Reati contro il patrimonio: questione sulla costituzionalità dell’esclusione della non punibilità del convivente

31 Maggio 2018

La questione posta dal Giudice rimettente alla Consulta si riferiva all'applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 649 c.p., espressamente invocata dalla difesa dell'imputato, che ne aveva eccepito la illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevede la non punibilità anche per i fatti commessi in danno del convivente more uxorio.
Massima

La questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 649, comma 1, c.p. in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., è manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza nel giudizio a quo, essendo la convivenza tra il presunto autore del reato e la persona offesa già cessata al momento della condotta incriminata.

Il caso

Il 21 aprile 2017 con ordinanza n. 105, il Tribunale ordinario di Matera in composizione monocratica, sollevava con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 649, comma 1, c.p., nella parte in cui non prevede «la non punibilità anche dei fatti criminosi previsti dal titolo XIII del libro II del Codice Penale commessi in danno di un convivente more uxorio».

La questione suddetta nasceva nell'ambito di un procedimento penale a carico di un soggetto imputato del reato previsto e punito dall'art. 646 c.p. con il seguente capo di imputazione: «perché al fine di procurarsi un profitto, avendo il possesso di indumenti, effetti personali e documenti dell'ex convivente […] e del loro figlio […], se ne appropriava rifiutandone la restituzione».

La questione

La questione posta dal giudice rimettente si riferiva all'applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 649 c.p., espressamente invocata dalla difesa dell'imputato, che ne aveva eccepito la illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevede la non punibilità anche per i fatti commessi in danno del convivente more uxorio, considerando che nel caso di specie tale qualifica soggettiva si sarebbe configurata in capo alla «persona offesa dal reato costituitasi parte civile, avuto riguardo all'accertata sua intercorsa relazione personale di convivenza di fatto con l'imputato […] e dalla cui unione è nato il loro figlio minore».

Il Tribunale ordinario di Matera riteneva la questione posta fondata e rilevante sulla base di due elementi: da un lato la ratio originaria della causa di non punibilità in questione e dall'altro la recente modifica normativa introdotta dal d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 6 recante «Modificazioni ed integrazioni normative in materia penale per il necessario coordinamento con la disciplina delle unioni civili, ai sensi dell'art. 1 comma 28 lett. c) legge 20 maggio 2016, n. 76».

Sotto il primo profilo, infatti, il giudice remittente individuava la ratio originaria dell'istituto in oggetto «nell'esigenza di evitare turbamenti nelle relazioni familiari sull'assunto che l'applicazione di una sanzione penale renderebbe irreparabilmente compromessi i rapporti intrafamiliari, così vanificando la riconciliazione del nucleo familiare, inteso e concepito nel rispetto di quanto statuito dall'art. 29 della nostra Carta fondamentale in guisa di “società naturale fondata sul matrimonio”».

Sotto il secondo profilo, il remittente evidenziava che il citato decreto legislativo ha aggiunto nell'art. 649 c.p., all'elenco dei soggetti non punibili con riferimento ai delitti contro il patrimonio di cui al Titolo XIII del Libro II del codice penale posti in essere nei confronti del coniuge non legalmente separato, dell'ascendente, del discendente, dell'affine in linea retta, dell'adottante, dell'adottato e del fratello o della sorella conviventi, anche il riferimento alla parte dell'unione civile fra persone dello stesso sesso (art. 649, comma 1, n. 1-bis, c.p.).

Sottolineava, pertanto, il Tribunale ordinario di Matera che, per quanto agognato punto di approdo nella evoluzione dei costumi e della civiltà giuridica in tema di presa d'atto della esistenza di nuclei familiari ontologicamente diversi dalla classica famiglia fondata sul vincolo matrimoniale con effetti civili, la legge n. 76/2016 riduttivamente regolamenta solo le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Ciò conduce all'irrazionale conseguenza che il d.lgs. n. 6/2017 aggiunga all'art. 649 c.p. il riferimento alla parte dell'unione civile ma non al convivente more uxorio.

Preliminarmente valutando l'ammissibilità della questione di legittimità costituzionale da porre, il remittente esaminava la possibilità di tentare una interpretazione costituzionalmente orientata della norma considerata illegittima. Possibilità che veniva esclusa in ossequio al principio di legalità inteso anche quale tassatività della fattispecie penale. Sicché la possibilità di estendere al convivente more uxorio la causa di non punibilità prevista dall'art. 649 comma 1 c.p., a giudizio del Tribunale di Matera, non può passare attraverso l'estensione analogica della disposizione, pure invocata nel procedimento originario dalla difesa dell'imputato.

Altra questione esaminata preliminarmente dal Tribunale di Matera, ai fini della valutazione di ammissibilità del giudizio di legittimità costituzionale sollevato, riguardava la giurisprudenza costituzionale in tema di qualificazione e posizione del convivente more uxorio. Il giudice remittente osservava, infatti, che pur se in diverse occasioni alquanto risalenti la Corte Costituzionale ha ritenuta non fondata similare questione di legittimità ritenendo la convivenza more uxorio non assimilabile al rapporto di coniugio, citando le sentenze Corte cost. n. 352/2000, Corte cost. n. 8/1996, Corte cost. n. 423/1988 e Corte cost., ord., n. 1122/1988, tuttavia la «valutazione della disposizione codicistica deve, ad ogni buon conto, essere attuata alla stregua dell'attuale realtà sociale, senza alcun dubbio profondamente mutata rispetto a quella esistente ed esaminata dal legislatore storico, nell'ottica di un'esegesi in sintonia ed al passo con i tempi dello stesso concetto costituzionale di famiglia concepita in guisa di un luogo di sviluppo armonico della persona, fondato ed ispirato da uno stretto e stabile rapporto di solidarietà reciproca». In altri termini, il giudice remittente riteneva necessario e realistico che la Corte costituzionale potesse esprimersi sul punto nuovamente, dopo le citate decisioni passate, e dopo che altre innovazioni legislative ed una rinnovata sensibilità sociale e giuridica hanno evidenziato sempre più la analogia delle istanze di protezione espresse da tutte le forme di famiglia oggi esistenti. In particolare, il giudice osservava che l'art. 199 comma 3 lett. a) c.p.p. equipara il coniuge a chi conviva o abbia convissuto con l'imputato sotto il profilo della facoltà di astenersi dal deporre. Ed evidenziava che la ratio a base delle due norme, quella della cui legittimità qui si discute e il citato art. 199 c.p.p., sarebbe identica, cioè la salvaguardia dell'unità familiare con valore preminente rispetto alle esigenze di giustizia della collettività.

Le soluzioni giuridiche

Secondo il giudicante, dunque, la norma in oggetto, non includendo alcun riferimento al convivente more uxorio, viola sia il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. sia il diritto di difesa assicurato dall'art. 24 Cost. perché si precluderebbe «la fruizione, nelle ipotesi di cui alla medesima norma di diritto penale sostanziale, della speciale causa di non punibilità» risultando «irrazionale il disallineamento della sfera soggettiva e di operatività della norma […] non derivando, di converso, dall'accoglimento del sollevato incidente di costituzionalità alcun vulnus alla protezione della istituzione familiare tutelata in via primaria dall'art. 29 della Carta Costituzionale». Il fatto che il substrato sociale tutelato dall'art. 29 Cost. sia irrimediabilmente mutato rispetto al momento della nascita della Carta stessa, sarebbe a parere del remittente, dimostrato dal fatto che la legislazione primaria ha dovuto disciplinare persino l'unione civile di persone del medesimo sesso sicchè non vi è alcuna giustificazione per un trattamento deteriore alla figura del convivente more uxorio di sesso diverso.

Sul piano fattuale, poi, la vicenda concreta rivestirebbe tutte le caratteristiche necessarie a renderla degna di questa tutela, a giudizio del TO di Matera, visto che l'unione dell'imputato con la persona offesa aveva certamente e pacificamente avuto quelle caratteristiche di stabilità e durevolezza che ne giustificano, in altri settori normativi, l'equiparazione al matrimonio.

La posizione assunta dall'avvocatura dello Stato nel giudizio incidentale di costituzionalità, invece, evidenziava l'infondatezza della questione sottolineando come la eventuale differenziazione tra la situazione del coniuge e quella del convivente more uxorio dovesse evidentemente essere considerata questione rimessa alla discrezionalità del legislatore che ben potrebbe continuare a considerare le due situazioni differenti senza con ciò ledere in maniera eclatante il principio di uguaglianza. Spetterebbe insomma al legislatore e solo a lui, pur riconoscendo ormai la vetustà dell'approccio sottostante all'attuale lettera della norma, aggiornare la disciplina dell'istituto in coerenza con la rinnovata sensibilità sociale.

Quanto all'altro profilo lamentato di illegittimità della norma in questione, condivisibilmente, a parere di chi scrive, l'avvocatura dello Stato evidenziava che la censura mossa dal remittente alla norma in questione sotto il profilo dell'art. 24 Cost. appariva, oltre che priva di motivazione, “un mero riflesso della denuncia della norma sospettata sul piano del mancato rispetto del principio di eguaglianza”.

Sicché la questione restava ragionevolmente limitata alla valutazione della eventuale lesione del solo art. 3 Cost. e veniva risolta dalla Corte Costituzionale nel senso della inammissibilità per difetto di rilevanza nel giudizio a quo.

Osservazioni

È del tutto vero che, come osservava l'Avvocatura generale dello Stato, resta nella discrezionalità del legislatore prendere posizione circa l'equiparazione o la differenziazione tra la situazione del coniuge e del convivente more uxorio, per quanto possano certe differenziazioni apparire del tutto anacronistiche rispetto alla nuova e ormai radicata sensibilità sociale in tema di protezione da riconoscere ai nuclei familiari comunque essi siano strutturati, evidenziata anche dalla produzione giurisprudenziale intervenuta dalle citate e risalenti decisioni della corte costituzionale che avevano escluso la illegittimità di una differenziazione.

È tuttavia altrettanto obbligato il passaggio attraverso il riferimento, sottolineato dal giudice remittente, al parametro fornito dallo stesso legislatore, con la novella recata dal d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 6, recante «Modificazioni ed integrazioni normative in materia penale per il necessario coordinamento con la disciplina delle unioni civili, ai sensi dell'art. 1, comma 28, lett. c) legge 20 maggio 2016 n. 76» che ha aggiunto, tra i soggetti che beneficiano della causa di non punibilità in esame, la parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso.

Alla luce della posizione presa dal legislatore nella citata novella, appare certamente illogica ed ingiustificabile la omissione della sola figura del convivente more uxorio di sesso diverso, tra le figure che possono beneficiare della causa di non punibilità qui esaminata. Ed è ciò che l'ordinanza della Corte Costituzionale qui in commento lascia intendere, non potendo tuttavia intervenire oltre, alla luce della doverosa considerazione circa l'inammissibilità delle questioni sollevate per difetto di rilevanza nel giudizio a quo: è evidente, sottolinea la Corte, in quanto riferito esplicitamente anche nella stessa ordinanza di rimessione, che il soggetto nei cui confronti di procede nel processo a quo è definito esplicitamente “ex convivente”, e si ragiona della convivenza come pregressa o intercorsa relazione. Ne deriva, osserva la Corte, l'inapplicabilità comunque della disposizione censurata, alla luce della pregressa giurisprudenza della stessa Corte, e dunque l'irrilevanza della questione sollevata ai fini della definizione del giudizio a quo.

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