Per conseguire la pensione di reversibilità non occorre una sentenza definitiva sull’assegno divorzile
28 Maggio 2018
Massima
Per l'accertamento del diritto all'attribuzione di una quota della pensione di reversibilità all'ex coniuge, non è richiesto l'accertamento della spettanza dell'assegno divorzile con una pronuncia passata in giudicato. Non è però sufficiente nemmeno l'ordinanza presidenziale, pronunciata non dal Tribunale bensì dal Presidente, che riconosce in via provvisoria il diritto all'assegno. Il caso
Dinanzi al Tribunale di Bari veniva proposta domanda giudiziale di scioglimento del vincolo coniugale. Con l'ordinanza presidenziale all'ex moglie veniva concesso in via provvisoria un assegno decorrente dall'anno 2008 e il 1 marzo 2010 veniva emessa sentenza parziale di divorzio. Il giudizio proseguiva per le questioni patrimoniali e il marito contraeva nuove nozze (2 settembre 2010); dopo solo nove mesi (22 giugno 2011) interveniva poi il decesso dell'uomo. La prima moglie chiedeva quindi al Tribunale di Bari il riconoscimento del diritto a percepire, in concorso con la seconda, una quota della pensione di reversibilità e del TFR dell'ex coniuge. La domanda era rigettata dal Tribunale, che riteneva insussistente il presupposto della titolarità dell'assegno divorzile, imposto dalla legge per l'attribuzione richiesta. La donna impugnava la sentenza chiedendo altresì la sospensione del gravame, in quanto pendente in appello il giudizio sull'attribuzione dell'assegno divorzile in suo favore, questione ritenuta pregiudiziale ai sensi dell'art. 34 c.p.c.. La Corte territoriale non accoglieva l'istanza di sospensione e rigettava l'impugnazione, affermando che la pensione di reversibilità può essere attribuita solo se il diritto a percepire l'assegno divorzile è stato riconosciuto al coniuge richiedente con sentenza passata in giudicato. Avverso tale pronuncia proponeva ricorso per cassazione la prima moglie e resisteva con controricorso la seconda; nelle more del giudizio di legittimità, peraltro, interveniva la sentenza d'appello, che confermava il diritto della ricorrente a percepire l'assegno di divorzio con decorrenza dal passaggio in giudicato della sentenza non definitiva di divorzio. La questione
Quali sono i requisiti per la concessione della quota parte della pensione di reversibilità all'ex coniuge allorché il decesso dell'altro intervenga quando il giudizio di divorzio è ancora pendente per le sole questioni economiche, essendo intervenuta pronuncia definitiva sul vincolo? Gli artt. 9 e 12-bis l. n. 898/1970 consentono, infatti, all'ex coniuge che non abbia contratto nuovo matrimonio di chiedere una quota della pensione di reversibilità e del TFR spettante al coniuge deceduto solamente se è intervenuto lo scioglimento del vincolo e se il richiedente è titolare di assegno divorzile ai sensi dell'art. 5 l. n. 898/1970. Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione si trova nuovamente ad affrontare una questione in cui assumono rilevanza gli effetti del decesso di una parte nel corso del giudizio. Si tratta di un problema sempre più frequente che, nel caso di specie, si unisce a quello della sussistenza dei presupposti necessari per poter conseguire una quota della pensione di reversibilità e del TFR dell'ex coniuge deceduto. La giurisprudenza, in passato, è ripetutamente intervenuta per chiarire quali fossero i requisiti richiesti dalla legge ai fini della concessione del beneficio, e l'orientamento maggioritario affermava che non era sufficiente il riconoscimento dell'assegno con l'ordinanza emessa dal Presidente del Tribunale ex art. 4, comma 8, l. n. 898/1970, né un accordo raggiunto dalle parti in autonomia se non consacrato in un ricorso congiunto recepito dal Tribunale con la sentenza che scioglie il vincolo (così Cass. civ., sez. I, 22 aprile 2013, n. 9660; Cass. civ., n. 5422/2006; Cass. civ. n. 16560/2005), né l'astratta sussistenza dei requisiti per averne diritto. Nel 2005 è infine intervenuto il legislatore che, con la legge 28 dicembre 2005, n. 263, ha chiarito che ai fini dell'art. 9 l. div. per titolarità dell'assegno ai sensi dell'art. 5 l. n. 898/1970 deve intendersi l'avvenuto riconoscimento dell'assegno medesimo «da parte del Tribunale». Attualmente, quindi, è pacifico che per poter conseguire sia la pensione di reversibilità dell'ex coniuge deceduto (o una sua quota in caso di concorrenza con altro coniuge) ai sensi dell'art. 9 l. n. 898/1970, sia una quota del TFR ai sensi del successivo art. 12-bis, occorrono due distinti requisiti: l'intervenuto scioglimento del vincolo, atteso che la norma fa espressamente riferimento al coniuge «rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio» e l'attribuzione di un assegno divorzile con pronuncia (sentenza, o decreto a seguito di richiesta di modifica ex art. 9 l. div.) emessa dal Tribunale (Cass. civ., sez. VI, 23 ottobre 2017, n. 25053; Cass. civ.,sez. I, 22 aprile 2013, n. 9660; Cass. civ.,sez. I, 9 giugno 2010, n. 13899). Si segnala, in merito, l'unica pronuncia che ha affermato che «ad integrare la fattispecie legale (…) può concorrere, in alternativa alla titolarità dell'assegno divorzile, il possesso dei requisiti per averne diritto (di cui all'art. 5, comma 6 ss., l. n. 898/1970), che, solo in difetto di accertamento giudiziale negativo circa la spettanza di tale diritto allo stesso coniuge divorziato, può formare oggetto, tuttavia, di accertamento incidenter tantum, senza efficacia di giudicato, nei confronti dell'ente previdenziale e del coniuge superstite dello stesso titolare di pensione» (Cass. civ., sez. lav., 25 marzo 2005, n. 6429), decisione che si pone però in netto contrasto sia con l'indirizzo giurisprudenziale prevalente, sia con la norma interpretativa di cui all'art. 5 l. n. 263/2005. La Suprema Corte, con la decisione in commento, deve esaminare un'ulteriore questione: la Corte territoriale, nel respingere la domanda della prima moglie, ha infatti dato un'interpretazione restrittiva della legge, sostenendo che il diritto all'assegno deve essere sì accertato con sentenza del Tribunale, ma che quest'ultima deve avere efficacia di giudicato. Il Giudice di legittimità afferma categoricamente che le norme che disciplinano la materia si limitano a chiedere che il diritto a percepire l'assegno divorzile sia stato giudizialmente accertato dal Tribunale, ma che nessun dato normativo (neppure in seguito all'interpretazione autentica fornita dalla legge n. 263/2005) consente di affermare che la decisone debba essere coperta dal giudicato. I Giudici di legittimità precisano, inoltre, che le pronunce citate dalla Corte territoriale, che ha ritenuto di fondare il proprio convincimento «su decisioni di legittimità», non affermano il principio espresso nella sentenza impugnata (Cass. civ., sez. I, 11 aprile 2011, n. 8228 relativa a un giudizio interrotto per mancata riassunzione e Cass. civ., sez. I, 1 agosto 2008, n. 21002 che esclude la possibilità di utilizzare convenzioni provate), e che, comunque, un'interpretazione che richieda l'ulteriore requisito del passaggio in giudicato della decisione non sarebbe condivisibile, poiché la legge richiede solo una pronuncia emessa dal Tribunale, senza ulteriori specificazioni. Fatta tale premessa, la Cassazione evidenzia altresì che la Corte d'appello ha errato anche sotto un ulteriore profilo: ha confuso la “titolarità” del diritto all'assegno con il suo riconoscimento giudiziale. Nella sentenza della Corte d'appello di Bari si afferma, infatti, che la titolarità del diritto all'assegno è sorta in virtù del provvedimento con il quale il diritto stesso è stato attribuito alla ex moglie, sia pure con efficacia anticipata al momento del passaggio in giudicato della sentenza sullo status. Tale asserzione, precisa la Suprema Corte, non è giuridicamente corretta, poiché la sentenza del Tribunale che ha riconosciuto l'assegno non ha costituito il diritto ma ha accertato che la donna ne era titolare già al momento del passaggio in giudicato della sentenza parziale di divorzio, quando il marito era in vita. Con la sentenza, infatti, il Tribunale non costituisce il diritto, ma accerta che il soggetto ne è titolare, indicando il momento esatto in cui il medesimo è sorto. La precisazione della Corte è assolutamente condivisibile: una cosa è infatti la titolarità del diritto, altra cosa è il suo accertamento in via giudiziale, che può intervenire in un momento successivo a quello in cui si sono determinate le condizioni necessarie per far sorgere il diritto medesimo. Con riferimento all'ulteriore motivo di ricorso (la necessità di sospendere il giudizio sulla richiesta di erogazione della pensione, in attesa della decisione relativa al diritto all'assegno) la Corte, pur dichiarando che l'argomento appare “significativo”, che il precedente richiamato dalla Corte d'appello è assai risalente nel tempo (Cass., sent., n. 6045/1981) e che meriterebbe di essere riesaminato, non affronta la questione in quanto l'accoglimento del motivo sul giudicato rende inutile l'esame dei rapporti tra le due controversie, lasciandola così aperta. Osservazioni
Con la pronuncia in esame torna nuovamente alla ribalta il problema della durata dei processi di divorzio e degli effetti della pronuncia parziale sul vincolo che, se da un lato consente di conseguire rapidamente la libertà di status, dall'altro crea una serie di incertezze. Il giudice di legittimità ribadisce il principio ormai consolidato che per poter avanzare la pretesa alla percezione di una quota della pensione di reversibilità o del TFR dell'ex coniuge occorrono una sentenza del Tribunale che riconosce il diritto all'assegno, e lo scioglimento del vincolo intervenuto in data antecedente il decesso dell'altro coniuge. Sotto altro profilo, esamina la questione dell'efficacia della sentenza che attribuisce l'assegno, che risulta essere sottoposta al suo esame per la prima volta, affermando che nulla autorizza un'interpretazione restrittiva, che richieda anche il passaggio in giudicato della pronuncia. |