La compensazione nel fallimento: aspetti civilistici e tributari

16 Maggio 2018

La compensazione è uno dei modi previsti dalla legge per estinguere le obbligazioni: è una modalità alternativa all'adempimento, per quanto rivesta anch'essa natura satisfattoria.Presupposto della compensazione è che due soggetti siano fra loro, in un dato momento, debitori e creditori per prestazioni omogenee: per effetto della compensazione, le contrapposte posizioni obbligatorie si elidono. Quando le obbligazioni sono di egual valore, entrambe, con la compensazione, si estinguono; in caso contrario, la compensazione opera sino alla concorrenza dell'obbligazione minore, estinguendola: l'obbligazione maggiore residua, così, per l'eccedenza.
La compensazione civilistica. Cenni generali

La compensazione è uno dei modi previsti dalla legge per estinguere le obbligazioni: è una modalità alternativa all'adempimento, per quanto rivesta anch'essa natura satisfattoria.

Presupposto della compensazione è che due soggetti siano fra loro, in un dato momento, debitori e creditori per prestazioni omogenee: per effetto della compensazione, le contrapposte posizioni obbligatorie si elidono.

Quando le obbligazioni sono di egual valore, entrambe, con la compensazione, si estinguono; in caso contrario, la compensazione opera sino alla concorrenza dell'obbligazione minore, estinguendola: l'obbligazione maggiore residua, così, per l'eccedenza.

Sottese all'istituto vi sono ragioni di carattere pratico (inutilità di movimentazioni finanziarie senza che vi sia un sostanziale incremento patrimoniale per le parti), nonché ragioni di natura “equitativa” (tutela di colui che possa rimanere pregiudicato dall'insolvenza altrui).

In dottrina v'è chi ritiene che la compensazione operi, più che fra soggetti diversi, tra patrimoni distinti: potrebbe esservi, in ipotesi, reciprocità anche in presenza d'unicità del titolare delle opposte obbligazioni, ove riconducibili a patrimoni separati (G. Chiné-M. Fratini-A. Zoppini, Manuale di diritto civile, Roma, 2015, p. 906).

In giurisprudenza, si ritiene possibile l'elisione di obbligazioni derivanti da un'unica fonte negoziale (la cd. compensazione impropria): essa, se accostabile alla compensazione in senso proprio quanto agli effetti, se ne discosta invero quanto allo disciplina, tanto sostanziale, quanto processuale (non rilevabilità d'ufficio della compensazione, inapplicabilità della sospensione della prescrizione ex art. 1242, comma 2, cod. civ., non compensabilità del credito impignorabile, inapplicabilità dei requisiti d'esigibilità ed omogeneità: Cass., civ. sez. III, 25 agosto 2006, n. 18498).

Ai sensi dell'art. 1243, comma 1, cod. civ., la compensazione opera per le obbligazioni aventi ad oggetto somme di danaro ovvero cose fungibili d'egual genere (compensazione legale), ciò peraltro a condizione che entrambi i crediti siano liquidi ed esigibili – nonché certi, non sottoposti a condizione, né indeterminati ovvero indeterminabili.

La coesistenza delle reciproche posizioni determina una situazione d'astratta “compensabilità” fra obbligazioni, cui deve pur seguire l'esercizio di un potere estintivo da parte di colui che ne abbia interesse (cd. eccezione di compensazione).

Il secondo comma dell'art. 1243 cod. civ. dispone che, ove il credito opposto in compensazione non sia ancora liquido (in relazione all'an e/o al quantum), ma sia tuttavia di facile e/o pronta liquidazione, il giudice può dichiarare la compensazione fra le reciproche obbligazioni nei limiti del valore certo (compensazione giudiziale); il giudice può anche sospendere la condanna all'adempimento dell'obbligazione nei limiti della parte non esigibile, sino all'esito dell'accertamento.

L'art. 1252 cod. civ. prevede che la compensazione possa aver luogo per volontà delle parti ove anche non ricorrano le condizioni di cui sopra, potendo – i contraenti – pattiziamente stabilirne i termini (compensazione volontaria).

Gli effetti della compensazione dipendono dalla natura della stessa: in caso di compensazione legale, le obbligazioni si estinguono dal giorno della loro coesistenza, non potendo il giudice rilevare d'ufficio l'avvenuta compensazione; è dunque onere della parte che ne abbia interesse eccepire la compensazione, anche in ambito giudiziale: la pronunzia del giudice, in questo caso, ha natura dichiarativa.

In caso di compensazione giudiziale, gli effetti estintivi sorgono dalla data del provvedimento con il quale il giudice adito dichiari la compensazione; tale pronunzia ha natura costitutiva, con valenza ex nunc: gli effetti estintivi non retroagiscono al momento dell'originaria coesistenza delle obbligazioni (Cass., civ. sez. IV, 27 aprile 2010, n. 10025).

Nella compensazione volontaria, infine, gli effetti si verificano dal giorno stabilito nell'accordo negoziale, che ha anch'esso natura costitutiva, ovvero dal momento in cui si verifichino le condizioni ivi pattiziamente previste.

La compensazione in ambito fallimentare

Secondo quanto dispone l'art. 56, comma 1, l. fall., i creditori del fallito hanno diritto di compensare i propri debiti verso il medesimo con i propri crediti, ove anche gli stessi non siano scaduti alla data del fallimento.

In questo caso - ovvero quanto il credito verso il fallito non sia scaduto al momento dell'apertura del concorso – la compensazione non opera (divieto) ove il credito sia stato acquistato per atto tra vivi dopo la sentenza di fallimento oppure nell'anno anteriore (art. 56, comma 2, l. fall.).

La compensazione ex art. 56 l. fall. rientra nella più ampia categoria della compensazione civilistica, soggiacendo agli stessi limiti e presupposti (reciprocità e certezza, separatezza dei patrimoni), per quanto adattati in funzione del concorso.

La previsione di cui all'art. 56, comma 1, l. fall. – può essere opposto in compensazione anche il credito non scaduto alla data del fallimento – rappresenta, così, una mera eccezione al generale requisito della “liquidità” dell'obbligazione (M. Terenghi, Il pagamento del fideiussore ed operatività della compensazione, in Fall., 1998, 98).

D'altra parte, la deroga appare coerente con la norma prevista dall'art. 1186 cod. civ.: l'insolvenza del debitore determina la decadenza del termine dell'obbligazione: la sentenza di fallimento varrebbe dunque a rendere esigibile il credito verso il debitore insolvente.

Del resto, ove il credito opposto in compensazione sia omogeneo, liquido ed esigibile al momento dell'apertura del concorso, il creditore, vertendosi in ambito di compensazione legale, realizza sin da subito l'effetto estintivo, potendosi limitare a dichiarare la compensazione in sede fallimentare – così sottraendosi agli effetti del concorso.

Fra l'altro, secondo la Cassazione, la possibilità di eccepire in compensazione un credito non “scaduto” alla data di apertura del concorso vale anche per il fallito (Cass., civ. sez. III, 12 febbraio 2008, n. 3280).

Sotto altro profilo, la compensazione in sede concorsuale costituisce una deroga al principio di par condicio, assicurando al creditore che la eccepisca un trattamento più favorevole rispetto ai creditori concorrenti, dunque un “pagamento” integrale.

Per quanto l'effetto estintivo conseguente all'applicazione dell'art. 56 l. fall. non sia suscettibile di revocatoria fallimentare, si ritiene che tale esclusione non operi in relazione a quei negozi in forza dei quali il debitore del fallito abbia soddisfatto altri creditori al fine di acquisire il credito da opporre in compensazione al fallito, in presenza dei presupposti ex art. 67 l. fall. (Cass., civ. sez. I, 4 maggio 2012, n. 6795; Trib. Milano, 7 marzo 2012; Trib. Roma, 20 febbraio 2006).

Caratterizza la compensazione fallimentare il requisito della anteriorità delle obbligazioni rispetto all'apertura del concorso: il loro momento genetico deve precedere la sentenza dichiarativa di fallimento (Cass., civ. sez. un., 2 novembre 1999, n. 755).

Non è così consentito al creditore in bonis eccepire in compensazione un credito verso il fallito a fronte d'un proprio debito nei confronti della massa (per l'impossibilità di eccepire in compensazione nei confronti della curatela che agisca per la restituzione di somme oggetto di revocatoria, titolo sorto post fallimento, un credito sorto anteriormente all'apertura del concorso: Cass., civ. sez. I, 19 novembre 2008, n. 27518).

In sede concorsuale opera anche la compensazione giudiziale (Cass., civ. sez. I, 31 agosto 2010, n. 18915): il giudice fallimentare, accertata l'anteriorità delle obbligazioni, nonché la loro omogeneità, può liquidare il credito del soggetto in bonis e, nel contempo, negli stessi limiti, dichiarare con efficacia ex nunc l'avvenuta estinzione dell'obbligazione del fallito, dando corso all'effetto compensativo (Cass., civ. sez. I, 12 giugno 2007, n. 13769).

Come detto, l'art. 56, comma 2, l. fall. prevede cheove il credito verso il fallito non sia scaduto al momento dell'apertura del concorso, la compensazione non può operare qualora lo stesso sia stato acquistato per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell'anno anteriore.

La ratio di tale norma risiede nell'esigenza di disincentivare operazioni speculative, sanzionando il comportamento di chi, debitore del fallito, in prossimità del dissesto, acquisisca un credito verso il medesimo a prezzi sperequati, da opporre poi in compensazione col proprio debito.

D'altra parte, anche il cedente ne avrebbe vantaggio, beneficiando del margine tra il corrispettivo della cessione e la percentuale, inferiore, che verosimilmente otterrebbe in sede concorsuale.

Ai fini della operatività del divieto ex art. 56, comma 2, l. fall., occorre che l'acquisto del credito sia intervenuto per mezzo di atti inter vivos, restando esclusi gli acquisti mortis causa (Trib. Mondovì, 12 gennaio 2005).

V'è chi, peraltro, in dottrina, ritiene che nell'ambito della categoria degli acquisti inter vivos sia ascrivibile, oltre alla cessione in senso stretto, ogni altra fattispecie idonea a produrre l'effetto del trasferimento, e ciò indipendentemente dalla forma utilizzata – es., accollo, espromissione, surrogazione –, ove anche a titolo gratuito (L. Abete, Sub Art. 56. Compensazione in sede di fallimento, in G. Lo Cascio (diretto da), Codice commentato del fallimento, Milano, 2015; in senso conforme, in giurisprudenza: Trib. Torino, 11 aprile 1997. Contra, in dottrina, ove non vi sia intento fraudolento in capo al creditore: S. Ambrosini (a cura di), Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma “organica” al decreto “correttivo”, Bologna, 2008, 99).

Secondo un orientamento giurisprudenziale, il divieto ex art. 56, comma 2, l. fall. opera anche in relazione agli acquisti di crediti scaduti alla data d'apertura del concorso, ove posti in essere post fallimento o nell'anno anteriore (Trib. Milano, 25 giugno 2016; su posizione intermedia – applicabilità del divieto ex art. 56, comma 2, l. fall. agli acquisti di crediti scaduti posti in essere post fallimento: Trib. Torino, 5 agosto 2016).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, tuttavia, il divieto ex art. 56, comma 2, l. fall. deve circoscriversi agli acquisti di crediti non scaduti al momento del fallimento (Cass., civ. sez. I, 5 febbraio 2013, n. 2695; Cass., civ. sez. I, 2 ottobre 1989, n. 3955, nonché, su questione di legittimità costituzionale sollevata dal foro meneghino, Corte Cost., 20 ottobre 2000, n. 431; in senso conforme: App. Torino, 20 gennaio 2010; Trib. Mantova, 14 marzo 2006; Trib. Desio, 1° luglio 2003).

Recente orientamento è giunto a sanzionare d'inefficacia un acquisto di crediti non scaduti posto in essere post fallimento e, dunque, astrattamente ammissibile secondo la lettera dell'art. 56, comma 2, l. fall. – e ciò attraverso il ricorso all' “abuso del diritto” sul presupposto della sussistenza, nel concreto, di un'evidente sproporzione tra valore nominale del credito opposto in compensazione e relativo prezzo d'acquisizione, oltremodo vantaggioso, in capo al creditore del fallito (Trib. Monza, 12 ottobre 2015).

Sotto il profilo procedimentale, l'art. 56 l. fall. non prevede alcun limite temporale ai fini dell'esercizio del potere compensativo: si ritiene che la compensazione possa essere eccepita sino al momento del passaggio in giudicato del decreto con il quale il giudice delegato dichiari esecutivo lo stato passivo (R. Provinciali, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1970, 858); da tale momento, il credito sorto ante fallimento non eccepito in compensazione farebbe dunque rientrare nei “ranghi” della concorsualità il credito medesimo.

Secondo la Cassazione, il debitore del fallito che si assuma suo creditore per importo superiore al proprio debito, può eccepire la compensazione in sede di verifica del passivo, chiedendo di esservi ammesso per la parte residua, una volta operata l'elisione delle reciproche posizioni (Cass., civ. sez. I, 21 ottobre 1998, n. 10408).

La compensazione deve essere accertata in sede di formazione del passivo, non assumendo rilievo che l'eccezione sia stata sollevata in un precedente giudizio ordinario, in ipotesi promosso dallo stesso debitore, ante fallimento (Cass., civ. sez. I, 27 marzo 2008, n. 7967): il giudice fallimentare ha competenza esclusiva sul rapporto obbligatorio, il giudizio ordinario deve essere interrotto ed il procedimento “ricondotto” in ambito concorsuale (Cass., civ. sez. un., 12 novembre 2004, n. 21499).

In questo senso, la L. 19 ottobre 2017, n. 155 (Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza), all'art. 7, comma 8, lett. e), ha espressamente previsto che venga attratto nella sede concorsuale della verifica dei crediti l'accertamento di ogni ragione creditoria da parte di terzi che sia opposta in compensazione ex art. 56 l. fall.

Peraltro, ove prima della verifica dei crediti la curatela richieda l'adempimento dell'obbligazione al proprio debitore, questi potrà sempre opporle in compensazione il proprio credito sorto ante fallimento (Cass., civ. sez. III, 13 gennaio 2009, n. 481).

La verifica del passivo ha, infine, forza di giudicato endofallimentare, facendo sì che ogni relativo effetto preclusivo operi esclusivamente in ambito concorsuale: una volta che il giudice delegato accolga l'eccezione di compensazione, ammettendo il credito al passivo in misura “decurtata”, il curatore non ha alcun titolo per agire nei confronti del creditore concorrente con riferimento a quanto sia stato oggetto di compensazione (Cass., civ. sez. un., 14 luglio 2010).

La compensazione in ambito fiscale

La compensazione civilistica – sino all'entrata in vigore dello Statuto del contribuente – è stata ritenuta inapplicabile alla materia tributaria, considerato, da un lato, il carattere indisponibile dell'obbligazione tributaria, dall'altra, il divieto ex art. 1246, n. 3), cod. civ. (non sono compensabili i crediti impignorabili, fra cui appunto quelli fiscali).

L'art. 8, comma 1, L. 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), ha introdotto, sotto un profilo generale, la possibilità che l'obbligazione tributaria venga estinta tramite compensazione, secondo lo schema codicistico, ove compatibile con i principi di diritto tributario.

In questo senso, la Cassazione ha ritenuto che l'art. 8 L. n. 212/2000 abbia recepito “i generali canoni del codice civile sull'estinzione per compensazione”, per quanto nei limiti “dell'applicabilità del relativo istituto, secondo la normativa tributaria in vigore, solo nei casi specificamente contemplati […], inequivocabilmente confermando che l'estinzione per compensazione del debito tributario si determina allo stato della legislazione tributaria, solo se espressamente stabilita” (Cass., civ. sez. V, 20 novembre 2001, n. 14579).

L'art. 8 dello Statuto ha peraltro rinviato, per i profili applicativi, ad una successiva regolamentazione secondaria, da emanarsi ex art. 17, comma 2, L. n. 400/1988 – regolamentazione invero mai adottata.

La Corte di Cassazione ha peraltro avuto modo di riconoscere la diretta applicabilità in ambito tributario della compensazione ex art. 8 L. n. 212/2000, anche in assenza del regolamento attuativo, ponendo così le premesse per l'applicazione, in via “suppletiva”, della disciplina codicistica (Cass., civ. sez. V, 25 ottobre 2006, n. 22872).

Prima dell'introduzione dell'art. 8 L. n. 212/2000, il contribuente poteva accedere alla compensazione fiscale nei limiti di quanto previsto dalle singole norme tributarie.

Il perimetro della compensazione fiscale è andato progressivamente ampliandosi, dapprima con l'introduzione della compensazione “orizzontale” fra tributi omogenei, sotto il profilo degli obblighi dichiarativi e della determinazione della base imponibile (art. 2 D.L. 30 dicembre 1991, n. 417); successivamente, per effetto dell'art. 17 D.Lgs. n. 241/1997, con l'estensione della compensazione orizzontale anche ai tributi non omogeni (es., compensazione fra imposte dirette ed IVA), nonché alle prestazioni non erariali e/o tributarie (es., imposte locali, contributi previdenziali, diritti camerali).

Sotto questa angolatura, la compensazione fiscale differisce dal generale schema codicistico, là dove deroga al principio di “reciprocità” delle obbligazioni.

La pluralità dei soggetti interessati alla compensazione ex art. 17 D.Lgs. n. 241/1997 ha indotto a ritenere che l'effetto estintivo si produca per il tramite di un rapporto di delegazione: il contribuente (delegante) dà disposizione al proprio debitore, ente territoriale e/o previdenziale (delegato), di estinguere la propria obbligazione, tramite compensazione (P. Russo, La compensazione in materia tributaria, in Rass. trib., 2002, 1855 ss.).

In ambito tributario è applicabile la sola compensazione legale, che può operare, peraltro, solo in presenza dei presupposti ex art. 1243, comma 1, cod. civ.

È invece inapplicabile la compensazione giudiziale: il giudice tributario non è legittimato ad entrare nel merito delle modalità d'adempimento dell'obbligazione fiscale; né, d'altra parte, egli è competente a decidere in ordine alle obbligazioni aventi natura diversa da quella tributaria.

Non è inoltre applicabile, in ambito fiscale, la compensazione volontaria, attesa la inammissibilità di negoziazioni fra parti in forma libera aventi ad oggetto obbligazioni indisponibili, quali quelle tributarie.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, il momento in cui si perfeziona la compensazione fiscale coincide con la data del provvedimento con il quale l'ente impositore accolga la domanda di compensazione presentata dal contribuente (Cass., civ. sez. V, 3 dicembre 2004, n. 2276): la compensazione in ambito tributario viene, dunque, a realizzarsi per effetto dell'esercizio della potestà erariale (imperatività e unilateralità).

La compensazione fiscale nel fallimento

Con riferimento alla procedura fallimentare, la compensazione ex art. 56 l. fall. opera nella misura in cui entrambe le obbligazioni tributarie siano sorte anteriormente all'apertura del concorso.

Oltre al requisito della anteriorità al concorso delle obbligazioni fiscali, deve, poi, sussistere il requisito della “certezza”.

A questo riguardo, dubbia è la possibilità di utilizzare in compensazione un credito derivante da una dichiarazione tributaria relativa ad un periodo d'imposta ante fallimento per il quale siano ancora pendenti i termini per l'accertamento, per mancanza del requisito di esigibilità del credito, in pendenza dei termini per il possibile vaglio erariale.

In ogni caso, ove la curatela fallimentare fosse autorizzata ad eccepire in compensazione un credito fiscale “incerto” (id est, non ancora definitivo), essa assumerebbe il rischio delle conseguenze dell'eventuale esito negativo del procedimento tributario, in termini di maggiori oneri fiscali (sanzioni ed interessi).

Non può all'evidenza esser utilizzato in compensazione il credito maturato in capo al debitore fallito per il quale, al momento dell'apertura del concorso, sia pendente il relativo contenzioso tributario.

Il giudice delegato non può far ricorso alla compensazione giudiziale per definire rapporti giuridici d'imposta, vista la specialità della giurisdizione tributaria: all'eventuale esito positivo del contenzioso fiscale, il credito generatosi ante fallimento potrà essere compensato con il debito tributario del fallito, ove pure generatosi ante fallimento.

Sotto un profilo procedurale, la compensazione tributaria in ambito concorsuale non è preclusa ove, ad agire, sia non già l'ente impositore, bensì l'ente della riscossione: quest'ultimo opera nell'interesse del soggetto titolare del diritto al tributo secondo uno schema di sostituzione processuale ex art. 81 cod. proc. civ., dunque non venendo meno, sotto il profilo sostanziale, il requisito di reciprocità ex art. 1243, comma 1, cod. civ.

Una questione è poi se il curatore possa utilizzare crediti tributari sorti in capo al debitore prima dell'apertura del concorso per estinguere, mediante compensazione, debiti tributari sorti in capo alla procedura nel corso delle operazioni di liquidazione (es., tributo IVA a debito relativo alle cessioni concorsuali).

A tale quesito deve essere data risposta negativa, per mancanza del requisito della anteriorità al concorso di una delle obbligazioni tributarie (quella che va a maturare, come credito, in capo all'Erario, una volta aperta la procedura), ex art. 56, comma 1, l. fall.: il credito dell'Amministrazione finanziaria rappresenta in effetti un credito prededucibile, che, come tale, deve essere soddisfatto nei modi e nei termini di cui all'art. 111, comma 3, l. fall.

Fra l'altro, la possibilità, per la curatela fallimentare, di estinguere tramite compensazione il debito sorto in corso di procedura con il credito sorto ante fallimento, trova ostacolo nel fatto che tale credito, se relativo a periodi d'imposta ancora “accertabili”, ed in mancanza di un'espressa attestazione erariale in ordine all'an ed al quantum del credito, non avrebbe alcun requisito di certezza: il curatore, nel caso in cui il procedimento tributario si chiudesse con una rettifica della posizione creditoria del fallimento, si vedrebbe così contestata la legittimità della compensazione, con aggravi per il patrimonio fallimentare in termini di sanzioni ed interessi.

In senso conforme, anche la prassi erariale: l'Agenzia delle Entrate, con circolare n. 13/E dell'11 marzo 2011, ha, sul punto, rilevato come “non possa operare la compensazione fra crediti o debiti verso il fallito e, rispettivamente, debiti o crediti verso la massa fallimentare. Le posizioni del rapporto debitorio e del rapporto creditorio sono relative a soggetti diversi (fallito e massa fallimentare) e a momenti diversi rispetto alla dichiarazione di fallimento, con conseguente illegittimità della eventuale compensazione”.

Altra questione è inoltre se il curatore possa utilizzare in compensazione per estinguere un debito tributario sorto ante fallimento, un credito tributario sorto post fallimento (credito della massa).

Secondo l'orientamento erariale tale compensazione non può operare: l'Agenzia, con risoluzione n. 279/E del 12 agosto 2002, ha ricordato che l'ente impositore, creditore “nei confronti del soggetto fallito per carichi pendenti antecedenti il fallimento, ha diritto (alla stregua degli altri creditori) ad insinuarsi al passivo, nella speranza di poter essere soddisfatta nel rispetto degli eventuali privilegi concessi alla categoria dei crediti tributari”; la curatela fallimentare – ritiene l'Amministrazione fiscale – non può così estinguere il debito sorto in capo all'impresa ante fallimento con il credito maturato in pendenza di procedura, siccome “destinato alla massa fallimentare, cui l'Amministrazione partecipa per la propria quota” (in senso conforme, in giurisprudenza, con particolare riferimento alla mancata assimilazione, sotto il profilo soggettivo, nella diversa prospettiva funzionale, fra debitore e curatela fallimentare: Cass., civ. sez. V, 15 dicembre 2003, n. 19169).

La tesi dell'inapplicabilità della compensazione fra debito tributario sorto ante fallimento e credito tributario sorto post fallimento si fonda, in sostanza, su tre motivi: i) manca il requisito della comune anteriorità delle obbligazioni al concorso; ii) v'è lesione dei diritti dei creditori prededucibili (qualora l'attivo non sia sufficiente per l'integrale loro soddisfacimento, vi sarebbe una lesione dei principi di graduazione e proporzionalità ex art. 111-bis, comma 5, l. fall.); iii) manca il requisito della reciprocità del rapporto tributario, sotto il profilo soggettivo (il curatore sarebbe terzo rispetto al fallito).

L'orientamento erariale appare invero condivisibile, per quanto solo in relazione ai primi due punti (assorbenti), sopra sintetizzati.

Da un lato, non può essere evidentemente anteriore al fallimento un debito fiscale sorto per effetto di operazioni poste in essere dalla curatela in corso di procedura: il requisito ex art. 56 l. fall. (anteriorità delle obbligazioni), pertanto, non sussisterebbe (Cass., civ sez. un., 19 novembre 1999, n. 775).

Dall'altro, ove la curatela estinguesse un debito erariale sorto ante fallimento con un credito erariale della massa, in effetti, incorrerebbe in una lesione dei diritti dei creditori prededucibili (salva l'idoneità del patrimonio fallimentare ad estinguere tutti i creditori prededucibili ed i creditori privilegiati di grado poziore): il creditore concorsuale erariale otterrebbe l'integrale soddisfacimento del proprio credito in violazione, in primo luogo, del principio di par condicio fra creditori concorsuali, in secondo luogo, dell'ordine di distribuzione e gradazione dei crediti ex art. 111, comma 1, l. fall.

La compensazione è, infatti, un atto solutorio e la curatela non può effettuarla ove non fossero prima soddisfatti tutti i creditori prededucibili e, poi, tutti i creditori concorsuali con prelazione poziore rispetto al privilegio che assista il credito erariale.

Quanto all'ultimo motivo (mancanza di reciprocità), la curatela non è invero “terza” rispetto al debitore fallito, dal momento che la procedura concorsuale non rappresenta un autonomo soggetto d'imposta rispetto all'imprenditore (del resto, è lo stesso patrimonio del debitore ad essere destinato al soddisfacimento dei creditori).

La curatela può invece, pacificamente, operare la compensazione fiscale – secondo lo schema ex art. 17 D.Lgs. n. 241/1997 – fra crediti e debiti tributari sorti nel corso della procedura concorsuale; fra l'altro, in questo caso, non rappresenta fatto preclusivo all'applicabilità della compensazione l'eventuale sussistenza di debiti tributari sorti ante fallimento, iscritti a ruolo nei confronti del debitore fallito.

In questo senso, l'Agenzia delle Entrate, con la citata circolare n. 13/E, ha precisato che, in caso di procedure concorsuali: “la presenza di debiti erariali iscritti a ruolo nei confronti del fallito, scaduti e non pagati, ma maturati in data antecedente all'apertura della procedura concorsuale, non si ritiene sia causa ostativa alla compensazione tra i crediti e i debiti erariali formatisi, invece, nel corso della procedura stessa”.

In conclusione, il curatore fallimentare, al pari d'ogni altro contribuente, ha diritto di effettuare, in sede concorsuale, la compensazione fiscale ex art. 17, comma 1, D.Lgs. n. 241/1997, tra crediti e debiti tributari sorti in corso di procedura, nei limiti peraltro delle ordinarie regole fissate dalla norma tributaria.