio (quali l'udienza preliminare o l'udienza di riesame della misura cautelare), sempreché si incorra nelle stesse condizioni e si adottino le stesse modalità previste per la partecipazione dibattimentale dall'art. 146-bis disp. att. c.p.p.

Proprio questa è la norma interessata dalla modifica della legge 103 del 2017, con la quale si procede ad un ampliamento della sfera di applicazione – precedentemente riconosciuta soltanto all'esame dibattimentale del collaborante di giustizia di cui all'art. 147-bis disp. att. c.p.p. – con il proposito di permettere una deroga alla partecipazione fisica al dibattimento dell'imputato detenuto (a qualsiasi titolo) in carcere per un'imputazione relativa ad uno dei delitti indicati nell'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. (ossia dei delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso), tutte le volte in cui sussistano gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico, oppure il dibattimento – ove è protagonista l'imputato – si presenti particolarmente complesso e la sua partecipazione a distanza risulti necessaria ad evitare ritardi nello svolgimento del processo stesso ovvero, infine, si tratti di detenuto cui è stata applicata la sospensione del trattamento penitenziario ordinario ex art. 41-bis l. 26 luglio 1975, n. 354.

Ciò posto, il venire meno della pericolosità sociale dell'imputato (che, va detto, è questione di puro merito, normalmente preclusa alle fase preliminari in cui viene adottata la decisione riguardante le forme della partecipazione dell'imputato a processo) non è, di per se, sufficiente per il revirement della regola costituita dalla presenza fisica dell'imputato, semplicemente perché questa non è più la regola.

Proprio in questo cambiamento di prospettive ci sono le maggiori ragioni di perplessità che riguardano questa riforma. È sufficiente, infatti, che l'imputato sia detenuto per uno dei reati indicati nell'art. 51, comma 3-bis, e dell'art. 407, comma 2, lett. a), n. 4), c.p.p. perché si attivi il meccanismo di partecipazione “a distanza” ai processi che lo vedono imputato, quand'anche si tratti – e questo è il sostanziale elemento di novità rispetto alla disciplina previgente – di processi che abbiano ad oggetto reati diversi rispetto a quelli indicati nelle norme indicate e anche nell'ipotesi in cui per gli stessi, sia a “piede libero”, cioè non vi sia alcuna misura cautelare di carattere restrittivo. Si prescinde totalmente dall'accertamento della sussistenza delle gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico o della particolare complessità deducibile anche dal fatto che «nei confronti dello stesso imputato siano contemporaneamente in corso distinti processi presso diverse sedi giudiziarie», perché in presenza di un soggetto detenuto per uno dei reati indicati negli artt. 51, comma 3-bis, e 407, comma 2, lett. a), n. 4), c.p.p. vi è una sorta di presunzione ope legis di pericolosità e di particolare complessità del procedimento, tale per cui la partecipazione a distanza diviene la regola.

Alla stessa stregua, «la persona ammessa a programmi o misure di protezione, comprese quelle di tipo urgente o provvisorio, partecipa a distanza alle udienze dibattimentali dei processi nei quali è imputata” (art. 146-bis, comma 1-bis, disp. att. c.p.p.).

La logica conseguenza della scomparsa del potere discrezionale del giudice implica l'eliminazione dell'onere motivazionale da parte dello stesso: in presenza di un soggetto accusato per taluno dei reati indicati negli artt. 51, comma 3-bis, e 407, comma 2, lett. a), n. 4), c.p.p. questo strumento diviene obbligatorio, di talché al giudice non residua nessun margine di discrezionalità e, quindi, scompare la necessità di apportare una motivazione in ordine alle ragioni che hanno condotto al ricorso allo strumento della partecipazione a distanza. Questo giustificherebbe lo scarno a apodittico provvedimento di rigetto adottato dal giudice, il quale – si badi bene – non dispone ma «conferma la videoconferenza in base alla normativa vigente», proprio in ossequio per cui lo strumento tecnologico di partecipazione al processo, nei casi previsti dalla legge, è la regola e il giudice ritiene semplicemente di confermare l'indirizzo legislativo. Tant'è che non vi è più un decreto motivato ma una semplice comunicazione da effettuarsi secondo i rituali di legge: «il presidente del tribunale o della corte di assise nella fase degli atti preliminari, oppure il giudice nel corso del dibattimento, dà comunicazione alle autorità competenti nonché alle parti e ai difensori della partecipazione al dibattimento a distanza» (art. 146-bis, comma 2, disp. att. c.p.p.).

È vero, al giudice è lasciata la possibilità di disporre la comparizione personale dei soggetti indicati nei commi 1 e 1-bis dell'art. 146 disp. att. c.p.p. con la sola esclusione del soggetto sottoposto al regime dell'art. 41-bis ord. pen. per cui sussiste un divieto assoluto di partecipazione personale alle udienze; ma questa è emarginata a eccezione rispetto alla regola che diviene, ora (per i reati di cui agli artt. 270-bis, comma 1, e 416-bis, comma 2, c.p., nonché di cui all'art. 74, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) e da luglio 2018 (per tutti gli altri reati contemplati negli artt. 51, comma 3-bis, e 407, comma 2, lett. a), n. 4), c.p.p.), la partecipazione in videoconferenza. Il fatto che il giudice non accolga la richiesta di fare ricorso all'eccezione attraverso una motivazione molto stringata (se non del tutto assente), se dal punto di vista sistematico, appare del tutto opinabile, sotto il profilo letterale è legittima perché non è, legislativamente, prevista una motivazione per il decreto di rigetto dell'istanza di partecipazione personale dell'imputato gravato da titolo custodiale per uno dei reati contemplati negli artt. 51, comma 3-bis, e 407, comma 2, lett. a), n.4), c.p.p. (ma prima ancora, sarebbe opportuno chiedersi se esiste legittimamente un diritto a richiedere la presenza fisica a supporto di un logico supporto motivazionale del provvedimento giurisdizionale conseguente).

Di talché, il semplice richiamo alla normativa vigente, in questo senso, è formalmente sufficiente a sorreggere il provvedimento reiettivo della richiesta difensiva, sebbene non brilli per sensibilità rispetto ai temi, pure importanti, che sono connessi con la partecipazione fisica dell'imputato all'udienza che lo riguarda. In questo senso, il confronto con l'art. 6 Cedu è quanto mai inquietante perché questa disposizione sovranazionale assegna all'accusato una serie di garanzie il cui presupposto essenziale è rappresentato dalla partecipazione, anche fisica, al processo che lo riguarda. Ex adverso, la partecipazione “virtuale” al processo impedisce, di fatto, quel contatto “tattile” con le fonti di prova che, poi, è alla base del “giusto processo” così come delineato nell'art. 111 Cost. e dei corollari rappresentati dall'oralità, concentrazione e immediatezza. Il giusto processo, a pensarci bene, si basa sul presupposto implicito della contestuale presenza degli attori del processo: l'approccio verbale con la fonte di prova (oralità) dinanzi allo stesso giudice che assumerà la decisione finale (concentrazione) e subito dopo che l'acquisizione della prova sia avvenuta, in modo che sia lucido il ricordo di quelle sensazioni percepite con il contatto diretto con la fonte di prova (immediatezza). Reductio ad unum: ognuno di questi principi implica la presenza fisica del soggetto nei cui confronti le accuse sono mosse.

Nella disciplina originaria, la discrezionalità lasciata al giudice consentiva che le paventate esigenze trovassero una comparazione con i principi sopra esposti, in modo che potesse apportarsi il sacrificio minimo alle garanzie difensive dell'imputato. Così, non è più: in luogo di una partecipazione “a distanza”, consentita solo per i procedimenti aventi a oggetto i reati di particolare allarme sociale, le videoriprese per la partecipazione dell'imputato al processo si estendono a tutti i processi riguardanti i soggetti che sono detenuti per uno dei reati di indole mafiosa indicati negli artt. 51, comma 3-bis, e 407, comma 2, lett. a), n. 4), c.p.p. Le eccezioni impongo il ricorso al provvedimento motivato (il decreto motivato ex comma 1-ter dell'art. 146-bis disp.att. c.p.p.); viceversa, l'applicazione della “regola” non impone alcun onere motivazione (ai sensi del comma 2 dell'art. 146-bis disp.att. c.p.p., il giudice «dà comunicazione alle autorità competenti nonché alle parti e ai difensori della partecipazione al dibattimento a distanza»).

Questa asimmetria motivazionale è alla base della legittimità del provvedimento adottato nel caso di specie.

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