Il “crac Cirio”: il punto della Cassazione sui reati di bancarotta

11 Maggio 2018

Nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale il fallimento costituisce una condizione obiettiva di punibilità ed è pertanto estraneo alla sfera di volizione del soggetto agente; l'elemento soggettivo del reato è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la volontà di cagionare il dissesto né la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa né ancora lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte sì da determinare un pericolo di danno per i creditori.
Massima

Nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale il fallimento costituisce una condizione obiettiva di punibilità ed è pertanto estraneo alla sfera di volizione del soggetto agente; l'elemento soggettivo del reato è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la volontà di cagionare il dissesto né la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa né ancora lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte sì da determinare un pericolo di danno per i creditori.

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, qualora il fatto si riferisca a rapporti fra società appartenenti al medesimo gruppo, il reato deve ritenersi insussistente se i benefici indiretti ottenuti dalla società fallita in ragione della partecipazione al gruppo si dimostrino idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi conseguenti all'operazione ritenuta distrattiva, sì da rendere il fatto inidoneo in concreto a ledere le ragioni creditorie.

La fusione per incorporazione costituisce, nella disciplina anteriore al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, fenomeno di carattere estintivo-successorio sicché la società fusasi in altra é assoggettabile a fallimento entro un anno dal momento della sua estinzione ai sensi dell'art. 10 l. fall.; resta tuttavia ferma la possibilità di procedere per un reato fallimentare avente ad oggetto condotte delittuose poste in essere dagli amministratori della società anche anteriormente alla fusione ed a prescindere dalla sua dichiarazione di fallimento ove si tratti di fusione non effettiva ma di carattere meramente fittizio.

Tra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e quello di bancarotta impropria per causazione del dissesto con operazioni dolose -ove contestati in relazione alla medesima procedura fallimentare- non è configurabile un concorso formale, rimanendo pertanto il secondo reato assorbito nel primo, nel caso in cui la relativa condotta sia individuata nella imputazione con riguardo agli stessi fatti addebitati nell'accusa di bancarotta fraudolenta.

Il caso

Nella vicenda sottoposta all'attenzione della Suprema Corte agli imputati, nell'ambito del c.d. “crac Cirio” ed in particolare del relativo gruppo societario, era contestata una pluralità di fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale nonché di bancarotta impropria da reati societari e per causazione del dissesto.

Tra le molteplici censure mosse alla sentenza di appello merita ricordare, in sintesi davvero estrema e per ciò che qui maggiormente interessa, come le difese criticassero, in primo luogo, l'asserita impostazione della stessa volta ad individuare l'esistenza di un progetto di volontario dissesto che avrebbe animato l'attività degli imputati ed aggiungessero, quali ritenuti elementi costitutivi del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la volontà di cagionare il dissesto dell'impresa e la necessità che quest'ultima si trovasse in stato di dissesto al momento dei fatti, elementi che nel caso di specie avrebbero fatto difetto; ancora osservavano che, trattandosi di distrazioni avvenute nell'ambito di un gruppo societario, le stesse sarebbero state non punibili in ragione del principio dei vantaggi compensativi, che vi sarebbe stata una indebita duplicazione di affermazione di responsabilità per condotte ritenute integrare allo stesso tempo sia il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale che quello di bancarotta impropria per causazione del dissesto ed infine che per le condotte poste in essere nell'ambito della gestione di società poi oggetto di fusione sarebbe mancata la condizione di punibilità in difetto della dichiarazione del loro stato di insolvenza.

Le argomentazioni difensive così riassunte erano ritenute infondate dalla Corte di Cassazione ad esclusione di quella relativa al rapporto tra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e quello di bancarotta impropria per causazione del dissesto, sul punto annullando con rinvio l'impugnata sentenza.

La questione

Le questioni sottoposte all'attenzione della Cassazione concernono imputazioni riguardanti la gestione del gruppo Cirio, il quale risultava composto dalle seguenti società: Cirio Holding (risultante dalla fusione per incorporazione in Centrofinanziaria S.p.a. di Cirio Holding S.p.a.) ammessa alla amministrazione straordinaria e dichiarata in stato di insolvenza in data 7.8.2003, Ciro Del Monte NV ammessa alla amministrazione straordinaria e dichiarata in stato di insolvenza in data 13.8.2003, Cirio Del Monte Italia S.p.a. ammessa alla amministrazione straordinaria e dichiarata in stato di insolvenza in data 7.8.2003, Cirio Finance Luxembourg S.a. ammessa alla amministrazione straordinaria e dichiarata in stato di insolvenza in data 9.11.2003 e Del Monte Finance Luxembourg S.a. ammessa alla amministrazione straordinaria e dichiarata in stato di insolvenza in data 9.11.2003.

In ragione delle ricordate censure appare dunque delinearsi un articolato oggetto di analisi:

1) in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quali termini abbiano incidenza sugli elementi costitutivi del reato l'assenza di una volontà di cagionare il dissesto dell'impresa e la mancata manifestazione del dissesto al momento del fatto che si assume distrattivo;

2) in tema di operazioni distrattive infragruppo, se ed in quali termini trovi applicazione il principio dei c.d. vantaggi compensativi;

3) in tema di fusione tra società, in quali termini possano essere ritenuti responsabili di bancarotta gli amministratori di una società partecipante alla fusione per fatti commessi anteriormente a quest'ultima;

4) in tema di concorso di reati, quale sia il rapporto tra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e quello di bancarotta impropria per causazione del dissesto ove le relative condotte siano individuate e contestate con riguardo agli stessi fatti.

Le soluzioni giuridiche

Giova premettere come i reati fallimentari di cui trattasi fossero contestati nell'ambito della gestione di società dichiarate in stato di insolvenza, dovendosi ricordare come l'art. 95 D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270 equipari tale dichiarazione a quella di fallimento ai fini dell'applicazione delle disposizioni dei capi I, II e IV del titolo VI della legge fallimentare, ovvero delle disposizioni penali in quest'ultima contenute.

1. Per ciò che concerne il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (art. 216, comma 1 n. 1) l. fall.), è noto come la Corte di Cassazione abbia affermato in ultimo (cfr. Cass., 22 marzo 2017, n. 13910) che la dichiarazione di fallimento costituisce condizione obiettiva di punibilità (art. 44 c.p.), sì abbandonando il proprio tradizionale orientamento secondo cui essa sarebbe stata elemento costitutivo del reato (ancorché indipendente dall'atteggiamento psichico dell'agente). La sentenza in commento mostra di condividere tale conclusione, con la conseguenza che il disseto prodromico alla dichiarazione di fallimento rimane estraneo alla sfera di volizione del soggetto agente; il dissesto inoltre non assume le caratteristiche di elemento costituivo del reato (così, tra le molte, Cass. Pen., Sez. Un., 27 maggio 2016, n. 22474), con l'ulteriore conseguenza che non deve sussistere alcun nesso eziologico tra la condotta e quel dissesto, la lesività della prima caratterizzandosi in ragione dell'ingiustificato depauperamento del patrimonio dell'impresa sì da giungere a pregiudicare effettivamente le ragioni creditorie.

2. In tema di operazioni che si assumono distrattive aventi ad oggetto il trasferimento di risorse infragruppo, al fine di verificare se esse abbiano effettivamente determinato per la società nell'ambito della quale sono state compiute un ingiustificato depauperamento, occorre tener conto, secondo il principio dei c.d. vantaggi compensativi, della più ampia situazione in cui, nell'ambito del gruppo, la società è coinvolta, potendo l'eventuale pregiudizio direttamente derivatole aver trovato corrispettivo altrimenti.

E' noto come il principio in argomento abbia trovato attuazione positiva in materia penale nell'art. 2634, comma 3 c.c. in tema del reato di infedeltà patrimoniale, ed in proposito la sentenza in commento ha ritenuto di condividere il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui l'operatività del principio debba essere estesa alla bancarotta fraudolenta patrimoniale (cfr. in ultimo Cass. Pen., 29 febbraio 2016, n. 8253). Nel caso di specie la Suprema Corte ha peraltro escluso la sussistenza di un valido effetto compensativo giacché, a fronte dei trasferimenti di somme dalla Cirio ad altre società del gruppo, la prima non beneficiava di alcun flusso finanziario ed anzi registrava un incremento del suo indebitamento.

3. Nella vicenda sottesa alla pronuncia qui annotata alcuni fatti di bancarotta erano contestati nell'ambito della gestione delle società Compagnia Mobiliare Italiana e dell'incorporante Ciro Holding S.p.a. (a propria volta incorporata nella società Centrofinanziaria S.p.a. di seguito denominata Cirio Holding) senza che le prime due società fossero state dichiarate insolventi entro l'anno dalla loro cessazione ai sensi dell'art. 10 l. fall. di tal che, secondo la prospettazione difensiva, avrebbe fatto difetto la condizione di punibilità prevista per i reati contestati.

La Suprema Corte in proposito ha tuttavia circoscritto l'applicabilità dell'art. 10 l. fall. alle ipotesi di fusione reale e non meramente fittizia, dovendosi riconoscere al giudice penale la facoltà di valutare la reale effettività della nominale operazione di fusione, effettività peraltro esclusa nei casi di specie sottoposti alla sua attenzione.

4. In riferimento ai motivi di ricorso relativi ad una lamentata duplicazione indebita di affermazione di responsabilità per condotte ritenute integrare allo stesso tempo sia il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale che quello di bancarotta impropria per causazione del dissesto (art. 223, comma 2 n. 2) l. fall.), la Cassazione ha ribadito il consolidato principio secondo cui deve escludersi il concorso formale tra tali reati in presenza di azioni di per sé soltanto distrattive, al contrario ravvisandosi detto concorso allorché si individuino anche ulteriori condotte di abuso o infedeltà nell'esercizio della carica ricoperta o tradottesi in atti intrinsecamente deleteri per l'andamento economico-finanziario dell'impresa sì da cagionare il dissesto ovvero da aggravarlo.

Osservazioni

La pronuncia in commento, nel sintetizzare la pluralità di principi di diritto fin qui riassunti in riferimento a vicende imprenditoriali oltremodo complesse e che larga eco hanno destato nell'opinione pubblica, riveste notevole interesse ed ha costituito nella sostanza l'occasione per fare il punto sui reati di bancarotta.

In riferimento alla natura della sentenza di fallimento si è detto come la pronuncia aderisca alla tesi, prospettata di recente nella giurisprudenza di legittimità e che sembra in via di consolidamento, secondo cui essa costituisce condizione obiettiva di punibilità mentre non si registra alcuna novità interpretativa circa il fatto che l'insolvenza sottesa alla dichiarazione di fallimento non costituisce evento del reato e dunque non è legata eziologicamente alla condotta ed ancora circa il rapporto tra i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e quello di bancarotta impropria per causazione del dissesto.

Meritano alcune precisazioni, invece, le questioni relative all'applicabilità del principio dei vantaggi compensativi ed alla possibilità di esercitare l'azione penale in ipotesi di fusioni societarie.

La tesi secondo cui l'operatività del principio dei vantaggi compensativi debba essere estesa alla bancarotta fraudolenta patrimoniale appare invero condivisibile ove riferita ai soli fatti di bancarotta pre-fallimentare ed ove legata ad una valutazione circa la effettiva e concreta lesività del fatto, sì che i benefici indiretti conseguiti della società fallita siano idonei a compensare efficacemente gli immediati effetti negativi dell'operazione compiuta e dunque ad escludere la stessa tipicità del fatto distrattivo.

In tema di fusione deve osservarsi come l'applicabilità dell'art. 10 l. fall. muova dalla concezione tradizionale secondo cui la fusione avrebbe dato luogo ad una successione a titolo universale con estinzione delle società partecipanti in caso di fusione in senso stretto o della incorporata in caso di fusione per incorporazione. Tale concezione contrasta con la formulazione dall'art. 2504 bis, comma 1 c.c. (così come modificato dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) essendo stato eliminato il riferimento alle società “estinte” presente invece nella precedente formulazione della norma, ed in effetti il principio secondo cui la fusione costituirebbe fenomeno di carattere estintivo-successorio appare ormai superato in giurisprudenza la quale, proprio muovendo dalla citata modifica dell'art. 2504-bis, comma 1 c.c., afferma come tale ultima norma sia significativa nel chiarire che la fusione tra società si risolve in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità pur in un nuovo assetto organizzativo; peraltro, avendo la nuova disciplina natura innovativa e non interpretativa, il principio da essa desumibile appena menzionato non vale per le fusioni (per unione od incorporazione) antecedenti alla stessa modifica normativa (cfr. Cass., Sez. Un., 17 settembre 2010, n. 19698; Cass., 16 maggio 2017 n. 12199) e dunque in questo quadro debbono essere collocate le conclusioni cui è giunta sul punto la Suprema Corte, ove in particolare si noti che le fusioni tra le società del gruppo Cirio sono avvenute anteriormente all'entrata in vigore della riforma della disciplina delle società di capitali di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6.