Può il difensore trasmettere al giudice un'istanza di rinvio dell'udienza a mezzo PEC?

17 Maggio 2018

L'istanza di rinvio dell'udienza per legittimo impedimento del difensore deve essere comunicata con atto scritto, trasmesso o depositato nella cancelleria del giudice.
Massima

L'istanza di rinvio dell'udienza per legittimo impedimento del difensore deve essere comunicata con atto scritto, trasmesso o depositato nella cancelleria del giudice (nel caso di specie è stata confermata la decisione della Corte di appello di rigetto dell'istanza di rinvio del processo per l'adesione del difensore all'astensione proclamata dall'Unione delle Camere Penali, che era stata trasmessa a mezzo PEC, poichè l'imputato era detenuto).

Il caso

La Corte di appello, in parziale riforma della sentenza emessa dal GUP all'esito di rito abbreviato, confermava la condanna dell'imputato per il reato di rapina aggravata e per quello di furto, riducendo la pena inflittagli.

Avverso questa decisione il difensore proponeva ricorso per cassazione, deducendo, tra l'altro, che la Corte di appello aveva totalmente ignorato la comunicazione del difensore, inoltrata a mezzo PEC, con la quale egli informava il collegio della sua decisione di aderire all'astensione proclamata dall'Unione Camere Penali.

La questione

L'impedimento a comparire del difensore o dell'imputato può essere comunicato a mezzo PEC? L'impiego di una modalità di trasmissione che esula da quelle contemplate dall'art. 121 c.p.p. e, dunque, irregolare, determina l'irricevibilità dell'istanza di rinvio?

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha rilevato che, ai sensi dell'art. 3 del Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, approvato dall'Organismo unitario dell'Avvocatura italiana, la mancata comparizione dell'avvocato all'udienza o all'atto di indagine preliminare o a qualsiasi altro atto o adempimento per il quale sia prevista la sua presenza, affinché sia considerata in adesione all'astensione regolarmente proclamata ed effettuata e, dunque, integri un legittimo impedimento del difensore, deve essere dichiarata (personalmente o tramite sostituto del legale titolare della difesa o del mandato) all'inizio dell'udienza o dell'atto di indagine preliminare.

In alternativa, la mancata comparizione deve essere comunicata con atto scritto, trasmesso o depositato nella cancelleria del giudice o nella segreteria del pubblico ministero nonché agli altri avvocati costituiti, almeno due giorni prima della data stabilita.

Nel caso in esame, la comunicazione dell'adesione all'astensione è stata inviata a mezzo PEC alla sola Corte di appello e non anche alle costituite parti civili nei termini di legge.

La Corte d'appello, comunque, ha dato atto che era pervenuta la dichiarazione di astensione del difensore di fiducia dell'imputato, affermando, tuttavia, che l'istanza di rinvio del procedimento non poteva essere accolta perché l'imputato era detenuto.

Quest'ultimo, del resto, legittimamente aveva rinunciato ad essere presente all'udienza e la difesa non aveva provato che avesse manifestato l'intenzione di aderire alla scelta di rinviare il giudizio formulata dal proprio difensore.

Osservazioni

Con la decisione in esame, dunque, la Corte di Cassazione pare dare per scontato che un'istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore possa essere inviata a mezzo PEC (o, almeno, che, se il giudice ne abbia preso cognizione, debba provvedere sulla stessa). Su questo tema, così come su quello sostanzialmente conforme dell'istanza di rinvio per impedimento dell'imputato, si ravvisano opinioni contrastanti in giurisprudenza.

Secondo l'indirizzo giurisprudenziale prevalente, nel processo penale, l'invio di istanze a mezzo posta elettronica certificata non è consentito alle parti private.

Ne consegue che è irricevibile un'istanza di rinvio per legittimo impedimento trasmessa dal difensore per mezzo dello strumento elettronico (cfr., con specifico riferimento ad un'istanza di rinvio per legittimo impedimento, Cass., n. 7058/2014; Cass. n. 51665/2017; Cass., n. 18235/2015, relativa ad una domanda di rimessione in termini).

Questo orientamento trae fondamento dall'art. 16, comma 4, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221 che disciplina le notificazioni, limitando l'impiego della PEC agli adempimenti rivolti a persone diverse dall'imputato e circoscrivendone l'uso alla sola cancelleria. Da essa, peraltro, si desume la volontà legislativa di consentire l'utilizzo della PEC, nel processo penale, alla sola cancelleria.

La parte finale della norma, del resto, statuendo che «La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria», chiarisce che l'utilizzo del mezzo elettronico è riservato al solo ufficio di cancelleria e non anche alle parti private.

Non sono indicate, infatti, le forme nelle quali dovrebbero essere redatte le relazioni delle notificazioni eseguite dalle parti private. Anche se la PEC fosse adoperata non per effettuare una notificazione, ma solo per trasmettere un'istanza, infatti, rimarrebbe la necessità di documentare l'attività compiuta e dovrebbe prendersi atto della sua mancata regolamentazione.

Un diverso indirizzo, invece, esclude che l'istanza inviata nel modo in esame sia irricevibile o inammissibile, affermando che il giudice che ne prenda tempestivamente conoscenza è tenuto a valutarla (Cass., n. 56392/2017; Cass., n. 47427/2014.

Al riguardo, si ritiene che possa estendersi all'impiego della posta elettronica certificata l'elaborazione giurisprudenziale in tema di istanza inviata a mezzo telefax. L'uso di questo strumento per inviare al giudice procedente una richiesta di rinvio per legittimo impedimento dell'imputato o del difensore, in particolare, seppur idonea a dare certezza dell'intervenuta ricezione dell'istanza da parte dell'ufficio giudiziario destinatario, deve reputarsi comunque irregolare, perché l'art. 121 c.p.p. prevede per le parti l'obbligo di presentare le memorie e le richieste indirizzate al giudice mediante deposito in cancelleria.

Da questa disposizione, però, non si può ricavare l'inammissibilità o l'irricevibilità dell'istanza presentata in modo diverso dal deposito in cancelleria. Il giudice che abbia ricevuto l'istanza tempestivamente, pertanto, deve valutarla.

In ragione della predetta irregolarità, peraltro, incombe sulla parte il rischio della mancata tempestiva trasmissione dell'istanza al giudice. Anzi, avendo scelto volontariamente un mezzo irregolare di trasmissione dell'istanza, per essere legittimata a proporre doglianze inerenti all'omessa valutazione dell'istanza, la parte interessata ha l'onere di verificare che sia effettivamente pervenuta nella cancelleria del giudice competente a valutarla e sia stata portata all'attenzione di quest'ultimo per tempo (cfr. Cass., n. 9030/2013; Cass., n. 28244/2013; Cass., n. 7706/2014; Cass., n. 24515/2015; Cass. n. 1904/2017; in senso contrario, si veda, Cass. n. 535/2016).

Questo principio, affermato per la comunicazione a mezzo telefax, è esteso anche alla comunicazione per posta elettronica, rispetto alla quale è ancor più incerta l'effettiva possibilità che la comunicazione sia tempestivamente letta dal destinatario, che potrebbe non controllare la casella di posta elettronica in tempo utile per poter essere utilmente portata a conoscenza del giudice.

L'utilizzo di una modalità di trasmissione irregolare, in conclusione, comporta l'onere, per la parte che intenda dolersi in sede di impugnazione dell'omesso esame della sua istanza, di accertarsi del regolare arrivo della e-mail in cancelleria e della sua tempestiva sottoposizione all'attenzione del giudice procedente (Cass., n. 47427/2014; per l'applicazione del medesimo principio nel caso di trasmissione a mezzo PEC dell'istanza di impedimento dell'imputato, si veda Cass., n. 923/2018).

Sul tema in esame, infine, appare interessante una recente pronuncia della Suprema Corte, emessa in tema di impedimento dell'imputato (Cass., n. 13758/2018).

La Corte ha annullato senza rinvio la sentenza della Corte di appello che aveva confermato la condanna inflitta all'imputato, disponendo la trasmissione degli atti al giudice di appello, perché non vi era stata alcuna motivazione sull'istanza di impedimento dell'imputato trasmessa a mezzo PEC.

É stato rilevato che l'istanza era stata trasmessa all'indirizzo PEC del ruolo generale della Corte di appello, «conformemente all'art. 4 del Protocollo di nuova organizzazione delle udienze penali, stipulato dalla Corte di appello di Firenze con la rappresentanza dell'Avvocatura, applicabile dal 1 settembre 2017».

In questo caso, verosimilmente, tenuto conto della laconicità della pronuncia, si è ritenuto che l'utilizzo di una modalità concordata tra l'ufficio giudiziario e la rappresentanza dell'avvocatura valesse a reputare adempiuto l'onere gravante sulla parte, che volontariamente ha impiegato un mezzo di comunicazione non conforme a quanto previsto dall'art. 121 c.p.p., di dimostrare l'effettiva possibilità che l'istanza fosse stata tempestivamente letta dal destinatario. In verità, proprio la modalità che sarebbe stata concordata ingenera perplessità perché la PEC ricevente è quella del Ruolo generale della Corte di appello e non quella della cancelleria del collegio giudicante.

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