Accordo di negoziazione assistita: sì all'ordine diretto di pagamento
14 Maggio 2018
Massima
L'ordine di pagamento diretto previsto dall'art. 156 comma 6 c.c. può essere emesso anche a fronte dell'inadempimento degli obblighi sanciti in un accordo di separazione raggiunto attraverso una convenzione di negoziazione assistita ai sensi dell'art. 6 d.l. n. 132/2014 così come convertito dalla l. 10 novembre 2014 n. 162. Il caso
La ricorrente si è rivolta al Tribunale di Torino lamentando l'inadempimento da parte del coniuge dell'obbligo di versare il contributo al mantenimento dei figli sancito in un accordo di separazione concluso con una negoziazione assistita; ha quindi chiesto l'emissione di un ordine di pagamento diretto nei confronti del datore di lavoro della controparte. Il Collegio ha preliminarmente ritenuto ammissibile la domanda, sulla scorta dell'art. 6 comma 3, d.l.n. 132/2014, tale da ricomprendere le tutele previste dall'art. 156 c.c. a garanzia dell'adempimento delle obbligazioni patrimoniali nascenti dalla separazione. Nel merito ha ritenuto la domanda adeguatamente provata, ritenendo ad essa applicabile il limite massimo di cui all'art. 545, comma 5, c.p.c. fissato dal legislatore in metà dello stipendio, da «interpretarsi come limite generale e inderogabile individuato dal legislatore al prelievo forzoso per crediti di qualsiasi natura, financo alimentare (applicabile essendo anche ai crediti di cui all'art. 545 comma 3 c.p.c.)». La questione
In caso di inadempimento ad un accordo di separazione, raggiunto a seguito della convenzione di negoziazione assistita, è ammissibile la richiesta di pagamento diretto al terzo debitore? In caso affermativo, vi sono limiti quantitativi a detto pagamento? Le soluzioni giuridiche
Sin dall'entrata in vigore del d.l. n. 132/2014 è stata posta in evidenza la piena equiparazione tra gli accordi stipulati a seguito di negoziazione assistita ed i provvedimenti giudiziali che avrebbero dovuto eventualmente essere assunti, tenuto conto sia di quanto espressamente previsto dal comma 3 dell'art. 6 d.l. n. 132/2014, sia del fatto che il precedente art. 5 riconosce comunque valore di titolo esecutivo (anche ai fini dell'eventuale iscrizione di ipoteca giudiziale) a qualsiasi accordo stipulato all'esito di una negoziazione assistita. In tale contesto, si è quindi ritenuto che l'accordo intervenuto tra i coniugi ai sensi dell'art. 6 cit. possa giustificare la richiesta di idonea garanzia patrimoniale o l'ordine diretto di pagamento a carico del terzo ai sensi dell'art. 156, comma 6, c.c. o dell'art. 8 l. n. 898/1970, oppure esser posto direttamente in esecuzione ai sensi della medesima disposizione. Tali conclusioni vengono condivise dal Tribunale di Torino nella pronuncia in esame, attraverso la quale viene ordinato al datore di lavoro del padre di versare direttamente in favore della madre ai sensi dell'art. 156, comma 6, c.c. il contributo al mantenimento dei figli concordato dalle parti nell'ambito dell'accordo stipulato a seguito di negoziazione assistita, offrendo così una tutela identica rispetto a quella che sarebbe stata offerta ove si fosse discusso delle condizioni contenute in una separazione consensuale omologata o in una sentenza di separazione giudiziale. Negare tale equiparazione contrasterebbe del resto non soltanto con l'espressa previsione normativa, ma anche con la finalità deflattiva della legge, che risulterebbe evidentemente frustrata ove l'accordo risultasse privo di una reale tutela nelle ipotesi di un eventuale inadempimento, disincentivando così le parti potenzialmente interessate. La questione relativa alla vincolatività nell'ambito della particolare tutela assicurata dall'art. 156, comma 6, c.c. dei limiti d'impignorabilità discendenti dal codice di procedura civile e dalla normativa sull'impiego pubblico trova invece risposte articolate ed ancor oggi non uniformi. Risulta in particolare condivisa dalla giurisprudenza di legittimità e di merito la tesi secondo cui risulta inapplicabile il limite di pignorabilità del quinto dello stipendio previsto dall'art. 545,comma 5, c.p.c., «alla luce della specialità della disciplina di cui all'art. 156 c.c. nonché della natura almeno in parte alimentare dei crediti de quibus»e soprattutto in considerazione del fatto che la determinazione del contributo deriva «da una complessiva valutazione della capacità economica dell'obbligato» già compiuta in sede di separazione, secondo quanto argomentato nella pronuncia in esame. Risulta invece ancor oggi controversa la questione relativa alla necessità di rispettare comunque il limite della metà dello stipendio: se infatti secondo la pronuncia in esame tale quota «deve interpretarsi come limite generale e inderogabile individuato dal legislatore al prelievo forzoso per crediti di qualsiasi natura, financo alimentare (essendo applicabile anche ai crediti di cui all'art. 545, comma 3, c.p.c.)», secondo invece la costante giurisprudenza di legittimità non può porsi alcun limite neppure discendente dalla normativa in materia di stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (cfr. Cass., sez. I,sent., 27 gennaio 2004,n. 1398), sino a ritenere che «il giudice possa legittimamente disporre il pagamento diretto dell'intera somma dovuta dal terzo, quando questa non ecceda, ma anzi realizzi pienamente, l'assetto economico determinato in sede di separazione con la statuizione che, in concreto, ha quantificato il diritto del coniuge beneficiario (fattispecie nella quale al terzo datore di lavoro del coniuge obbligato, tenuto a corrispondere a quest'ultimo una retribuzione pari ad un milione di lire, era stato ordinato di versare l'intero importo al coniuge avente diritto, e fino a concorrenza della somma di L. 2.400.000, che costituiva l'importo dell'assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione giudiziale)» (cfr. Cass., sez. I, sent., 2 dicembre 1998, n. 12204). Osservazioni
La pronuncia in esame risulta assolutamente condivisibile nella parte in cui ammette gli strumenti di tutela disciplinati dall'art. 156, comma 6, c.c. anche ove sia rimasto inadempiuto un accordo cui i coniugi sono pervenuti all'esito di una negoziazione assistita. Condivisibile e decisamente interessante è anche la parte in cui si fa ricorso agli ordinari criteri processualcivilistici nel regolare l'onere della prova in ordine all'inadempimento, favorendo un'interpretazione dei fatti e delle norme coerente rispetto ad analoghe fattispecie. In merito all'applicabilità del limite discendente dall'art. 545, comma 5, c.p.c., la pronuncia aderisce invece ad un'interpretazione minoritaria ed allo stato non condivisa dalla giurisprudenza di legittimità. É bene peraltro rammentare un ulteriore orientamento talora emerso dalla giurisprudenza di merito secondo cui, ferma l'inapplicabilità diretta dell'art. 545, comma 5, c.p.c. in considerazione della speciale natura delle disposizioni previste in materia di famiglia, potrebbe comunque farsi riferimento in via equitativa al medesimo limite. |