Senza regolare concessione edilizia è nulla la divisione degli immobili prevista nella separazione consensuale
21 Maggio 2018
Massima
Va dichiarata la nullità della clausola contenuta nell'accordo di separazione consensuale e del successivo atto notarile con cui uno dei coniugi, che si era impegnato in tal senso, trasferisce all'altro, a titolo di scioglimento della comunione legale, la propria quota su immobili, realizzati in difformità della concessione edilizia. Il caso
In sede di separazione consensuale il marito si impegna a trasferire alla moglie, «nell'ambito dello scioglimento della comunione legale dei beni», la quota di sua proprietà di tre immobili comuni; con successivo atto notarile si procede al trasferimento. Intendendo alienare gli immobili, la moglie si avvede che gli stessi erano stati realizzati in difformità dalla concessione edilizia e non sono pertanto commercializzabili. La stessa agisce giudizialmente contro il marito per sentir dichiarare la nullità delle clausole dell'accordo di separazione afferenti l'impegno al trasferimento degli immobili, come pure del successivo atto notarile. Il Tribunale accoglie la domanda. La questione
Gli accordi contemplati in un verbale di separazione consensuale omologato sono assoggettati alla disciplina generale sulla nullità e sull'annullamento del contratto?
Le soluzioni giuridiche
É ormai consolidata la tesi per cui gli accordi di separazione consensuale hanno natura negoziale; la successiva omologazione da parte del Tribunale rappresenta una condizione sospensiva cui è subordinata efficacia degli accordi stessi, già di per sé perfetti (Cfr. per tutte Cass. 30 aprile 2008, n. 10932). Solo in ordine all'affidamento e al mantenimento dei figli, il Tribunale ha infatti il potere di sindacare il merito degli accordi, negando l'omologazione ove le relative clausole siano in contrasto con l'interesse dei figli medesimi. Gli accordi di separazione possono avere un contenuto variabile, di natura necessaria od eventuale. Rientrano nel primo genus le pattuizioni con cui i coniugi decidono di vivere separati, prevedono o escludono assegni di mantenimento reciproco, stabiliscono il regime di affidamento di eventuali figli (minori) e il contributo al loro mantenimento (anche per i figli maggiorenni non autosufficienti), come pure l'assegnazione della casa familiare. Fanno parte del contenuto eventuale tutte le altre pattuizioni connesse con la cessazione della convivenza, che i coniugi definiscono in occasione della loro separazione: rinunce, riconoscimenti dei debiti, transazioni, divisioni di beni comuni, ecc. Opportunamente si inquadrano gli accordi di separazione nel più ampio genus dei negozi di diritto familiare. Attesa la natura privatistica degli accordi, gli stessi sono assoggettati, per lo meno per quanto attiene ai profili patrimoniali, alle regole generali in materia contrattuale. Più volte la giurisprudenza ha affermato l'annullamento delle pattuizioni, in caso di incapacità naturale di una delle parti, ovvero in presenza di un vizio della volontà (Cfr. App. Napoli 17 dicembre 2000; Trib. Milano 8 ottobre 2016). Del pari, si è ritenuta esperibile l'azione revocatoria (ordinaria ovvero fallimentare) a fronte di un pregiudizio ai creditori o alla procedura concorsuale (Cass. 22 gennaio 2015, n. 1144; Trib. Reggio Emilia 5 novembre 2013). Anche la disciplina della nullità dei contratti trova applicazione negli accordi di separazione. Coerentemente il Tribunale di Palermo accoglie la domanda di nullità dei trasferimenti immobiliari promessi dal marito in sede di separazione consensuale e poi eseguiti con successivo atto notarile, stante l'illiceità dell'oggetto in base alla specifica normativa in materia urbanistica, per essere stati gli immobili realizzati in contrasto con la concessione edilizia. Di contro, si esclude potersi dedurre, da parte dei coniugi, la simulazione dell'intero accordo separatizio, considerando che la richiesta di omologazione si pone quale atto incompatibile con la volontà di avvalersi della simulazione medesima (Cass. 20 novembre 2003, n. 17607; Cass. 12 settembre 2014, n. 19319). Ovviamente, ogni questione relativa alla validità o all'efficacia dell'accordo dovrà essere fatta valere in autonomo giudizio di cognizione, al di fuori del procedimento di separazione. Nel caso di specie, malgrado la qualifica di donazione che il marito intendeva attribuire all'atto posto in essere (che avrebbe comportato la nullità della clausola e del conseguente atto notarile attuativo di esso, per mancanza delle formalità di legge), il Tribunale riconduce il trasferimento «nell'ambito dello scioglimento della comunione legale dei beni», come risultante dal verbale di separazione. A quel trasferimento dunque viene attribuita una causa tipica, con conseguente assoggettamento dell'atto anche alla disciplina specifica per tale tipologia contrattuale. Osservazioni
La sentenza in esame ribadisce come la separazione consensuale sia un negozio complesso, rappresentato dalla concorde volontà dei coniugi di separarsi, «mentre la successiva omologazione assume una valenza di semplice condizione (sospensiva) di efficacia delle pattuizioni contenute in tale accordo». La connotazione privatistica dell'accordo fa sì che allo stesso restino applicabili le previsioni generali proprie della disciplina contrattuale. Da tale premessa consegue la nullità della pattuizione con cui uno dei coniugi, «nell'ambito dello scioglimento della comunione legale dei beni» cede all'altro la propria quota di comproprietà su immobili non commerciabili, siccome realizzati in difetto di valido titolo concessorio; ciò in contrasto con il disposto dell'art. 40 comma 2 l. n. 47/1985, ove si fa riferimento ad atti inter vivos, aventi ad oggetto diritti reali su edifici o loro parti, compresa la divisione di beni pervenuti ai condividenti per titolo diverso da quello successorio. La moglie chiede altresì la condanna del marito al pagamento del controvalore degli immobili che le sarebbero stati trasferiti, ma il Tribunale respinge tale domanda, osservando che, dichiarata la nullità dell'atto traslativo, «non possono sussistere pretese reciproche se non quelle derivanti da un ordinario regime di comunione su un determinato bene». In altri termini, i rimedi sarebbero solo quelli esperibili per l'impugnazione della divisione contrattuale, «se pure potrebbe astrattamente predicarsi l'alterazione dell'equilibrio voluto dalle parti nella stesura dell'accordo»; ciò in conseguenza della natura dichiarativa della divisione. L'affermazione è coerente con la causa attribuita dai coniugi ai trasferimenti immobiliari in questione, ancorchè nelle premesse della pronuncia risulti come l'attrice deduca che i trasferimenti sarebbero stati effettuati «anche al fine di sciogliere la comunione legale», con ciò sottintendendo verosimilmente pure una funzione di mantenimento (ad integrazione dell'assegno periodico concordato). In questo caso, l'alterazione del sinallagma negoziale non sarebbe stata astratta, bensì concreta, con conseguente rideterminazione dell'ammontare dell'assegno. |