Sentenza penale che dichiara estinto il reato e che statuisce sugli interessi civili: e nel giudizio civile di danno?

Filippo Rosada
25 Maggio 2018

La sentenza penale che in primo grado ha deciso anche per la condanna generica al risarcimento del danno, riformata in secondo grado con statuizione di non doversi procedere per estinzione del reato e conferma della condanna generica, svolge i suoi effetti nel successivo giudizio civile di danno, con preclusione di una nuova valutazione sull'”an debeatur”?
Massima

Qualora il procedimento penale di primo grado, nel quale le parti civili si sono costituite, si concluda con l'accertamento del reato, con condanna generica al risarcimento dei danni ex art. 578 c.p.p. e il secondo grado sia stato definito con sentenza di non doversi procedere perché il reato si è estinto per amnistia o prescrizione, con conferma della condanna generica, nel successivo giudizio proposto avanti il Giudice civile per la liquidazione del danno non trovano applicazione gli artt. 651 e 652 c.p.p. concernenti i limiti di efficacia del giudicato relativo alla responsabilità penale nei giudizi civili, sia in quanto la pronuncia di non luogo a procedere viene ad escludere lo stesso accertamento dell'illecito penale, sia in quanto le norme predette presuppongono che il Giudice penale non abbia pronunciato sugli interessi civili. Una volta divenuto irrevocabile il capo della sentenza penale relativo all'accertamento di responsabilità per il danno, rimane precluso al Giudice civile, adito successivamente ai fini della liquidazione del "quantum", procedere ad una nuova valutazione nell'"an" della responsabilità civile.

Il caso

Un uomo ricoverato in ospedale per gravi disturbi psichiatrici con tendenze suicidarie, si lancia nel vuoto e muore. L'azione penale innanzi al Tribunale si conclude con l'accertamento del reato in capo al medico e la condanna generica al risarcimento del danno, con la rimessione delle parti civili davanti al giudice civile per la sua quantificazione. In secondo grado la Corte dichiara di non doversi procedere per estinzione del reato, confermando la condanna generica.

Il Tribunale civile, adito dai congiunti per ottenere il risarcimento del danno, accerta l'assenza di adeguate misure volte a prevenire la condotta autolesiva e condanna il medico e la struttura al risarcire i danni ai congiunti.

La Corte d'appello civile, sul presupposto che la sentenza penale di non doversi procedere per estinzione del reato prescritto non può esplicare efficacia di giudicato nel processo civile relativo al risarcimento del danno, riforma la sentenza, ritenendo conformi le misure preventive poste in essere per evitare il rischio di un'azione suicida.

Propongono ricorso per cassazione gli attori in primo grado, osservando come allorquando la sentenza penale nel dichiarare di non doversi procedere si pronunci anche sugli interessi civili domandati dalle costituite parti civili, l'accertamento sull'an debeatur della responsabilità debba essere ritenuto intangibile.

La questione

La questione al vaglio dela Suprema Corte è la seguente: la sentenza penale che in primo grado ha deciso anche per la condanna generica al risarcimento del danno, riformata in secondo grado con statuizione di non doversi procedere per estinzione del reato e conferma della condanna generica, svolge i suoi effetti nel successivo giudizio civile di danno, con preclusione di una nuova valutazione sull'”an debeatur”?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di legittimità osserva come i giudici di secondo grado abbiano messo sullo stesso piano gli effetti di una sentenza penale in cui viene dichiarata l'esistenza di una condizione di non procedibilità dell'azione, con conseguente inefficacia del decisum nel giudizio civile di danno ex art. 651 c.p.p., dalla diversa fattispecie in cui la sentenza, in appello, dichiara di non doversi procedere nei confronti dell'imputato, ma nel contempo pronuncia la condanna generica al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 539 comma 1 c.p.p.

Con ogni evidenza, rilevano i giudici supremi, l'inefficacia extrapenale della sentenza passata in giudicato che dispone la condanna generica, riguarda unicamente l'eventuale decisione sul quantum, ma non certo la sussistenza dell'accertato fatto/reato.

La condanna generica ai sensi dell'art. 539 comma 1 c.p.p., infatti, ha come presupposto l'accertamento della responsabilità dell'autore del reato, ma non comporta alcun vincolo per il giudice civile in ordine alla concreta esistenza del danno. Il giudice, verificata la commissione del reato, compie una valutazione sulla mera potenziale capacità lesiva del fatto dannoso, con un giudizio possibilistico sul nesso causale tra il reato e il danno.

Il giudice civile investito della decisione sul quantum, pertanto, sarà libero di escludere l'esistenza del danno, pur senza poter mettere in discussione la sussistenza del reato.

Il suddetto principio di diritto – rilevano gli ermellini - è stato più volte confermato nel tempo dalla Corte di legittimità, come rappresentato dall'elenco di precedenti riportati in numero di otto, che vanno dalla sentenza n. 329/2001 alla n. 23429/2014.

Contrasta, con la suddetta impostazione un filone giurisprudenziale ben rappresentato dalla decisione della Suprema Corte nella sentenza a Sezioni Unite n. 12243/2009, che ha ritenuto che l'efficacia di giudicato della sentenza penale emessa a seguito del dibattimento sia collegata sempre ad una sentenza di condanna o di assoluzione, concludendo che «alle sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o amnistia non può riconoscersi efficacia extrapenale, cosicché nel giudizio promosso contro l'imputato per ottenere il risarcimento del danno, il giudice civile, pur tenendo conto di tutti gli elementi di prova acquisiti in sede penale, e pur potendo ripercorrere lo stesso iter argomentativo del giudice penale e giungere alle medesime conclusioni, deve tuttavia interamente e autonomamente rivalutare il fatto»

Osservazioni

La sentenza qui commentata, tratta la problematica mai sopita, in tema di efficacia della sentenza di non luogo a procedere pronunciata per estinzione del reato dovuta a prescrizione o amnistia sul successivo procedimento civile di risarcimento del danno.

Due sono gli orientamenti in contrasto tra loro. Il primo trova origine in Cass. civ., 22 giugno 1993 n. 6906, secondo cui la pronuncia di una sentenza di proscioglimento per amnistia o per prescrizione può, ai sensi dell'art. 654 c.p.p., spiegare effetti nel giudizio civile in relazione alla sussistenza dei fatti materiali in concreto accertati dal giudice penale, dipendendo da tali fatti il riconoscimento del diritto fatto valere in sede civile.

Il secondo, di segno diametralmente opposto, inaugurato con Cass. civ., 17 gennaio 1996 n. 342, stabilisce che ai sensi dell'art. 654 c.p.p., la sentenza spiega effetti nel giudizio civile in ordine alla sussistenza dei fatti materiali in concreto accertati dal giudice penale, quando da questi fatti dipenda il riconoscimento del diritto fatto valere in sede civile

Nella sentenza in esame i giudici di legittimità compiono l'interpretazione dei loro precedenti giurisprudenziali, chiarendo come l'inefficacia extrapenale della sentenza, che ha dichiarato l'estinzione per prescrizione o amnistia ma che nel contempo ha anche pronunciato condanna generica al risarcimento del danno, ha riguardo al solo capo della sentenza che abbia eventualmente compiuto anche una quantificazione del danno.

Per poter inquadrare correttamente la problematica, si deve rammentare che nel nostro ordinamento processuale vige il principio c.d. del “doppio binario”, con separazione tra il giudizio penale e quello civile e con piena autonomia del giudicante nell'accertamento della responsabilità civile. Può, pertanto, capitare che nel processo penale si addivenga all'assoluzione dell'imputato ed in sede civile, in cui vige un differente criterio per la determinazione della sussistenza o meno del nesso causale, si accerti la colpa del medesimo soggetto, con condanna al conseguente risarcimento del danno.

Detto principio, viene attenuato dal contenuto degli artt. 651, 652, 653 e 654 c.p.p. che rispettivamente regolamentano: l'efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno; l'efficacia della sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto nel giudizio civile o amministrativo di danno; l'efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno; l'efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare e l'efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi.

Alla luce delle tesi contrastanti, della ratio sottesa al principio del “doppio binario”, e dalla nuova tesi interpretativa dei precedenti giurisprudenziali oggetto della sentenza commentata, sarà forse necessario un nuovo intervento chiarificatore della Corte di legittimità in sessione plenaria.

Guida all'approfondimento

F. AGNINO, I limiti imposti al giudice civile dalla sentenza di assoluzione, Il processocivile.it, fasc., 31 agosto 2016;

M. C. MACRÌ, Cosa giudicata in materia penale - Efficacia delle sentenze di assoluzione nel giudizio amministrativo e nel giudizio civile, Responsabilità Civile e Previdenza, 2011, n. 10, 2069.

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