Tecnologia blockchain, bitcoin e riciclaggio: il futuro è adesso
14 Maggio 2018
Abstract
La tecnologia blockchain e la sue principali applicazioni – prima tra tutte le monete virtuali e i bitcoin in particolare – rappresentano un terreno di approfondimento e confronto di grande rilievo per gli operatori del settore economico-finanziario e – di conseguenza – di quello penale. Se effettivamente le monete virtuali possono essere considerate in prospettiva uno dei principali strumenti per porre in essere attività di riciclaggio o autoriciclaggio, non è pensabile che l'attività di contrasto a tali condotte illecite non debba prendere le mosse da una specifica conoscenza della “architettura” del settore, così da poter calibrare l'applicazione delle disposizioni sanzionatorie in termini di tempestività ed efficacia. Ne Il manoscritto di Brodie, Josè Luis Borges ci spiega che «[…] la tradizione è una trama secolare di avventure». Poche altre frasi sintetizzano in termini così efficaci ed esaustivi il rapporto tra innovazione e tradizione, l'eterna tensione tra passato e futuro che caratterizza la storia dei singoli come, per molti aspetti, dell'intera società. Scetticismo, pregiudizi e sfiducia, spesso fondati sulla scarsa o nulla conoscenza dei fenomeni, rappresentano pesanti vincoli rispetto alla possibilità di “cogliere” e vivere le accelerazioni che non infrequentemente la realtà ci propone. In questo senso, termini come blockchain e bitcoin erano, sino a pochissimi anni orsono, patrimonio espressivo e cognitivo di pochi “iniziati”. Oggi progressivamente e inesorabilmente molto è già cambiato: leggiamo delle numerose possibilità di applicazione del “sistema” blockchain e le cripto valute – bitcoin che sono oggetto dell'attenzione sotto vari profili: non solo, ovviamente, nel mondo economico-finanziario ma anche in chiave giuridica, in relazione alla loro possibile “definizione”, all'inquadramento nei sistemi normativi nazionali ed internazionali delle possibili ricadute sul piano fiscale della “movimentazione” di valori che determinano e alla diffusione delle tipologia di transazioni commerciali che attraverso di esse possono trovare luogo. In questo quadro, magmatico e dinamico, è proprio il diritto penale a apparire , almeno per ora, quale “anello debole” della catena. L'approccio sul piano “patologico” alle nuove tecnologie e ai nuovi modelli comportamentali non può che essere problematico: si tratta non solo di acquisire una specifica dimestichezza con le modalità di manifestazione del genus blockchain e della species bitcoin, quanto anche di confrontarsi – tra l'altro, sul piano ontologicamente transazionale tipico del mondo online – con le finalizzazioni criminali di manifestazioni nate in termini di assoluta liceità. Manifestazioni, nondimeno (come vedremo) che seppure fisiologicamente lecite si prestano splendidamente per dare corpo a una variegata serie di patologie. La tecnologia blockchain
Come abbiamo già scritto, il rapporto tra blockchain e bitcoin è di genus a species. Il primo è un paradigma tecnologico potenzialmente applicabile ai settori più disparati, uno dei quali è proprio la regolazione delle transazioni in criptovalute, tra le quali i bitcoin sono la “espressione” più nota e diffusa. Si tratta di fenomeni che coniugano modelli organizzativi – per certi aspetti – innovativi con una filosofia di base sintonica rispetto a ideologie correnti; forse un caso, forse no. Basti riflettere su alcune delle caratteristiche di base del blockchain – ossia utilizzo della tecnologia peer-to-peer (in assenza, pertanto, di “autorità centrali”) basata su software open source, pubblicamente sviluppato e condiviso. Non esiste un “gestore” delle transazioni e non esistono livelli gerarchici nell'ambito del sistema. Il successo delle blockchain non può, nondimeno, essere posto in relazioni solo a tali aspetti.
Fondamentale, in questo senso è la connotazione di affidabilità, immodificabilità, irrevocabilità, trasparenza e – perché no – convenienza che caratterizzano una blockchain. Ogni soggetto che entra nel sistema sa di poter contare sul fatto che, anche in caso di attacco esterno o di danneggiamento (a differenza di quanto può accadere in generale nell'ambito digitale), le “informazioni” non andranno perdute. Ogni transazione sarà visibile per tutti i partecipanti, non revocabile e non modificabile. Ognuno “vede” e controlla tutto ciò che accade nel sistema. E, grazie alla decentralizzazione, il “costo” globale dell'attività, depurato da quello degli intermediari, non può che presentarsi come vantaggioso. Che cosa è una blockchain? Blockchain è un libro mastro (Ledger) decentralizzato e crittograficamente sicuro per la gestione di transazioni su reti peer-to-peer. Si tratta di un «protocollo di comunicazione, che identifica una tecnologia basata sulla logica del database distribuito (un database in cui i dati non sono memorizzati su un solo computer ma su più macchine collegate tra loro, chiamate nodi). La Blockchain è un grande database per la gestione di transazioni crittografate su una rete decentralizzata di tipo peer-to-peer decentralizzato che dà il nome a una nuova piattaforma tecnologica, che permette di ridefinire e reimpostare il modo in cui creiamo, otteniamo e scambiamo valore». In particolare è «registro pubblico per la gestione di dati correlati alle transazioni presenti nei blocchi e gestite tramite crittografia dai partecipanti alla rete che verificano, approvano e successivamente registrano tutti i blocchi con tutti i dati di ciascuna transazione su tutti i nodi. La stessa “informazione” è dunque presente su tutti i nodi e pertanto diventa immodificabile se non attraverso una operazione che richiede la approvazione della maggioranza dei nodi della rete e che in ogni caso non modificherà lo storia di quella stessa informazione […] «La Blockchain è organizzata per aggiornarsi automaticamente su ciascuno dei client che partecipano al network. Ogni operazione effettuata deve essere confermata automaticamente da tutti i singoli nodi attraverso software di crittografia, che verificano un pacchetto di dati definiti a chiave privata o seme, che viene utilizzato per firmare le transazioni. Garantendo l'identità digitale di chi le ha autorizzate» (BELLINI). In concreto, pertanto, una “catena di blocchi” collegati in rete tra loro, di modo che ogni transazione che avviene attraverso l'algortimo di base viene validata dalla rete stessa nell'”analisi” di ciascun singolo blocco. Ogni blocco costituisce un archivio per tutte le transazioni e per tutto lo storico di ciascuna transazione che, possono essere modificate solo con l'approvazione dei nodi della rete. Solo con il “teorico ” consenso di tutti i nodi della rete le transazioni potrebbero essere modificate, così che le stesse sono di fatto non modificabili. Tale forma di “organizzazione” (e, di fatto, gestione, delle informazioni) assume la forma del cd. distributed ledger, ossia del libro mastro “condiviso” – la cui piena funzionalità si basa non solo sull'efficacia dell'algoritmo di sistema ma anche sulla fiducia reciproca e sul ruolo necessariamente paritario tra tutti i soggetti che agiscono sulla rete- che si oppone alla logica verticistica del centralized ledger, ossia di un sistema centralizzato di gestione delle informazioni. Rispetto al sistema centralizzato, dove tutte le informazioni sono “ricevute”, garantite e gestite da un'autorità terza (si pensi alla P.A. ma anche alle banche o alle assicurazioni) con il distibuited ledger sono gli stessi utenti a “consociarsi” a gestire direttamente le proprie transizioni, inserendole nel sistema attraverso un meccanismo che, se correttamente utilizzato, ne garantisce l'assoluta autenticità e immodificabilità. Le singole transazioni sono validate e correlate da un marcatore temporale, attraverso l'applicazione di funzione algoritmica informatica non invertibile (denominata hash) ogni blocco (contenente le transazioni) viene identificato in modo univoco e collegato con il blocco precedente tramite una procedura di identificazione. In particolare la marca temporale – applicata alla singola transazione attraverso il c.d. timestamping e consistente in una sequenza di caratteri che identificano in modo univoco, indelebile e immutabile una data e/o un orario – consente di associare una data e un'ora certe e legalmente valide a un documento informatico, rendendo tale dato “opponibile” a terzi. Ogni transazione contiene:
Una volta inserita in rete, nell'ambito di un “blocco”, la singola transazione può essere conosciuta e verificata da tutti gli utenti del sistema; la transazione viene così autorizzata e validata, divenendo “immutabile”. L'autenticazione e validazione non possono essere – ovviamente – effettuate da chiunque; l'inserimento di un blocco di transazioni in una blockchain “passa” attraverso un processo di validazione e crittografazione ( “impegnativo” sul piano informatico, in quanto richiede una particolare capacità elaborativa) che viene effettuato (a fronte di una remunerazione) a mezzo di apposito algoritmi dai c.d. miner. Risolvendo un complesso problema matematico, il miner aggiunge un nuovo blocco alla catena, così che tutti i partecipanti sanno che è stata verificata la validità di tutte le sue transazioni. Solo se tale processo viene completato senza errori o anomalie il blocco entra a tutti gli effetti nella blockchain, divenendo conoscibile ( e accettato) da tutti i “membri “ del sistema. Sono i miner che “creano” – o meglio generano – ad. es., i bitcoin. In particolare «i distributed ledger vengono aggiornati solo dopo aver ottenuto il consenso e ogni nodo viene aggiornato con l'ultima versione di ogni singola operazione di ciascun partecipante. Ogni operazione rimane poi in modo indelebile e immutabile su ogni singolo nodo. In altre parole ciascun partecipante dispone di una copia – immutabile – di ciascuna operazione…… Questo modello di architettura permette di interpretare il database in senso molto più ampio rispetto al passato. Non possiamo più semplicemente parlare di Ledger come archivi, ma dobbiamo parlare di Distributed Ledger Technology come di un nuovo rapporto tra persone e informazioni» (BELLINI) Le cripto valute: bitcoin ma non solo
I concetti generali sopra sintitezzati in ordine alle blockchain possono essere trasposti alla realtà dei bitcoin o delle altre – ormai numerose anche se meno note – monete virtuali. In assenza di una struttura “centrale” i blocchi contenenti trasnazioni di cripto valuta possono essere validati e inseriti in forma digitale e in termini di autenticità e immodificabilità attraverso l'algoritmo specifico del sistema, creato nel 2009. Una volta inserito l'algoritmo, viene riconosciuta la transazione che identifica la tipologia di cripto-valuta d'interesse “acquistando così” uno specifico valore variabile, che in tal modo può essere utilizzato quale corrispettivo per molteplici operazioni tra le quali probabilmente la più interessante è il trasferimento di ricchezza. Le monete virtuali assumono un valore per il sol fatto di essere accettate come corrispettivo di beni o servizi, sulla base di una “fiducia” non basata su un rapporto “personale” o sul riconoscimento di un “valore “ garantito da un ente centrale ma sulla semplice “esistenza” virtuale garantita dalle stesse caratteristiche tecniche del sistema. Una moneta che così strutturata consente la trasmissione di valori in forma tendenzialmente “riservata” senza intermediari e con ridottissimi dati per la sua tracciatura. Una valuta virtuale, o criptovaluta, è stata definita una rappresentazione di valore digitale decentralizzato basato sulla logica peer-to-peer, residente in una blockchaincondivisa, il cui trasferimento è caratterizzato dalla crittografia strutturata da regole di emissione prettamente dettate da un algoritmo open source (CAPACCIOLI). Pure non potendo essere oggetto delle presenti riflessioni, un‘analisi nel dettaglio dell'effettiva natura delle cripto monete, è doveroso precisare come non esista, di fatto, un'interpretazione condivisa o almeno maggioritaria in tal senso. Si spazia così tra un'idea di moneta “atipica” in ragione: dell'assenza di un soggetto terzo emittente, del suo prevalente utilizzo generico come mezzo di pagamento di beni immateriali, della visione di una versione in chiave digitale dell'istituto del baratto, di una commodity piuttosto che della “manifestazione” di un'obbligazione naturale. Verosimilmente, nessuna di tali categorie può essere ritenuta quella corretta. E' un problema di metodo, più che di merito. Il giurista (e forse non solo il giurista) a fronte di espressioni della realtà fortemente innovativa che essa rappresenta, se non addirittura tale da integrare una cesura tecnico-commerciale rispetto al quadro riferibile al proprio bagaglio di conoscenze, è portato a affrontare il problema con un'operazione di ortopedia normativa o quantomeno di inquadramento sistematico. Si cercano le similitudini e le sovrapposizioni con le categorie esistenti, anche a costo di “forzare” il dato a favore di una – confortante ma imprecisa – riconducibilità a istituti e schemi generali “noti”. Vero è che molte volte tale tecnica risulta corretta ed efficace ma ciò non è tuttavia sempre realizzabile. Nel caso di specie, forse, occorre avere il coraggio intellettuale di prendere atto della “difformità” più che di ricercare la similitudine. Una nuova disciplina dei rapporti e delle transazioni in oggetto si presenta per l'interprete necessaria almeno quanto la necessità di delineare nuove e specifiche definizioni. Siamo come Darwin alle Galapagos: non poniamoci il problema di attribuire nomi nuovi a animali mai visti prima. Bitcoin e riciclaggio: premessa
L'interprete deve, specie in chiave penale, conoscere l'uso e le modalità di circolazione delle criptovalute, piuttosto che “inquadrarle” in specifici istituti. Il diritto penale prescinde in molti casi, perlomeno dal dato giuridico formale, privilegiando, in funzione della tutela di specifici interessi, la presa in considerazione delle condotte nelle loro manifestazioni “sociologiche”. È quanto, verosimilmente, accade nel caso di specie. Partiamo proprio da questo aspetto: sappiamo che le valute virtuali possono essere trasferite, memorizzate o scambiate elettronicamente. Per fare ciò, l'utente deve avere a disposizione un wallet, ossia un portafoglio digitale indispensabile per depositare le criptovalute nella propria disponibilità. Il trasferimento viene protetto da una chiave privata, che garantisce che il trasferimento sia effettivamente della persona che ha effettuato la transazione, e che nessuno possa modificare la stessa. Se i trasferimenti di bitcoin possono avvenire direttamente tra due soggetti che hanno la disponibilità di un wallet, grande rilievo deve essere riconosciuto anche a altre figure del settore, ossia i c.d. “exchanger”.Si tratta diprestatori di servizi chiamati ad assicurare il “cambio” tra valute virtuali e valute legali. Soggetti che, dunque, assumono il ruolo di “traghettatori” tra gli scambi economico finanziari tradizionali e il mondo delle criptovalute. È proprio, come vedremo, attraverso gli interventi apportati al d.lgs. 231/2007 dalla d.lgs. 90/2017 che l'attenzione del Legislatore si è soffermata sui punti di snodo d'ingresso e d'uscita dal circuito virtuale, attraverso il processo di conversione di valuta a corso legale in criptovaluta e viceversa. Vale la pena di ricordare due fattispecie penale che potranno essere applicate ai fenomeni oggetto della presente analisi: il riciclaggio (art. 648-bis c.p.) e l'autoriciclaggio (art 648-ter.1 c.p.). È di solare evidenza come l'acquisto e il trasferimento di bitcoin possa costituire condotta funzionale a garantire “ostacolo” all'identificazione della provenienza delittuosa di denaro o altre utilità di provenienza illecita: sia nei casi in cui le monete rappresentino strumenti di pagamento, sia ove assumano una valenza puramente “speculativa”. Un ostacolo che deve essere colto non tanto e non solo sul piano torico, ma soprattutto su quello pratico verificando fino a che punto e in quale modo le attività in oggetto possono concretamente essere riferite a soggetti individuabili. In questa prospettiva i bitcoin assumono almeno di fatto il ruolo di moneta (o di “rappresentazione “ di un valore), anche se non ufficialmente riconosciuta; una “moneta” che non è considerata di per sé illegale, la cui circolazione può essere tracciata e ricostruita con difficoltà non comparabili a quelle delle moneta tradizionale. In questo senso le caratteristiche del sistema negli scambi di bitcoin limitano fortemente il potere coattivo dello Stato, che attualmente non è dotato di strumenti adeguati di intervento. Un mezzo logico-funzionale paradossalmente lecito che si presta ad attività del tutto illecite, quale il riciclaggio e/o l'autoriciclaggio, in considerazione che la criptovaluta può essere, trasferita e conservata in modo anonimo e il controllo dei momenti di trasferimento dal mondo reale a quello virtuale, risultano non semplici da monitorare. È il “potenziale” anonimato a rendere insidiose, sul piano operativo, le transazioni e gli “investimenti” effettuati in bitcoin a monete simili. Per le attività riferibili al titolare di un account bitcoin, è garantita la riservatezza in ordine all'identità; un “anonimato” per certi aspetti imperfetto, atteso che le singole transazioni sono registrate – come abbiamo visto – su un “libro contabile digitale” di dominio pubblico, accessibile da chiunque, dal quale può essere possibile risalire agli account coinvolti nell'operazione. Nondimeno, si tratta di una “tracciabilità” molto teorica, atteso che la riconduzione delle singole attività a un soggetto individuato, risulta non semplice e comunque condizionata da vari fattori. Un quadro che deve essere completato dalla consapevolezza di ulteriori intrinseche criticità: la possibilità che un soggetto sia titolare di più account, l'estrema facilità ad operare su base transnazionale, in questo modo aggirando eventuali vincoli e controlli presenti nei vari stati “a macchia di leopardo”; a ciò si aggiunga la possibilità di “abbinare” alle attività online relative ai bitcoin tutti gli strumenti che la realtà informatica offre per rendere difficoltoso o impossibile l'identificazione dell'operatore in rete. Inutile dire come la criminalità organizzata, in Italia come all'estero, abbia tempestivamente colto le peculiarità del settore e si stia, verosimilmente con profitto e dedizione, dedicando all'utilizzo di questo sistema di riciclaggio. Inutile dire quanto elevato sia il rischio che trasferimenti di valori funzionali a alimentare attività di terrorismo internazionale possano potenzialmente trovare luogo attraverso gli strumenti descritti. Una possibilità che impone, in ambito nazionale, all'interprete di verificare se trasferimenti o investimenti in cripto valute possano esser ricondotti alla fattispecie di cui dell'art. 270-quinquies.1 c.p. , (con oggetto il finanziamento di condotte con finalità di terrorismo) che sanziona chiunque, al di fuori degli art. 270-bis e quater.1 c.p., raccolga, eroghi o metta a disposizione «beni o denaro, in qualunque modo realizzati […] indipendentemente dall'effettivo utilizzo dei fondi per la commissione delle citate condotte». La formula utilizzata certamente non esclude a priori, dall'ambito di applicazione della norma, le attività in oggetto. Sul piano normativo, in realtà, proprio le indicazioni in tema di riciclaggio rappresentano uno dei pochi aspetti sul quale il Legislatore ha ritenuto di intervenire. Le «valute virtuali», in effetti, non possono qualificarsi come valute dal punto di vista dell'Unione; in questo senso, per il Regolamento (Ce) 974/1998 del Consiglio, l'euro è la moneta unica dell'unione economica e monetaria dell'Unione. Manca una forte e globale presa di posizione sul fenomeno in generale, che non è stato disciplinato nella maggior parte dei paesi, sebbene il fenomeno nel suo insieme abbia assunto dimensioni di tutto rispetto; di recente lo stesso è stato indirettamente “ trattato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea; in questo senso, secondo la sentenza C.G.Ue C-264/14 la valuta virtuale bitcoin non avrebbe altre finalità se non quella di essere un mezzo di pagamento accettato da alcuni operatori. Valute virtuali e disciplina antiriciclaggio
Il sistema nazionale aveva preso in considerazione il fenomeno delle valute virtuali, anche se indirettamente, anche prima del d.lgs. 90/2017. Già l'Uif – con comunicazione del 30 gennaio 2015 (in tema di “utilizzo anomalo di valute virtuali”) aveva raccomandato particolare attenzione a tutte le «operazioni connesse all'acquisto e/o vendita di valute virtuali, realizzate in un arco temporale circoscritto, per importi elevati». D'altro canto, per le attività di emissione di valuta virtuale, conversione di moneta legale in valute virtuali e viceversa e gestione dei relativi schemi operativi non può essere esclusa la violazione di disposizioni normative, penalmente sanzionate, che riservano l'esercizio della relativa attività ai soli soggetti legittimati (artt. 130, 131 Tub per l'attività bancaria e l'attività di raccolta del risparmio; art. 131-terTub per la prestazione di servizi di pagamento; art. 166 Tuf, per la prestazione di servizi di investimento. v. BIXIO; PINTO).In particolare deve essere considerata quest'ultima fattispecie, per la quale «è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da euro 2.000 a euro 10.000, chiunque […] a) svolge servizi o attività d'investimento o di gestione collettiva del risparmio» È altamente positivo, anche se non consueto, il fatto che il legislatore nazionale, abbia inteso, con il d.lgs. 90 del25 maggio 2017 (rubricato Prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e finanziamento al terrorismo, in vigore dal 4 luglio 2017) anticipare le proposte di modifica della IV Direttiva (2015/849 Ue) confluite nella bozza della V direttiva, con riguardo specificamente le valute virtuali. In generale, con il d.lgs. 90/2017 i soggetti obbligati:
A tale fine è consentito ai soggetti obbligati di ricorrere a terzi per assolvere gli obblighi di adeguata verifica ed identificazione della clientela; tali obblighi si considerino assolti, “previo rilascio di idonea attestazione da parte del terzo che abbia provveduto ad adempiervi direttamente, nell'ambito di un rapporto continuativo o dell'esecuzione di una prestazione professionale ovvero in occasione del compimento di un'operazione occasionale”. Molto opportunamente il legislatore si è reso conto delle criticità rispetto a una piena efficacia del decreto derivanti dal sostanziale anonimato delle cripto valute e dalla conseguente non adeguatezza delle verifica della clientela e sul'individuazione del titolare effettivo del conto wallet (art. 18 d.lgs. 231/2007). Rispetto alle cripto valute, l'assenza di intermediari finanziari può favorire operazioni di riciclaggio e di finanziamento al terrorismo, non essendo strutturalmente coinvolti quegli organismo che, nell'economia tradizionale, svolgono le funzioni di controllo e segnalazione di attività sospette alle autorità competenti. Imporre stingenti obblighi sulle modalità di pagamento in generale impiegati nell'esecuzione di transazioni finanziarie finalizzate al riciclaggio, senza considerare espressamente l'attività dei “cambiavalute virtuale”, poteva essere in effetti, un controsenso; grazie al decreto gli “exchanger” sono considerati soggetti destinatari delle normative antiriciclaggio di cui alla direttiva antiriciclaggio. È vero che allo stato le disposizioni emanate dal Legislatore italiano non trovano analoga generalizzata applicazione negli altri paesi, una circostanza che riduce drasticamente, stante la facilità di operare on line su altri aree geografiche, l'efficacia delle nuove disposizioni. Inoltre, è evidente che non rientrano nella nuova regolamentazione tutte le transazioni che avvengono senza l'intermediazione degli exchanger e quelle derivanti da attività di mining, nonché quelle relative a exchanger non sottoposti alla normativa antiriciclaggio. Questi limiti ontologici all'efficacia delle nuove disposizioni non possono essere tali da ridimensionare la portata innovativa delle stesse; si può verisimilmente ritenere che si tratti di un “punto” di partenza per il contrasto di attività illecite, che potrà essere oggetto di ulteriori interventi, sul piano qualitativo come su quello dell'estensione applicativa. In particolare, il menzionato decreto ha introdotto due definizioni di grande rilievo per il settore: valuta virtuale (art.1, comma 2, lett qq), d.lgs. 231/2007): «la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un'autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l'acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente». Prestatori di servizi relativi all'utilizzo di valuta virtuale (art.1, comma 2, lett.ff) d.lgs. 231/2007): «ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, servizi funzionali, all'utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione in valute aventi corso legale»; tali soggetti, ex art. 3, comma 5, lett. i), d.lgs. 231/2007 – sono inseriti tra quelli obbligati agli adempimenti antiriciclaggio. Per questi ultimi sono stati previsti obblighi di: - adeguata verifica del cliente e del titolare effettivo (art. 17 d.lgs. 231/2007); - conservazione (artt. 31-32 d.lgs. 231/2007) e di segnalazione per operazioni sospette all'Uif (art.35 d.lgs. 231/2007), laddove compiano attività di conversione di valute virtuali ovvero in valute aventi corso forzoso. In particolare l'art. 35 prevede che i soggetti obbligati – prima di compiere l'operazione – inviano una segnalazione all'Uif – senza ritardo – quando «sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento al terrorismo o che comunque i fondi..provengano da attività criminosa. Il sospetto è desunto dalle caratteristiche, dall'entità, dalla natura delle operazioni, dal loro collegamento o frazionamento[…] in ragione delle funzioni esercitate, tenuto anche conto della capacità economica e dell'attività svolta dal soggetto a cui è riferita». Anche soggetti quali professionisti, intermediari finanziari, gli altri operatori non finanziari e i prestatori di servizi di gioco sono attratti agli obblighi antiriciclaggio relativi a valute virtuali; si tratta di valutazioni che si ispirano al principio dell'approccio basato sul rischio (artt. 15 e 16 d.lgs. 90/2017) e quindi di collaborazione responsabile; il sistema richiede a tali soggetti un'attenta analisi degli eventuali fattori di rischio legati al cliente, all'area geografica e al tipo di operazione, rapporto continuativo o prestazione professionale, ai canali e ai prodotti e servizi offerti. In tempi recentissimi anche a livello europeo è emersa la necessità di delineare una strategia di prevenzione specifica, di modo estendere gli obblighi imposti in capo agli exchanger ai wallet provider (soggetti che svolgono a fronte di un corrispettivo un servizio di conservazione di cripto valute a favore degli utenti) per incrementare l'effetto deterrente sull'utilizzo a fini illeciti delle cripto valute. Si segnala a tal proposito che l'approvazione il 19 aprile 2018 da parte del Parlamento europeo del quinto emendamento alla direttiva antiriciclaggio, impone anche ai wallet provider di effettuare controlli e verifica sulla operazioni della propria clientela, analogamente a quanto già richiesto agli exchanger. Ancora in termini generali, l'art. 8 d.lgs. 90/2017 ha modificato l'art 1, comma 1, d.l. 167/1990 (in tema di monitoraggio fiscale), prevedendo per gli intermediari finanziari e altri operatori, nonché quelli non finanziari – che intervengono anche attraverso movimentazione di conti nei trasferimenti da e verso l'estero di mezzi di pagamento – la trasmissione all'Agenzia delle Entrate dei dati oggetto di conservazione, effettuati anche in valuta virtuale, di importo pari o > di 15.000 euro «indipendentemente dal fatto che si tratti di un'operazione unica o di più operazioni che appaiono collegate per realizzare un'operazione frazionata e limitatamente a quelle eseguite per conto o a favore di persone fisiche, enti non commerciali e di società semplici e associazioni equiparate» . Il menzionato decreto ha altresì previsto all'art.15 d.lgs. 231/2007 che le autorità di vigilanza e gli organismi di autoregolamentazione, dettino criteri e metodologie per l'analisi e la valutazione del rischio riciclaggio e di finanziamento al terrorismo, cui sono esposti nell'esercizio della loro attività (così, BIXIO; al momento sarebbero in corso di emanazione le specifiche disposizioni da parte degli Organi di riferimento (Ordini, Banca d'Italia). Indicazioni tanto indirette quanto equivoche potenzialmente applicabili ai trasferimenti di bitcoin sono poi rilevabili dall'art. 24, comma 2, del decreto legislativo 231/2007 (obblighi di adeguata verifica rafforzata della clientela), ove è previsto che «i soggetti obbligati tengono conto almeno dei seguenti fattori….b) di rischio relativamente a prodotti, servizi, operazioni o canali di distribuzione quali: […] 2) prodotti o servizi che potrebbero favorire l'anonimato; […] 5) prodotti e pratiche commerciali di nuova generazione, compresi i meccanismi innovativi di distribuzione e l'uso di tecnologie innovative o in evoluzione per prodotti nuovi o preesistenti» La Banca d'Italia, con documento per consultazione del 13 aprile 2018, relativo a «disposizioni in materia di adeguata verifica della clientela» ha indicato nei fattori di rischio elevato, relativi a prodotti, servizi, operazioni o canali di distribuzione – tra gli altri – «prodotti od operazioni che potrebbero favorire l'anonimato ovvero favorire l'occultamento dell'identità del cliente e/o del titolare effettivo. Rilevano, ad esempio, …..le operazioni riconducibili a servizi connessi alla conversione di valuta legale in valuta virtuale e viceversa»(all. 2 lett. a)) Il quadro normativo sopra delineato è destinato a breve a essere completato – proprio in funzione del contrasto alle attività illegali (riciclaggio) che potrebbero essere effettuate con le valute virtuali da un d.m. del Ministero dell'Economia e delle Finanze, che dovrebbe introdurre un ”registro dei cambiavalute”: al riguardo«chiunque sia interessato a svolgere sul territorio italiano l'attività di prestatore di servizi relativi all'utilizzo di valuta virtuale” dovrà comunicarlo al MEF; obbligo di registrazione che potrebbe essere previsto anche per gli “operatori commerciali che accettano le valute virtuali quale corrispettivo di qualsivoglia prestazione avente ad oggetto beni, servizi o altre utilità». Scopo del decreto dovrebbe essere quello di monitorare qualunque attività disponibili a accettare le criptovalute come forma di pagamento per beni, servizi o altri fini, attraverso l'iscrizione a uno speciale registro tenuto dall'Oam (Organismo degli agenti e dei mediatori), per la gestione degli elenchi degli agenti finanziari e dei mediatori creditizi. In particolare, i dati raccolti dal Ministero, oltre ad essere utilizzati ai fini di censimento, saranno resi disponibili alla guardia di finanza ed alla polizia postale e delle comunicazioni per eventuali indagini relative a riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo (su questi temi: PINTO; BIXIO). In conclusione
Atti convegno Profili finanziari, giuridici, investigativi e sommersi delle criptovalute, Gdf – Genova, 18 aprile 2018; BELLINI, Blockchain: cos'è, come funziona e gli ambiti applicativi in Italia”, in blockchain4innovation.it; BIXIO, Normativa antiriciclaggio e bitcoin; CAPACCIOLI, Criptovalute e bitcoin: un'analisi giuridica, Giuffré, 2015; PINTO, Bitcoin e provvedimenti cautelari: profili giuridici e criticità. |