Danno alla persona: voci di danno riconoscibili e liquidabili
18 Maggio 2018
Massima
Il danno non patrimoniale ha una duplice natura: unitaria dovendo assicurare adeguata tutela risarcitoria alla lesione di qualsiasi diritto costituzionalmente protetto e omnicomprensiva dovendo liquidarsi tutte le conseguenze derivate dall'evento di danno (con il doppio limite delle duplicazioni risarcitorie e della non risarcibilità di danni sotto la minima di apprezzabilità – c.d. danni bagatellari-). Il sintagma “danno esistenziale” deve essere correttamente inteso come danno dinamico-relazionale ed è ravvisabile quale conseguenza omogenea della lesione - di qualsiasi lesione - di un diritto a copertura costituzionale, sia esso il diritto alla salute, sia esso altro interesse tutelato dalla Costituzione.
Il caso
Il percorso argomentativo seguito nella sentenza in esame si risolve nella individuazione della omessa o erronea applicazione da parte del giudice del rinvio dei principi già affermati dalla stessa Suprema Corte rispetto alla responsabilità, già acclarata nella fase di merito, del ginecologo e della struttura sanitaria pubblica per i danni sofferti da una paziente e dal marito a causa di un intervento eseguito con tecnica di laparotomia addominale. La questione
La questione in esame concerne la esatta individuazione delle voci di danno non patrimoniali qualificabili e risarcibili secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità all'esito delle pronunce del 2008. Le soluzioni giuridiche
Nella pronuncia in esame il collegio, sul presupposto che nel primo giudizio di legittimità la stessa Suprema Corte aveva cassato la pronuncia di merito per la mancata valutazione del non prestato consenso informato e che la Corte territoriale, investita in funzione di giudice del rinvio, aveva stabilito che oggetto del contendere era la domanda risarcitoria per la mancata prestazione del consenso informato all'intervento di laparotomia, che le domande di liquidazione del danno non patrimoniale quanto alle spese di fecondazione assistita e di adozione internazionale erano inammissibili perché nuove e, comunque, prive del nesso causale con la responsabilità del sanitario, che le uniche voci di danno ammissibili nello stesso giudizio di rinvio erano quelle attinenti al danno estetico, al danno psicologico ulteriore rispetto al danno morale e alla lesione del diritto alla manifestazione del consenso informato, ha cassato la pronuncia di rinvio osservando che:
Osservazioni
Il percorso logico seguito dalla sentenza in commento offre degli spunti interessanti per fornire all'interprete strumenti interpretativi utili al fine di tradurre sul piano concreto quei concetti astratti elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza in tema di danno non patrimoniale avendo come scopo quello finale e concreto di assicurare una risposta adeguata alla lesione della persona umana sia pure nelle diverse componenti riconosciute dall'ordinamento come meritevoli di assurgere a dignità di valori costituzionalmente rilevanti. Del pari viene confermata, anche attraverso il richiamo ad una recente pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza n. 235/2014), la autonoma rilevanza della voce del danno morale. La lesione di un interesse giuridico meritevole di tutela per l'ordinamento giuridico trova risposta sul piano risarcitorio sia nella fattispecie del danno patrimoniale ex art. 1223 c.c. (nelle due "categorie descrittive" del danno emergente e del lucro cessante) che in quella del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c.: con la precisazione che la norma da ultimo indicata consentendo il risarcimento del danno non patrimoniale “solo nei casi determinati dalla legge”, implica che, ai fini della risarcibilità dello stesso, è necessario individuarne un fondamento di diritto positivo, costituito o dall'espressa previsione legislativa del risarcimento o dalla tutela costituzionale di un diritto inviolabile della persona – c.d. tipicità del danno non patrimoniale- (vds. Cass. civ., Sez. Un. 11 novembre 2008 n. 26972). Il danno non patrimoniale ha una duplice natura:
Se questo è il quadro di riferimento astratto deve tenersi conto del fatto che, sul piano concreto, le tecniche risarcitorie elaborate dall'ordinamento hanno come presupposto un substrato materiale che è costituito dalla sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto. Ecco, quindi, che le categorie descrittive elaborate dalla dottrina, come il c.d. danno esistenziale, si dissolvono nella risposta concreta al bisogno di adeguato ristoro di detta sofferenza di modo che questo tipo di danno (definito dalla stessa Suprema Corte come «pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare a-reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno» – Cass. civ., Sez. Un., 24 marzo 2006 n. 6572-) si traduce nella lesione di una realtà dinamico-relazionale che attiene a qualsiasi diritto a copertura costituzionale, sia esso il diritto alla salute (con la precisazione che in questa ipotesi la liquidazione di una voce autonoma di danno esistenziale si risolverebbe in una sicura duplicazione risarcitoria perché già la lesione della salute è espressione del vulnus arrecato a tutti gli aspetti dinamico-relazionali della vita della persona), sia esso un interesse o un valore tutelato dalla Carta fondamentale. In sede di liquidazione del danno il giudice deve verificare che la lesione di diritti costituzionalmente protetti si traduca in un adeguato ristoro del danno alla persona nella duplice essenza tanto dell'aspetto interiore del danno medesimo (la sofferenza morale in tutti i suoi aspetti, quali il dolore, la vergogna, il rimorso, la disistima di sé, la malinconia, la tristezza,) quanto del suo impatto modificativo in termini peggiorativi con la vita quotidiana: danni diversi e autonomamente risarcibili ma se, e solo se, provati caso per caso, con tutti i mezzi di prova normativamente previsti (tra cui il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni) al di là di sommarie e non predicabili generalizzazioni. Un elemento di conforto in ordine alla atipicità della dimensione della sofferenza umana è stato, altresì, offerto dalla pronuncia del Giudice delle Leggi con la quale è confermata la legittimità costituzionale dell'art. 139 cod. ass. (Corte cost., sent. n. 235/2014) e dalla quale emerge che il danno morale è voce diversa e ulteriore rispetto al danno biologico di modo che la «la norma denunciata non è chiusa, come paventano i remittenti, alla risarcibilità anche del danno morale: ricorrendo in concreto i presupposti del quale, il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell'ammontare del danno biologico, secondo la previsione e nei limiti di cui alla disposizione del comma 3 (aumento del 20%)». La Corte Costituzionale ha, quindi, definitivamente sconfessato, al massimo livello interpretativo, la tesi predicativa di una pretesa "unitarietà onnicomprensiva" del danno biologico. Del resto è ormai consolidata opinione che il danno morale costituisce una voce di pregiudizio non patrimoniale, ricollegabile alla violazione di un interesse costituzionalmente tutelato, da tenere distinta dal danno biologico e dal danno nei suoi aspetti dinamico-relazionali, e che è risarcibile autonomamente, ove provato, senza che ciò comporti alcuna duplicazione risarcitoria (vds. in tal senso Cass. civ., sez. III, 13 ottobre 2017 n. 24075). Pertanto qualsiasi lesione arrecata ad un interesse tutelato dalla Carta costituzionale si caratterizza, pertanto, per la sua doppia dimensione del danno relazionale/proiezione esterna dell'essere, e del danno morale/interiorizzazione intimistica della sofferenza. |