Crediti prededucibili (l. fall.)

Francesco Dimundo
24 Maggio 2018

I c.d. debiti di massa sono pur sempre debiti dell'imprenditore e, in quanto tali, devono essere soddisfatti con il ricavato della liquidazione dei beni dell'imprenditore medesimo senza subire alcuna falcidia, nonché prima ed a preferenza del pagamento dei crediti sorti anteriormente all'apertura della procedura concorsuale.

Inquadramento

I c.d. debiti di massa sono pur sempre debiti dell'imprenditore e, in quanto tali, devono essere soddisfatti con il ricavato della liquidazione dei beni dell'imprenditore medesimo senza subire alcuna falcidia, nonché prima ed a preferenza del pagamento dei crediti sorti anteriormente all'apertura della procedura concorsuale. Per i crediti prededucibili è prevista insomma, nelle parole della giurisprudenza, “una modalità di pagamento che impone il prelievo di somme dall'attivo fallimentare prima di ogni altra operazione di pagamento al fine di fornire alla procedura il credito e la liquidità indispensabili per il suo svolgimento e la sua gestione”; sicchè la prededuzione “sottrae il credito cui essa è attribuita al concorso con gli altri crediti anteriori, con la conseguenza che il credito va pagato non solo comunque per intero, anche in mancanza di beni oggetto del privilegio, ma anche prima dei tempi ordinari di riparto, e prima del pagamento dei crediti concorsuali sforniti di prededucibilità” (così Trib. Milano, 29 maggio 2013, inedito).

In questo senso la prededuzione “assicura una garanzia generale su tutto il patrimonio del debitore, relegando i creditori anteriori al ruolo di subordinati” (Stanghellini, Le crisi di impresa fra diritto ed economia. Le procedure di insolvenza, Bologna, 2007), ed assolve la funzione “di assicurare ai crediti di massa il pagamento certo ed integrale, sempre che vi sia attivo sufficiente” (Patti, La prededuzione dei crediti funzionali al concordato preventivo tra art. 111 ed art. 182 quater l. fall., in Fall., 2011).

Tale trattamento di favore è scolpito nell'art. 111, comma 1, l. fall., il quale disegna la scala di priorità cui si deve conformare la graduazione dei crediti concorrenti nell'espropriazione collettiva dei beni del debitore che sia stato dichiarato fallito, e dalle norme degli articoli successivi, contenenti regole di dettaglio funzionali alla più corretta applicazione delle regole contenute nel primo, le quali alle due categorie di crediti graduabili in base all'art. 2741 c.c. (crediti chirografari e crediti assistiti da cause di prelazione) hanno anteposto l'ulteriore categoria dei crediti prededucibili. Stabilisce infatti il primo comma dell'art. 111 che le somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo fallimentare sono erogate nel seguente ordine: i) per il pagamento dei crediti prededucibili; ii) per il pagamento dei crediti ammessi con prelazione sulle cose vendute secondo l'ordine assegnato dalla legge; iii) per il pagamento dei crediti chirografari, in proporzione all'ammontare del credito per cui ciascuno di essi fu ammesso, compresi i crediti muniti di causa di prelazione ove non sia stata ancora realizzata la garanzia o la parte di essi che sia rimasta insoddisfatta per incapienza della somma ricavata dalla vendita della cosa oggetto della causa di prelazione.

Ne deriva un sistema risultante dall'insieme di norme, in parte contenute nella legge fallimentare e, in parte maggiore, nel codice civile, nel codice della navigazione ed in leggi speciali, in base al quale è possibile procedere alla graduazione dei crediti concorrenti nel fallimento e collocarli in una scala di priorità che contempla al primo posto, con preferenza assoluta rispetto alle alter due categorie, i crediti prededucibili; al secondo posto, con preferenza rispetto ai crediti chirografari, i crediti assistiti da cause di prelazione; e al terzo posto i crediti chirografari concorrenti sulle somme residue in proporzione all'ammontare del credito ammesso al passivo.

I beni del debitore fallito, sui quali i creditori concorrenti hanno diritto di soddisfarsi nell'ordine stabilito dalla legge, previa loro liquidazione, sono quelli che compongono l'attivo del fallimento, esclusi i beni che non vi sono compresi, ai sensi dell'art. 46 l. fall., e quelli oggetto di patrimoni separati. I crediti sorti in rapporti compresi nei patrimoni separati godono, nei confronti degli altri creditori del comune debitore, di un trattamento preferenziale sui beni separati; ma il loro diritto non costituisce l'effetto di cause di prelazione, ma l'effetto della separazione che conferisce loro il diritto di soddisfarsi prioritariamente sui beni separati.

Le modalità di accertamento: la regola della necessaria sottoposizione al procedimento di verifica

L'art. 111-bis l. fall., introdotto dalla novella del 2006 e “corretto” dal d.lgs. 169/2007, ha disciplinato anche altri importanti aspetti della disciplina dei crediti prededucibili, cercando di porre rimedio alle incertezze interpretative cui avevano dato luogo le previgenti norme relative all'accertamento ed alle modalità di pagamento di essi.

Con riguardo alle modalità di accertamento, nel vigore della legge fallimentare del 1942 si riteneva che il titolare di un credito prededucibile, a fronte del mancato pagamento da parte del curatore, disponesse di tre rimedi (per i riferimenti v. Fabiani, Il principio di esclusività per l'accertamento dei crediti di massa nelle procedure concorsuali giurisdizionali e non, in Fall., 1999):

  • far verificare il proprio credito nelle forme previste per l'accertamento del passivo fallimentare dagli artt. 92 ss. l. fall.;
  • proporre un ordinario giudizio di cognizione o attivare il procedimento monitorio, ovvero, qualora si trattasse di credito di massa assistito da titolo esecutivo, azionare la pretesa nei confronti del fallimento in via esecutiva individuale;
  • proporre reclamo al Tribunale ex art. 26 l. fall. (contro la mancata adozione del decreto autorizzativo al prelievo dell'importo).

La necessità della verificazione dei crediti prededucibili nelle forme stabilite dagli artt. 92 ss. l. fall. era sostenuta dalla consolidata giurisprudenza del Supremo Collegio, il quale distingueva in particolare tra debiti di massa, legittimamente assunti dal curatore e da questo non contestati, e debiti contestati dal curatore quanto alla loro esistenza, ammontare o prededucibilità: i primi si ritenevano di regola esenti dalla procedura di verificazione, a cagione del loro sufficiente grado di certezza e della mancata contestazione da parte del curatore; i secondi erano, invece, soggetti a verificazione dinanzi al Giudice Delegato e quindi non potevano essere fatti valere mediante un giudizio ordinario di cognizione o in sede monitoria (pena l'improponibilità della relativa domanda giudiziale), né mediante il procedimento camerale endofallimentare attivato con l'istanza al Giudice delegato e proseguito con il successivo reclamo al Tribunale contro il provvedimento negativo al riguardo, essendo tale procedimento affetto da radicale nullità (v. fra le altre, limitandosi alle più recenti, Cass., 11 ottobre 2012, n. 17327, e Cass., 28 dicembre 2010, n. 26211).

Il primo comma dell'attuale art. 111-bis l. fall. stabilisce che i crediti prededucibili, che non siano stati contratti dagli organi della procedura e siano controversi, debbono, al pari di quelli concorsuali ed in applicazione del disposto dell'art. 52 l. fall., essere di regola accertati con le modalità di cui al capo V della legge fallimentare, relativo all'accertamento del passivo, onde soddisfare - come si legge nella relazione ministeriale – l'esigenza di porre le condizioni per favorire una uniformità applicativa della ripartizione dell'attivo.

Pare quindi evidente che il legislatore abbia voluto assoggettare al concorso formale anche i crediti di massa, in modo tale che al relativo accertamento possano partecipare tutti i creditori concorrenti, e che a ciascuno di costoro sia consentito di conoscere l'importo degli altri crediti, le eventuali cause di prelazione ed il relativo grado, e di contestare l'ammissione di quelle pretese che, come i crediti prededucibili, sono destinate a prevalere in sede di ripartizione dell'attivo. E ciò in accoglimento dell'opinione di gran lunga prevalente che, in presenza di crediti prededucibili, oggetto di contestazione, già in passato sosteneva – come si é visto - la necessità del ricorso al tipico procedimento di accertamento del passivo in contraddittorio con tutti i potenziali interessati (per la riaffermazione del principio, dopo la riforma, v. Cass., 10 febbraio 2016, n. 2694; Cass., 13 agosto 2015, n. 16844).

In base al novellato art. 111-bis l. fall., il titolare di un credito prededucibile deve quindi, di regola, presentare domanda di ammissione al passivo della procedura, che verrà depositata, in funzione del momento del sorgere del credito, in via tempestiva, oppure tardiva ovvero “ultratardiva”. In tale ultima eventualità la domanda di insinuazione dovrà comunque considerarsi ammissibile, non essendo il ritardo imputabile al creditore ai sensi e per gli effetti dell'art. 101, comma 4, l. fall., dal momento che è oggettivamente impossibile presentare una domanda di insinuazione prima ancora del sorgere del diritto di credito che ne dovrebbe formare oggetto: ed invero, si è evidenziato, “il credito prededucibile, per essere tale e potendo crearsi in qualsiasi momento della procedura per il semplice fatto di trovare causa nel suo svolgimento, non tollera termini neanche finali per la presentazione della domanda. Pertanto non è mai oggettivamente qualificabile come tardivo, mancando la possibilità di indicare un termine temporale di riferimento, non si pongono mai problemi di imputabilità o meno del ritardo e non deve scontare ovviamente le conseguenze ricollegate alla tardività in senso stretto con riguardo alle modalità di soddisfazione del credito” (cosí Cavalaglio, Le dichiarazioni tardive di crediti, in Dir. fall., 2009; conf. Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fall., Padova, 2013; Bonfatti, Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2009; Marinucci, Note sulla disciplina processuale dei crediti prededucibili dopo le riforme, in Riv. dir. proc., 2012).

Le eccezioni alla regola della sottoposizione dei crediti prededucibili al concorso formale

L'applicazione generalizzata del procedimento di verifica, sancita dal primo comma dell'art. 111-bis l. fall., mal si sarebbe concilierebbe con le caratteristiche di taluni crediti prededucibili che, per essere non controversi o per essere stati assunti e liquidati dagli organi della procedura, molto più economicamente possono essere accertati con procedimenti meno costosi in termini di tempo e di risorse.

Da qui la condivisibile scelta del legislatore della riforma, attuata nel secondo comma dell'art. 111-bis l. fall., di individuare due categorie di crediti prededucibili meritevoli di essere esonerati dalla sottoposizione allo speciale procedimento di accertamento del passivo. Tali categorie sono rappresentate da:

  • i crediti di massa non contestati per esistenza, collocazione ed ammontare, anche se sorti durante l'esercizio provvisorio, e
  • i crediti sorti a seguito di provvedimento di liquidazione dei compensi spettanti ai soggetti nominati ai sensi dell'art. 25 l. fall.: si tratta in particolare dei crediti professionali dei soggetti che hanno prestato la propria attività intellettuale all'interno della procedura e su incarico degli organi di quest'ultima, come ad es. i delegati ed i coadiutori del curatore, gli avvocati da questo nominati, gli arbitri nominati dal Giudice Delegato su proposta del curatore, gli stimatori, ecc.

Per queste due categorie di crediti si é ritenuto, correttamente, che la loro soggezione al procedimento speciale di verifica del passivo fosse eccessiva ed inutilmente dispendiosa, e che fosse adeguato e sufficiente strumento di accertamento il provvedimento emesso de plano dal Giudice Delegato. Salva – per i crediti sub (b) - l'impugnazione del provvedimento col reclamo di cui all'art. 26 l. fall., nel caso di contestazione della decisione del Giudice Delegato.

Con riferimento ai crediti sub (a) (crediti di massa non contestati), l'esclusione dalla necessità della verifica riguarda anzitutto i soli crediti prededucibili che, oltre a non essere controversi, siano sorti dopo la dichiarazione di fallimento, e non anche quelli sorti anteriormente. A conforto di tale conclusione depone quello che – con felice formula (Lamanna, Sub artt. 51 e 52, in Commentario alla legge fall., dir. da C. Cavallini, I, Milano, 2010, 1053) – è stata indicato come il rapporto biunivoco che il legislatore ha delineato tra esenzione dal concorso formale ed esenzione dal concorso sostanziale. Il terzo comma dell'art. 111-bis l. fall. stabilisce infatti che possono essere soddisfatti al di fuori del riparto i crediti prededucibili liquidi, esigibili e non contestati che siano “sorti nel corso del fallimento”: sicché, dovendo “ritenersi incongruo limitare il pagamento fuori concorso ai crediti non contestati sorti nel corso del fallimento, senza limitare al contempo solo a questi ultimi l'operatività dell'esenzione dal concorso formale, sembra conseguente concludere che i crediti prededucibili ‘anteriori' siano sempre soggetti all'onere di accertamento nelle forme della verificazione del passivo” (così, ancora, Lamanna, Op. cit., 1053; nella medesima direzione v. anche D'Orazio, Sub artt. 92-97, in Commentario alla legge fall., dir. da C. Cavallini, I, Milano, 2010, 707; in termini dissenzienti, rispetto a tale conclusione, v. invece Pacchi, Sub art. 111-bis, in La riforma della legge fall., a cura di A. Nigro e M. Sandulli, II, Torino, 2006, 684, per la quale soggiacciono invece al rito della verifica tutti i crediti in prededuzione, anteriori e non al fallimento).

Ciò premesso, giova inoltre sottolineare che la contestazione sull'esistenza, collocazione e/o ammontare dei crediti in questione può essere senza dubbio formulata dagli organi della procedura, e quindi:

  • dal curatore, cui l'istanza di pagamento in prededuzione venga presentata, rispetto alla quale egli può dare esplicito riscontro negativo, ritenendo non dovuto il pagamento, oppure rimanere silente o inerte (astenendosi dal chiedere al Giudice Delegato o al comitato dei creditori l'autorizzazione al pagamento, pur sussistendo un attivo capiente), con ciò manifestando implicitamente il suo diniego (Marinucci, Note sulla disciplina, cit., 1014);
  • dal Giudice Delegato, in sede di autorizzazione al pagamento ai sensi del quarto comma dell'art. 111-bis, o al momento dell'emissione del mandato di pagamento, ovvero su sollecitazione del comitato dei creditori avanzata nelle forme del ricorso ex art. 36 l. fall. contro l'autorizzazione al pagamento accordata dal curatore;
  • dal comitato dei creditori, nel caso in cui a tale organo, anziché al Giudice Delegato, sia richiesta l'autorizzazione al pagamento ai sensi dell'art. 111-bis co. 4 l. fall.

Non sembrano invece potersi trovare nelle condizioni di sollevare contestazioni il fallito ed i creditori, non essendo normativamente previsto alcun obbligo di informativa al riguardo in favore di tali soggetti, che quindi verranno generalmente a conoscenza del pagamento in prededuzione del credito “a cose fatte”, cioè quando il Giudice Delegato o il comitato dei creditori hanno già autorizzato il prelievo, ed il curatore vi abbia già dato corso (per tale rilievo v. Fuiano, La ripartizione dell'attivo, in Dir. delle procedure concorsuali, a cura di G. Trisorio Liuzzi, Milano, 2013, 291; escludono che la contestazione possa provenire anche dal fallito o dai creditori anche Ruggiero, Sub artt. 111 e 111-bis, in Il nuovo dir. fallimentare. Commentario dir. da A. Jorio e coord. da M. Fabiani, II, Bologna, 2006, 1846, Pacchi, Sub art. 111-bis, cit., 685, Trentini, Decreto di liquidazione del compenso del difensore del fallimento, inesistenza di attivo ed interesse ad agire, in Fall., 2008, 661, e Impagnatiello, L'accertamento del passivo, in Dir. delle procedure concorsuali, a cura di G. Trisorio Liuzzi, Milano, 2013, 239). In questa ipotesi l'unico rimedio a disposizione di fallito e creditori sarà quindi, di fatto, il reclamo ex art. 36 l. fall. (contro il pagamento eseguito dal curatore e contro le autorizzazioni concesse dal comitato dei creditori) ovvero il reclamo ex art. 26 l. fall. (contro l'autorizzazione concessa dal Giudice Delegato) (Celentano, Accertamenti del passivo e ripartizioni dell'attivo, in Fall., 2011; Platania, Osservazioni a Cass., 9 gennaio 2013, n. 339, in Fall., 2013).

L'unico caso in cui fallito e singoli creditori sono posti in grado di contestare il credito prededucibile si verifica quando tale credito abbia formato oggetto di domanda di insinuazione tempestiva o tardiva, ed il curatore abbia quindi conseguentemente depositato in cancelleria il progetto di stato passivo nei 15 giorni prima dell'udienza di verifica. In tale evenienza i creditori ed il fallito possono infatti manifestare la propria contrarietà al riconoscimento, a favore di un determinato credito, del rango prededucibile, e/o contestarne il quantum, mediante la formulazione di osservazioni ai sensi dell'art. 95 l. fall. oppure in sede di verbalizzazione all'udienza di verifica dinanzi al Giudice Delegato (Limitone, Sub art. 111-bis, in La legge fall. Commentario teorico-pratico a cura di M. Ferro, Padova, 2011, 1336-1337; Coppola, Sub art. 111-bis, in La legge fall. dopo la riforma, a cura di A. Nigro, M. Sandulli, V. Santoro, II, Torino, 2010, 1565, il quale aggiunge che si tratterà comunque di ipotesti statisticamente limitata, potendo la stessa realizzarsi solo in relazione a crediti prededucibili sorti prima dell'udienza di verifica, e quindi nei primi 120 giorni dalla pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento).

Resta ferma, per i (soli) creditori, l'ulteriore possibilità di proporre impugnazione ex art. 98, comma 3, l. fall. contro il provvedimento del Giudice Delegato che, nonostante le contestazioni, abbia ammesso al passivo il credito prededucibile (Limitone, Sub art. 111-bis, cit., 1336); mentre si tende ad escludere, in quanto “eccessivo e non richiesto dalla legge”, che la reazione dei creditori debba assumere le forme della revocazione (Ferri, 2006, La ripartizione dell'attivo nel fallimento, in Riv. dir. proc., 2006, 1284).

Con riferimento ai crediti sub (b) (crediti sorti a seguito di provvedimento di liquidazione dei compensi), la deroga alla regola del necessario assoggettamento al procedimento di verifica, già ammessa dalla giurisprudenza ante riforma (Cass., 13 luglio 2007, n. 15671), ha portata assoluta, e vale quindi anche se tali crediti sono controversi nell'an e/o nel quantum (Nigro, Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, Bologna, 2012, 260; Marinucci, Note sulla disciplina, cit., 2012, 1008; Filocamo, L'accertamento dello stato passivo nella nuova legge fallimentare, in La nuova legge fallimentare “rivista e corretta”, a cura di S. Bonfatti e G. Falcone, Milano, 2008, 83).

In tal caso, le relative pretese non devono infatti formare comunque oggetto di preventiva insinuazione al passivo, ma semmai essere assoggettate al controllo di cui all'art. 26 l. fall. (Lamanna, Sub artt. 51 e 52, cit., 1052; Bonfatti, Censoni, Manuale, cit., 405; Guizzi, Il passivo, in Dir. fallimentare. Manuale breve, Milano, 2008, 279; diversamente D'Orazio, Sub artt. 92-97, in Commentario alla legge fall., dir. da C. Cavallini, I, Milano, 2010, 707, ad avviso del quale i crediti sorti a seguito di liquidazione di compensi, se non contestati, devono seguire il rito di cui agli artt. 92 e ss. l. fall., mentre se vi è contestazione il relativo accertamento deve essere svolto nelle forme dell'art. 26 l. fall.).

Le modalità di pagamento

Il terzo e quarto comma dell'art. 111-bis l.fall. recano la disciplina delle modalità di pagamento dei crediti prededucibili, anch'essa prima della riforma del 2006 oggetto di ampio ed incerto dibattito. La regola enunciata é quella secondo cui i crediti prededucibili, sorti nel corso del fallimento, che siano liquidi, esigibili e non contestati per esistenza, per collocazione e per ammontare, possono essere soddisfatti dal curatore al di fuori del procedimento di riparto, per intero e man mano che gli stessi maturano.

Come si desume agevolmente dalle stesse norme che enunciano la regola, questa si applica alla triplice condizione:

  • che i crediti siano sorti nel corso del fallimento, anche se in relazione all'esercizio provvisorio, essendo l'esercizio dell'impresa in pendenza di fallimento una delle possibili modalità di svolgimento della procedura concorsuale;
  • che i crediti siano liquidi, esigibili e non contestati, compresi tra questi i crediti che siano divenuti tali dopo la soluzione positiva di una precedente contestazione;
  • che l'attivo disponibile sia “presumibilmente sufficiente” per il pagamento integrale di tutti i crediti prededucibili, e non si debba quindi dare luogo alla graduazione degli stessi in sede di riparto.

In tali casi, a norma del terzo comma dell'art. 111-bis l. fall., il pagamento deve “essere autorizzato dal comitato dei creditori ovvero dal giudice delegato”. Il legislatore consente quindi che il curatore, per pagare un credito prededucibile, possa richiedere la relativa autorizzazione indifferentemente al Giudice Delegato o al comitato dei creditori, con l'avvertenza che, qualora si rivolga ad uno dei due organi, la curatela consuma il suo potere, e quindi, in caso di diniego da parte del primo, non può più interpellare l'altro organo per farsi rilasciare l'autorizzazione “in seconda battuta”, stante l'identità contenutistica dell'autorizzazione medesima (Zanichelli, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali dopo il d. lgs. 12.9.2007, n. 169, Torino 2008, 325; conf. Coppola, Sub art. 111-bis, cit., 1570, e Filocamo, L'accertamento dello stato passivo, cit., 83, il quale preconizza che la prassi si orienterà nel senso che l'autorizzazione sarà richiesta al Giudice Delegato, il quale garantisce in genere una risposta più rapida, ovvero al comitato dei creditori nel caso in cui il curatore tema che il Giudice Delegato possa negare l'autorizzazione; in senso contrario Bozza, La ripartizione dell'attivo, in Il nuovo diritto fallimentare. Commentario sistematico dir. da A. Jorio e M. Fabiani, Bologna, 2010, 640, per il quale il curatore potrebbe invece scegliere a chi rivolgersi, e chiedere l'autorizzazione al Giudice Delegato dopo il rifiuto del comitato dei creditori, e Bonfatti, Censoni, Manuale, cit., 408, i quali pure adombrano la possibilità di rivolgersi ad entrambi gli organi, paventando peraltro, in tal caso, la situazione di empasse che potrebbe conseguire ad un eventuale contrasto fra gli stessi).

Nel caso in cui il Giudice Delegato abbia negato l'autorizzazione al pagamento, il curatore (o l'interessato) può proporre reclamo ai sensi dell'art. 26 l. fall., e non opposizione allo stato passivo, che sarebbe inammissibile (Trib. Milano, 1° luglio 2013, in causa Castillo c. Fall. Emmetiesse s.r.l., inedita); mentre se il diniego proviene dal comitato dei creditori il rimedio é il reclamo ex art. 36 l. fall.(così, ancora, Zanichelli, La nuova disciplina, cit., 325, e Coppola, Sub art. 111-bis, cit., 1567-1568).

Secondo una recente giurisprudenza di merito, l'autorizzazione al pagamento ex art. 111-bis, comma 3, l. fall. può comunque essere rilasciata dal Giudice anche successivamente in sede di ratifica dell'operato del curatore con efficacia retroattiva, perché detta autorizzazione “costituisce una modalità di adempimento con funzione strumentale di erogazione, avente natura amministrativa, e non uno strumento di natura giurisdizionale di accertamento del credito, in quanto idoneo alla rimozione di un limite all'esercizio di un potere che compete al curatore in base alla legge” (così Trib. Venezia, 28 dicembre 2013).

A contrario, la suindicata regola del pagamento diretto non si applica, ed i crediti prededucibili devono pertanto essere soddisfatti necessariamente attraverso il procedimento di riparto:

(a) quando siano sorti prima della dichiarazione di fallimento, quali ad es. quelli originatisi nel corso di procedure concorsuali minori poi sfociate nel fallimento, o quelli della controparte in bonis nell'ambito di contratti ad esecuzione continuata o periodica ex art. 74 l. fall. (Nigro, Vattermoli, Diritto della crisi, cit., 2012, 261; nella stessa direzione v. anche Zanichelli, La nuova disciplina, cit., 326, il quale evidenzia tuttavia l'ingiustificata differenziazione che in tal modo viene tracciata fra crediti sorti in corso di procedura, che vengono pagati immediatamente, e crediti prededucibili sorti ante procedura, che vengono soddisfatti solo con gli ordinari riparti).

In contrario si é peraltro suggerita una lettura “unificante e liberale” del disposto dell'art. 111-bis, comma 3, l. fall., in forza della quale l'espressione crediti prededucibili “sorti nel corso del fallimento”, così come l'espressione crediti prededucibili “maturati durante il fallimento” di cui all'art. 51 l. fall., non si riferiscono – come suggerirebbe il tenore letterale di tali norme- ad una specifica sottocategoria all'interno dei debiti di massa, ma a tutti i crediti di tale specie (Bassi, La illusione della prededuzione, in Giur. comm., 2011, I, 348), compresi quelli sorti prima del fallimento e/o prima o durante procedure diverse dal fallimento. Solo l'unificazione del trattamento, sotto questo profilo, per tutti i crediti prededucibili non contestati (sorti prima o dopo il fallimento) consentirebbe infatti di evitare, per un verso, l'incongruenza di una disciplina processuale non aderente alla maggior ampiezza delle fattispecie sostanziali dei crediti prededucibili, nelle quali è preso in considerazione non solo il fattore occasionale, ma anche quello funzionale; e, per altro verso, una diversificazione di trattamento che non appare agevolmente giustificabile sotto il profilo della ragionevolezza (Brizzi, Le fattispecie dei crediti prededucibili da finanziamento nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Dir. fall., 2013, I, 863; in giurisprudenza v. Trib. Cassino, 21 ottobre 2014, il quale ha ritenuto che l'art. 111-bis, comma 3 possa essere analogicamente applicato – “con le dovute cautele” – anche alla specifica ipotesi di credito prededucibile sorto ante fallimento, qualora vi sia un solo credito in prededuzione ammesso al passivo che non si stato contestato in sede di verifica dal curatore e non vi siano crediti in prededuzione sorti nel corso della procedura).

In questa seconda direzione si é orientato anche un inedito decreto del Giudice delegato ai fallimenti del Tribunale di Novara (decr. 17 gennaio 2011, Fallimento RAF s.p.a.), il quale, in presenza della richiesta di pagamento fuori riparto del credito vantato dal commissario giudiziale della precedente fase di amministrazione straordinaria, ha ritenuto applicabile al caso di specie l'art. 111-bis, comma 3, l. fall., “in quanto, pur essendo maturato il credito in oggetto anteriormente alla dichiarazione di fallimento, e più precisamente nell'ambito della procedura di A.S., tale procedura é stata poi convertita in fallimento ex artt. 30 e 31 d. lgs. 270/99, sicché i crediti maturati nel corso della procedura di A.S., attesa la ‘conseguenzialità' tra le procedure, rientrano nell'ambito applicativo dell'art. 111-bis l.f.”;

(b) quando i crediti siano illiquidi, inesigibili o contestati;

(c) quando l'attivo disponibile sia presumibilmente insufficiente per il loro pagamento integrale, essendo in tal caso necessario che il pagamento sia effettuato attraverso il procedimento di riparto in modo che ognuno dei creditori possa partecipare alla graduazione e far valere l'interesse alla più vantaggiosa collocazione nell'ordine delle priorità.

In quest'ultima ipotesi, infatti, vige la regola, consacrata dall'ultimo comma dell'art. 111-bis l. fall., secondo cui “la distribuzione deve avvenire secondo i criteri della graduazione e della proporzionalità, conformemente all'ordine assegnato dalla legge”. In caso di attivo “presumibilmente” insufficiente a garantire il pagamento integrale di tutti i crediti prededucibili, gli stessi debbono cioè essere graduati secondo il grado di prelazione stabilito dal codice civile in ordine decrescente, ed in tale ordine di priorità soddisfatti integralmente; i crediti di pari grado, che per l'insufficienza delle somme disponibili non possano essere utilmente collocati per l'intero, debbono essere soddisfatti pro quota in proporzione all'ammontare di ognuno di essi. Con l'importante precisazione – condivisa dalla giurisprudenza - che i crediti prededucibili tuttavia non concorrono paritariamente anche con il credito per compenso del curatore e con le spese anticipate dall'Erario (c.d. campione fallimentare), ma sono invece subordinati a questi ultimi, che devono quindi essere pagati per primi, nei limiti del realizzato. Ciò in quanto il compenso del curatore non è debito di massa, bensì costo necessario ed ineliminabile della procedura, mentre per le spese di giustizia opera l'art. 146 d.p.r. n. 115/2002, che in deroga all'art. 111-bis l. fall. ne impone al giudice delegato il tempestivo recupero non appena vi siano disponibilità liquide sulle somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo (v. in questo senso Trib. Milano, 13 aprile 2013, in questo portale; Trib. Milano, 9 gennaio 2014, ibidem; in dottrina v. Lamanna, Insufficienza dell'attivo fallimentare e pagamento dei crediti prededucibili, ibidem, 10 luglio 2017).

La disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 111-bis l. fall. non presenta, a ben vedere, portata innovativa, perché essa codifica in realtà una soluzione che già prima della riforma godeva di pressoché incontrastato favore presso gli interpreti (v. in questo senso Cass., 3 marzo 2011, n. 5141). Era infatti rilievo diffuso che nella ripartizione dell'attivo, qualora non vi fosse capienza sufficiente al soddisfacimento di tutti i crediti prededucibili, la ripartizione stessa non doveva essere fra di loro effettuata in termini di proporzionalità, ma in base a graduazione che tenesse conto di quei privilegi e del loro grado, secondo gli ordinari criteri che regolano la prelazione (in tale direzione, fra le altre, Cass., 13 luglio 2007, n. 15671). Ciò nel presupposto – valevole anche nell'attuale contesto normativo – che l'art. 111 l. fall., nell'accordare la prededucibilità, in sede di ripartizione dell'attivo e rispetto alla restante massa passiva, alle spese ed ai debiti contratti per l'amministrazione del fallimento e per l'esercizio provvisorio dell'impresa, “non importa nei loro reciproci rapporti alcuna elisione o deroga dei privilegi che assistano i correlativi crediti, o taluni di essi, in dipendenza della loro natura” (Cass., 29 gennaio 1982, n. 569, in Giust. civ. Mass., 1982).

In definitiva, i crediti prededucibili possono essere soddisfatti per l'intero, man mano che sorgono, se vi sono previsioni di attivo sufficiente per coprire il pagamento di “tutti” gli altri oneri aventi natura parimenti prededucibile: attivo sufficiente per soddisfare questi ultimi – si badi bene – non in qualsivoglia misura, ma integralmente, posto che la norma non pone – né in forma espressa né implicitamente – alcuna soglia minima al riguardo. Con l'inevitabile conseguenza che il pagamento immediato di un debito di massa dovrà essere negato anche in presenza di un attivo che soddisfa al 99% le altre pretese creditorie della stessa specie.

Mancando tale condizione, siffatti crediti devono essere invece pagati secondo la comune regola del riparto pro quota e per grado corrispondenti al rispetto delle rispettive cause di prelazione e del rango assegnato dalla legge a ciascun credito. Più precisamente, l'ultimo comma dell'attuale art. 111-bis l. fall., letto in combinato disposto con il comma precedente, dispone che ciò debba aver luogo se l'attivo non è “presumibilmente” sufficiente al pagamento di tutti i crediti prededucibili.

Ciò significa, a nostro avviso, che a fronte di una richiesta di pagamento in prededuzione, il curatore é quindi chiamato ad effettuare un attento giudizio (anche) prognostico, del tutto analogo a quello previsto dall'art. 102 l. fall. ai fini della “previsione di insufficiente realizzo” e del conseguente “arresto” del procedimento di verifica dei crediti. Giudizio che si risolve in un raffronto ragionato, da un lato, fra l'entità dell'attivo già acquisito da parte della curatela e “presumibilmente” acquisibile in futuro, cioè acquisibile con ragionevole probabilità (e non, invece, con “quasi certezza” né con “ragionevole certezza”: in questo senso, invece, rispettivamente, Limitone, Sub art. 111-bis, cit., 1339, e Zanichelli, La nuova disciplina, cit., 325); e, dall'altro lato, l'entità – attuale e “presumibilmente” futura - del passivo fallimentare in prededuzione. Non si lascia quindi apprezzare, sotto questo profilo, la metodologia di valutazione che, per affermare l'insufficienza di fondi pagamento dei crediti prededucibili, consideri dal lato attivo soltanto le disponibilità liquide attuali della procedura, ed al passivo i soli oneri già maturati per il pagamento di professionisti nominati dalla curatela (in questo senso, invece, Trib. Nola, 2 settembre 2009, in Il caso).

Al fine di indicato la curatela dovrà invece redigere, in buona sostanza, un progetto di riparto (Limitone, Sub art. 111-bis, cit., 1342), non necessariamente redatto con le forme previste per il piano di riparto a favore dei creditori concorrenti (Vivaldi, La ripartizione dell'attivo, in Trattato delle procedure concorsuali, dir. da L. Ghia, C. Piccininni, F. Severini, III, Torino, 2010, 281), che consideri:

  • dal lato dell'attivo, non solo le somme liquide di cui attualmente dispone, ma anche quelle di cui “presumibilmente” – cioè in modo ragionevolmente probabile - potrà in futuro disporre per effetto delle operazioni di liquidazione dell'attivo e delle azioni risarcitorie e di recupero che la procedura ha intrapreso o ha in programma di promuovere. Sotto questo profilo il curatore dovrà quindi valutare, ad es., la fondatezza e la concreta fruttuosità di cause già pendenti o da promuovere (quali le azioni revocatorie o le azioni di responsabilità nei confronti degli organi amministrativi e di controllo della fallita), la reale esigibilità e le effettive chance di recupero dei crediti figuranti nella contabilità del fallito, le prospettive di vendita dei beni di pertinenza di quest'ultimo ed i presumibili incassi che ne deriveranno, ricalcando quanto il curatore ha già eventualmente rilevato in sede di redazione del programma di liquidazione di cui all'art. 104-ter l. fall.;
  • dal lato del passivo, gli oneri in prededuzione che la procedura già sostiene e dovrà sostenere, ad es., per l'opera di professionisti dalla stessa nominati ovvero a titolo di indennità per l'occupazione post fallimento di immobili di proprietà di terzi, nonché – sempre a titolo esemplificativo – i crediti in prededuzione ammessi in sede di verifica del passivo che dovranno essere verosimilmente soddisfatti in sede di riparto (valutando altresì, per i crediti prededucibili esclusi, le effettive chance di esito favorevole dei giudizi di opposizione allo stato passivo in ipotesi promossi dai relativi titolari).

Si tratta indubbiamente di un compito valutativo alquanto complesso e delicato, posto che il mancato pagamento immediato dei crediti in prededuzione genera la maturazione di interessi passivi a carico della procedura, ed espone quest'ultima, qualora risulti ingiustificato, agli ulteriori oneri di difesa nei giudizi di reclamo eventualmente instaurati dal creditore contro il provvedimento di diniego al pagamento. Mentre, per converso, l'incauta soddisfazione di tali pretese, sulla base di un erroneo giudizio di capienza dell'attivo, espone il curatore a responsabilità nei confronti degli altri creditori prededucibili rimasti impagati, che non viene meno neanche se il pagamento sia stato autorizzato dal Giudice Delegato o dal comitato dei creditori (Cass., 8 novembre 1979, n. 5761, in Giust. civ., 1980, I, 340; Coppola, Sub art. 111-bis, cit., 1568; Limitone, Sub art. 111-bis, cit., 1339). Ciò lascia prevedere che le curatele, nei fatti, adotteranno sul punto un atteggiamento improntato a tendenziale cautela, “rinviando la soddisfazione dei crediti di massa al riparto finale, anche se i crediti di massa, come si é già osservato, producono interessi” (Bassi, La illusione, cit., 352), ovvero – tutt'al più – procedendo alla liquidazione di semplici acconti (Limitone, Sub art. 111-bis, cit., 1339).

Somme utilizzabili per il pagamento

Resta da trattare la provenienza delle somme utilizzabili per i pagamenti e la determinazione della misura dei crediti da soddisfare.

In merito alla fonte delle somme da utilizzare per il pagamento dei crediti prededucibili, provvede una pluralità di disposizioni, che la dottrina ha cercato di individuare e coordinare, assolventi tutte la funzione di consentire la formazione di un fondo cui attingere per l'estinzione dei crediti in questione. Il riferimento è in particolare:

  • alla norma dell'art. 109, comma 2, l. fall., secondo cui il Tribunale stabilisce con decreto la somma da attribuire, se del caso, al curatore in conto del compenso finale da liquidarsi a tempo debito in applicazione dell'art. 39 l.fall., prelevandola sul prezzo della vendita dei beni immobile insieme alle spese di procedura e di amministrazione;
  • alla norma dell'art. 110, comma 1, l. fall., secondo cui il curatore, nel presentare ogni quattro mesi dalla data del decreto di esecutività dello stato passivo un prospetto delle somme disponibili ed un progetto di distribuzione delle medesime, deve calcolare le somme disponibili, “riservate quelle occorrenti per la procedura”;
  • alla disposizione dell'art. 113, comma 2 l. fall., secondo cui il curatore nelle ripartizioni parziali non può distribuire più dell'80% delle somme disponibili, e deve trattenere le somme ritenute necessarie per le spese future, per soddisfare il compenso al curatore e ogni altro debito prededucibile, eventualmente riducendo la quota da ripartire qualora il 20% delle somme disponibili apparisse insufficiente. Naturalmente, ciò non esclude che, in caso di insufficienza delle somme così prelevate ed accantonate, il curatore possa attingere per i dovuti pagamenti al fondo generale delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni o, nel caso sia incapiente anche il fondo generale, possa ricorrere all'anticipazione delle spese dall'erario sempre che si tratti di spese giudiziali per gli atti richiesti dalla legge, dalla sentenza dichiarativa di fallimento alla chiusura della procedura. Il che rivela la congruità della struttura dell'istituto dei crediti prededucibili all'assolvimento della sua funzione, essendo evidente che proprio la previsione di tali prelevamenti ed accantonamenti consente la possibilità del pagamento tendenzialmente integrale ed immediato di tali crediti.
La misura del soddisfacimento

Altro importante capitolo della disciplina dei crediti prededucibili é costituito dalla misura del loro soddisfacimento, differente da quella prevista dagli artt. 53 ss. l. fall. per i crediti soggetti al concorso.

Il secondo comma dell'art. 111-bis l. fall. stabilisce, infatti, che i crediti prededucibili vanno soddisfatti integralmente, tenuto conto delle rispettive cause di prelazione, con il ricavato della liquidazione del patrimonio mobiliare e immobiliare nella misura del capitale, delle spese e degli interessi maturati e maturandi fino al momento del pagamento, con esclusione di tutte le limitazioni previste invece per i crediti soggetti al concorso.

A differenza di questi ultimi, non sono soggetti, quindi, né alla regola posta dagli artt. 54, comma 3, l. fall. e 2749, 2788 e 2855 c.c., i quali solo per un periodo di tempo limitato estendono ai relativi interessi il diritto di prelazione di cui godono i crediti privilegiati nella ripartizione dell'attivo; né alla regola dell'art. 55 l. fall., che per i crediti chirografari prevede la sospensione del corso degli interessi convenzionali e legali agli effetti del concorso (Pacchi, Sub art. 111-bis, cit., 685; Cass., 19 dicembre 1990, n. 12064, in Fall., 1991, 470; Cass., 6 marzo 1992, n. 2716, in Dir. fall., 1992, II, 677, con riferimento ai crediti sorti nel corso della procedura di amministrazione controllata, dichiarati prededucibili nel successivo fallimento ed equiparati, sotto tale profilo, ai crediti sorti nel corso della procedura fallimentare). Si ritiene in particolare che gli interessi sui crediti prededucibili siano gli interessi corrispettivi di cui all'art. 1282 c.c., e che gli stessi iniziano a decorrere dal momento in cui divengono liquidi ed esigibili (Ruggiero, Sub artt. 111 e 111-bis, cit., 1844-1845), e quindi a far data dal relativo provvedimento di liquidazione, oppure dalla verifica del credito se contestato (Vivaldi, La ripartizione dell'attivo, cit., 280), e maturano fino al momento del pagamento (se sono crediti chirografari) ovvero fino alla vendita dei beni oggetto di garanzia (se si tratta di crediti prededucibili garantiti) (v. in questo senso Coppola, Sub art. 111-bis, cit., 1570-1571).

Le risorse finanziarie per il pagamento: il conflitto fra crediti prededucibili e crediti ipotecari

Le risorse finanziarie necessarie per il soddisfacimento dei crediti prededucibili devono essere attinte dal ricavato della liquidazione del patrimonio mobiliare ed immobiliare, esclusa però – secondo quanto precisa l'art. 111-bis, comma 2, l. fall. - la parte del ricavato della vendita dei beni oggetto di pegno o ipoteca corrispondente all'importo dei crediti garantiti. Ciò in base al principio – già in passato enunciato dalla costante giurisprudenza di legittimità - per cui i crediti prededucibili possono essere soddisfatti con le somme ricavate dalla vendita dei beni pignorati o ipotecati soltanto nella misura in cui siano sorti per sostenere i costi della loro gestione e liquidazione oppure per retribuire le spese generali di amministrazione nei limiti in cui siano state necessarie per incrementarne il valore o massimizzarne il prezzo. Ed è in attuazione di tale principio che, da un lato, l'art. 111-ter l. fall. prevede l'obbligo del curatore di tenere un conto autonomo delle vendite dei singoli beni immobili oggetto di privilegio speciale e di ipoteca e dei singoli beni o gruppi di beni mobili oggetto di pegno o privilegio speciale con analitica indicazione delle entrate e delle uscite di carattere specifico e - quel che qui interessa maggiormente - della quota di quelle di carattere generale imputabili a ciascun bene o gruppo di beni secondo un criterio proporzionale; e che, dall'altro lato, l'art. 109 l.fall., relativo alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita degli immobili, impone tra l'altro al tribunale di stabilire con decreto la somma da attribuire al curatore in conto del compenso finale e di prelevarla sul prezzo di vendita dei beni immobili insieme alle spese di procedura e di amministrazione.

In altri termini, se la lettera dell'art. 111 l. fall. accredita l'opinione della prevalenza dei crediti prededucibili su tutti gli altri crediti, ed in particolare su quelli “ammessi con prelazione” sulle cose vendute, secondo l'ordine assegnato dalla legge, tale opinione si rivela esatta solo con riferimento ai crediti assistiti da privilegio generale. La situazione è, invece, diversa quando nel patrimonio dell'imprenditore vi sono ipoteche o privilegi speciali su beni immobili. “In questo caso” - come già in passato insegnava autorevole dottrina (Ferrara, Borgioli, Il fallimento, Milano, 1995, 591-592) – “è indeclinabile distinguere il ricavato dell'esproprio degli immobili (in ordine al quale opera la specifica prelazione) dal ricavato dell'esproprio dei mobili (in ordine ai quali vale la regola generale predetta)”: i creditori ipotecari prevalgono su tutti i crediti verso la massa (e non soltanto su quelli derivati dalla continuazione dell'esercizio dell'impresa), ad eccezione di quelli per spese di giustizia sostenute per l'esproprio dell'immobile ipotecato che, quindi, vanno prededotte sul ricavato della liquidazione. In questa prospettiva, quindi, “il costo della procedura che va detratto dal ricavato dell'esproprio del bene è unicamente quello che è imputabile al bene stesso, ivi compresa un'aliquota delle spese generali. I creditori ipotecari o con privilegi speciali non corrono dunque il rischio di vedere volatilizzata la loro garanzia per i debiti contratti dalla curatela per l'esercizio provvisorio dell'impresa, perché questi debiti non possono apprezzarsi come contratti per la conservazione e l'esproprio del bene” (cosi', ancora, Ferrara, Op. cit., 592-593; adesivamente Bozza, Conflitti tra cause di prelazione, in Contr. e impr., 1996, 697 ss.).

L'art. 111-bis l. fall. conferisce quindi oggi dignità normativa al principio della postergazione, entro certi limiti, dei crediti prededucibili rispetto ai crediti assistiti da pegno e ipoteca, che la costante giurisprudenza di legittimità aveva – come detto – più volte enunciato già prima della riforma, nonostante le critiche di autorevole dottrina, la quale obiettava che l'indicato orientamento della Suprema Corte non trovasse sufficienti appigli nel testo normativo e che mal si conciliasse con il carattere unitario della procedura concorsuale e con la necessità che anche i creditori muniti di garanzia reale assoggettassero l'accertamento e la realizzazione dei relativi crediti alle regole proprie del concorso, partecipando così, al pari degli altri creditori, alla procedura cui le spese in questione ineriscono (cfr. fra gli altri Bonfatti, Procedure concorsuali minori e prededuzione, in Giur. comm., 1986, I, 897 ss.; Bozza, La ripartizione delle spese generali nel fallimento, in Fall., 2000, 626 ss.; conf., in giurisprudenza, Trib. Bergamo, 11 aprile 1995, in Fall., 1995, 1155).

Nel vigore della vecchia legge fallimentare era infatti massima ricorrente che “la prededucibilità ex art. 111 comma 1 n. 1 l. fall., delle spese relative alla procedura fallimentare, non incide nella stessa misura sulla totalità dell'attivo, dovendo il suo effetto essere limitato, per i beni oggetto di garanzie reali speciali, ai soli oneri correlati all'amministrazione ed alla liquidazione di detti beni, ovvero attinenti ad attività di amministrazione direttamente rivolte alla conservazione o all'incremento dei beni stessi o comunque destinate a realizzare una specifica utilità per i creditori garantiti” (così Cass., 19 aprile 2001, n. 5769, in Fall., 2001). Guardando il tema dalla diversa prospettiva dei creditori assistiti da pegno o ipoteca, il medesimo principio era generalmente espresso nel senso che, “in sede di ripartizione fallimentare delle somme ricavate dalla vendita di beni oggetto di ipoteca, i crediti ipotecari prevalgono sui crediti prededucibili, salvo per la parte in cui questi si ricolleghino ad attività direttamente e specificamente rivolte ad incrementare, o ad amministrare, o a liquidare i beni ipotecati o rechino, comunque, ai titolari specifiche utilità e salvo il limite di un'aliquota delle spese generali, che deve, in ogni caso, gravare sui beni assoggettati a garanzia reale” (Cass., 28 giugno 2002, n. 9490, in Fall., 2003; analogamente, fra le tante, Cass., 2 febbraio 2006, n. 2329; per la giurisprudenza di merito v. da ultimo Trib. Monza, 11 gennaio 2013, in Il caso, e Trib. Milano, 1 aprile 2017, ibidem).

Secondo la Suprema Corte nella soluzione del problema bisognava infatti darsi conto di una duplice esigenza: “quella di assicurare, da una parte, il pagamento delle spese incontrate nella procedura fallimentare, e dall'altro, il soddisfacimento dei creditori muniti di garanzia speciale, contenendo in limiti minimi il danno che essi possano risentire per essere stati coinvolti nel procedimento di esecuzione concorsuale senza che essi abbiano, per siffatto procedimento, un particolare interesse, in quanto la garanzia di cui fruiscono avrebbe assicurato il soddisfacimento delle loro ragioni nella più semplice e meno dispendiosa forma dell'esecuzione singolare. Il punto di equilibrio fra queste due esigenze (...) può essere rinvenuto soltanto ove si interpreti l'art. 111 l. fall. nel senso che la prededuzione delle spese relative alla procedura fallimentare incide sul bene gravato da garanzie reali speciali nei limiti in cui esse si riferiscono all'esecuzione relativa a questo bene, configurando questi limiti nelle spese specificamente sostenute per tale esecuzione ed in una aliquota delle spese generali da calcolarsi, in relazione alle circostanze concrete, in misura corrispondente l'interesse e l'utilità, ovviamente anche se solo potenziali, cioè sperata, ma non concretamente realizzata dal creditore garantito” (così Cass., 25 ottobre 1971, n. 3015, in Dir. fall., 1972; nello stesso senso Cass., 20 giugno 1994, n. 5913, in Fall., 1995, e Cass., 2 febbraio 2006, n. 2329). Quanto sopra con la duplice precisazione che:

  • ove non sia possibile una esatta valutazione dell'incidenza delle spese generali su quelle specifiche che sarebbero state necessarie per la liquidazione del bene soggetto a garanzia, deve adottarsi il criterio della proporzionalità tra il ricavato delle due liquidazioni (del bene vincolato e degli altri beni compresi nell'attivo fallimentare);
  • il ricorso al criterio proporzionale è però subordinato alla acclarata certezza, da parte del curatore, dell'utilità delle spese generali per il creditore garantito (v. in questo senso, con riferimento al sistema ante riforma, Cass., 12 maggio 2010, n. 11500; per la giurisprudenza di merito v. Trib. Piacenza, 11 febbraio 2015, in Il caso).

Da queste regole, che oggi trovano esplicita conferma normativa, e tenendo conto della elaborazione giurisprudenziale in materia, che pertanto conserva tuttora validità, consegue quindi che:

(a) i creditori pignoratizi ed ipotecari hanno precedenza assoluta sul ricavato della vendita dei beni oggetto della garanzia reale, in ossequio al principio della c.d. autonomia dei riparti cui ha mostrato di aderire il legislatore della riforma;

(b) dal ricavato della vendita del bene gravato da garanzia reale devono essere decurtate esclusivamente le seguenti voci:

i) le spese prededucibili strettamente imputabili alla conservazione ed alla liquidazione del bene vincolato: si tratta in particolare delle spese di amministrazione (ad es. i premi di assicurazione contro l'incendio e i danni a terzi da rovina di edificio; le spese per interventi di riparazione o di miglioramento del bene funzionali a conseguire una più fruttuosa liquidazione dello stesso) e delle spese relative alla liquidazione del bene (ad es., spese di stima, oneri pubblicitari per la vendita, ecc.);

ii) una quota parte del compenso del curatore (e del commissario giudiziale dell'eventuale concordato preventivo che ha preceduto il fallimento), ottenuta ponendo a confronto l'attività da questi svolta nell'interesse generale della massa e quella specificamente esercitata nell'interesse del creditore garantito [Cass., 6 giugno 1997, n. 5104, in Fall., 1998; in argomento v. anche Trib. Monza, 11 gennaio 2013, cit., il quale ha invece sostenuto che, “al fine di un corretto bilanciamento degli interessi del creditore assistito da ipoteca e degli interessi della massa dei creditori”, sia “equo porre a carico della procedura esecutiva, a titolo di compensi del curatore, importi che non siano eccessivamente superiori rispetto a quelli che il creditore avrebbe dovuto sopportare nella procedura esecutiva individuale per le attività di liquidazione ed amministrazione del bene (compensi al custode; compensi al delegato per l'attività di predisposizione del piano di riparto)”];

iii) una quota parte delle spese generali. Si allude in particolare - come ha esemplificato un giudice di merito – “a tutti i costi necessari per la progressione della procedura, sino alla sua definizione, quali ad esempio quelle relative alla formazione dello stato passivo, all'eventuale giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, alla presentazione del bilancio finale e del rendiconto previsti dall'art. 75 l. 270/99, alla distribuzione dell'attivo ed alla chiusura della procedura”; mentre il concorso alle spese dovrà escludersi per “le attività non funzionali anche all'interesse del creditore assistito da garanzia”, quali ad es. “le spese processuali per un giudizio di responsabilità nei confronti dell'amministratore della società o per una causa revocatoria, spese che sono funzionali ad un incremento dell'attivo che difficilmente potrà giovare al creditore ipotecario più dell'omessa decurtazione, dalle spese in discorso, dal ricavato della vendita dell'immobile ipotecato” (così Trib. Milano, 17 gennaio 2008, in causa Interbanca s.p.a. c. Ermolli s.p.a. in amm. straord., inedito).

Tale quota delle spese generali deve essere determinata, secondo un primo orientamento, in misura corrispondente all'accertata utilità – anche potenziale, cioè sperata anche se non effettivamente perseguita – del creditore garantito (Cass., 13 giugno 2006, n. 13672; Cass., 2 febbraio 2006, n. 2329), in questo senso dovendosi intendere l'espressione spese generali “imputabili” a ciascun bene (Della Chà, Marinoni, La ripartizione del ricavato nel fallimento dopo la riforma, in Giur. comm., 2008, I, 656; Vivaldi, La ripartizione dell'attivo, cit., 279-280). Secondo altra impostazione, recentemente fatta propria dal Tribunale di Milano, nell'attuale sistema normativo nessuna disposizione contemplerebbe invece il criterio dell'accertata utilità della spesa per il creditore garantito, avendo il legislatore della riforma prescritto il nuovo criterio della proporzionalità (già adottato in subordine nella prassi e dalla giurisprudenza), in forza del quale il riparto deve essere effettuato, con riferimento alle spese generali, raffrontando le masse attive immobiliare e mobiliare (Trib. Milano, 1 aprile 2017, cit.).

Occorre peraltro considerare che – stando a recente giurisprudenza – il creditore garantito da pegno o ipoteca ha sempre interesse all'esecuzione collettiva, soprattutto nell'ipotesi di incapienza del bene gravato, posto che per la parte incapiente degrada a chirografo, e come tale concorre sul realizzo di altri beni. Con la conseguenza che, nel caso in cui l'attivo sia costituito dal ricavato di un unico bene, tutte le (e non solo una quota delle) spese generali devono essere imputate a quel bene (così Trib. Treviso, 11 giugno 2014, in Unijuris).

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