Sì all'iscrizione ipotecaria a garanzia degli assegni di mantenimento anche senza inadempimento
06 Giugno 2018
Massima
L'applicazione dell'art. 156 c.c., nella parte in cui prevede che la sentenza di separazione costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ai sensi dell'art. 2818 c.c., non richiede la valutazione di un periculum in mora che il legislatore ha effettuato ex ante. L'eventuale comportamento vessatorio del creditore, astrattamente rinvenibile nell'iscrizione dell'ipoteca per un valore eccedente il presumibile calcolo dell'ammontare complessivo del mantenimento da garantire, potrà essere corretto dal giudice a seguito della richiesta del debitore di riduzione dell'ipoteca ai sensi dell'art. 2872 c.c.. Il caso
Caia, separata consensualmente da Tizio da alcuni anni, a seguito della vendita, da parte del medesimo, della nuda proprietà della propria quota del 50% della casa familiare, assegnata alla stessa Caia in sede di separazione consensuale, ha effettuato iscrizione di ipoteca giudiziale in forza del verbale di separazione consensuale omologato. La predetta vendita, effettuata a una società in accomandita semplice partecipata dalla nuova compagna di Tizio e dal padre di lei, era stata sottoposta alla condizione risolutiva della pronuncia di una sentenza definitiva di divorzio tra Tizio e Caia oppure della cessazione, per qualunque causa, del diritto di Caia di percepire da Tizio un assegno per il proprio mantenimento. Tizio ha citato in giudizio Caia davanti al Tribunale di Grosseto chiedendo: (i) che fosse dichiarata l'illegittimità dell'iscrizione dell'ipoteca per mancanza degli asseriti presupposti di legge (assenza di un inadempimento; crescita del proprio reddito e patrimonio; inidoneità della vendita effettuata a diminuire il patrimonio di Tizio in quanto avente ad oggetto la sola nuda proprietà e comunque sottoposta a condizione; idoneità del patrimonio residuo a garantire l'obbligazione di Tizio verso Caia); (ii) che Caia fosse condannata al pagamento in favore di Tizio dell'importo di 2.500.000 euro a titolo di risarcimento del danno personale e all'immagine conseguente alla predetta iscrizione dell'ipoteca. Il Tribunale di Grosseto ha respinto le domande di Tizio: (i) quanto alla richiesta di cancellazione, dichiarando la cessazione della materia del contendere perché nel corso del giudizio Caia aveva prestato il proprio consenso alla cancellazione dell'ipoteca; (ii) quanto alla richiesta di risarcimento del danno per illiceità dell'iscrizione dell'ipoteca, poiché l'iscrizione dell'ipoteca era stata legittimamente richiesta in applicazione dell'art. 156 c.c., che prevede la possibilità di iscrivere l'ipoteca come conseguenza automatica della sentenza di condanna all'adempimento di una obbligazione. La sentenza del Tribunale di Grosseto è stata impugnata da Tizio presso la Corte di Appello di Firenze in commento, che ha rigettato l'impugnazione per le ragioni e con le motivazioni che andiamo ad illustrare. La questione
La Corte di Appello di Firenze, intervenendo nel caso in esame, è stata chiamata a pronunciarsi sull'applicazione dell'art. 156 c.c., nella parte in cui prevede, nel quinto comma, che «la sentenza [di separazione] costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ai sensi dell'art. 2818 c.c.». La norma, applicabile, a seguito di due interventi della Corte costituzionale, anche a favore dei coniugi separati consensualmente (Corte cost., sent., n. 5/1987) e dei loro figli (Corte cost., sent., n. 144/1983) e identica, quanto al suo tenore letterale, a quella di cui al comma 2 dell'art. 8 l. n. 898/1970, non richiede, ai fini dell'iscrizione dell'ipoteca giudiziale, la valutazione di un periculum in mora, bensì prevede, secondo il suo tenore letterale, un diritto esercitabile in via automatica, sulla falsariga di quanto previsto, in via generale, dal predetto art. 2818 c.c., per «ogni sentenza che porta al pagamento di una somma o all'adempimento di altra obbligazione ovvero al risarcimento dei danni da liquidarsi successivamente», la quale «è titolo per iscrivere ipoteca sui beni del debitore». Il tema affrontato dalla sentenza in esame, alla luce del tenore complessivo dell'art. 156 c.c., è quindi quello della possibilità di interpretare la norma in via analogica, in maniera difforme rispetto al dettato letterale della stessa, in modo da richiedere che, per quelle particolari obbligazioni periodiche rappresentate dagli assegni di mantenimento per il coniuge e per i figli, sia necessario, per poter iscrivere l'ipoteca, che sussista il pericolo, attuale o potenziale, dell'inadempimento, da valutarsi da parte del giudice. Ciò in quanto la norma, per altre forme di tutela contro l'inadempimento quali la prestazione di idonea garanzia reale o personale (cfr. comma 4), la disposizione del sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato (cfr. comma 6) o l'ordine ai terzi di versare direttamente all'avente diritto somme di denaro che siano tenuti a corrispondere, anche periodicamente, all'obbligato, prevede la necessità di una espressa disposizione del giudice da effettuarsi, su richiesta dell'avente diritto, «in caso di inadempienza». Il che potrebbe consentire, in una interpretazione sistematica dell'intera norma, di estendere anche all'ipoteca giudiziale la necessità della sussistenza di un pericolo attuale o potenziale di inadempimento. Le soluzioni giuridiche
La sentenza della Corte di Appello di Firenze, nel confermare la decisione del Tribunale di Grosseto, ha scelto di effettuare una applicazione rigorosa del quinto comma dell'art. 156 c.c., il quale, con riferimento alla facoltà, per il creditore di una obbligazione scaturita da una sentenza di separazione (o divorzio), oppure da un verbale di separazione consensuale omologato, di iscrivere ipoteca giudiziale sui beni del debitore ai sensi dell'art. 2818 c.c., non richiede che occorra una valutazione preventiva circa la pericolosità attuale o potenziale dell'inadempimento, né che una simile valutazione sia possibile successivamente all'iscrizione dell'ipoteca. In altre parole, secondo la Corte, la formulazione della norma attribuisce al creditore un diritto a tutelare il proprio credito mediante l'iscrizione di ipoteca giudiziale, il cui esercizio è rimesso alla mera decisione discrezionale del creditore, senza valutazioni ex ante o ex post del rischio attuale o potenziale dell'inadempimento. Ciò in perfetta coerenza con la norma generale, sopra richiamata, di cui all'art. 2818 c.c., secondo cui la sentenza di condanna al pagamento di una somma di denaro o di obbligazione pecuniaria costituisce titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Unico rimedio, secondo la Corte, è la possibilità del debitore di rivolgersi al giudice per ottenere la riduzione dell'ipoteca ai sensi dell'art. 2872 c.c. qualora il creditore abbia iscritto l'ipoteca per un valore eccedente il presumibile calcolo dell'ammontare complessivo del mantenimento da garantire. Come è noto, l'art. 2838 c.c., sulla «somma per cui l'iscrizione è eseguita» prevede che, «se la somma di denaro non è altrimenti determinata negli atti in base ai quali è eseguita l'iscrizione o in atto successivo, essa è determinata dal creditore nella nota per l'iscrizione». Tale norma riguarda, tra gli altri, proprio il caso degli assegni di mantenimento per i figli e per i coniugi, rispetto ai quali non vi è una somma predeterminata, bensì una obbligazione periodica rispetto alla quale, quanto al suo ammontare complessivo, può solo farsi una previsione di massima, secondo quella che appare la sua presumibile durata. Il creditore dell'assegno che voglia iscrivere ipoteca, infatti, deve indicare, all'atto dell'iscrizione, nella nota, l'importo da garantire con l'ipoteca, facendo una valutazione di massima su quello che potrà essere, in ragione della durata degli assegni, l'ammontare complessivo dell'obbligazione. Ciò, ovviamente, espone il debitore ad abusi da parte del creditore, che potrebbe eccedere nell'indicare l'ammontare complessivo dell'obbligazione garantita dall'ipoteca. Per ovviare a ciò, la legge prevede il predetto rimedio di cui all'art. 2872 c.c., che consente al giudice di ridurre, su richiesta del debitore, l'ammontare della somma garantita. Si veda, a questo proposito, il dettato dell'art. 2874 c.c., secondo il quale «le ipoteche giudiziali devono ridursi su domanda degli interessati se i beni compresi nell'iscrizione hanno un valore che eccede la cautela da somministrarsi o se la somma determinata dal creditore nell'iscrizione eccede di un quinto quella che l'autorità giudiziaria dichiara dovuta». Non vi è spazio, quindi, secondo la lettura rigorosa della norma effettuata dalla Corte, per una valutazione della fondatezza dell'utilizzo del rimedio costituito dall'iscrizione dell'ipoteca, poiché tale fondatezza è stata valutata dal legislatore una volta per tutte. Se però l'ipoteca è iscritta per una somma eccessiva, il debitore può chiederne la riduzione. Osservazioni
Secondo la dottrina prevalente, la norma di cui all'art. 156 c.c. è persino pleonastica rispetto all'art. 2818 c.c., in quanto anche in sua assenza non vi sarebbe dubbio circa la possibilità di iscrivere ipoteca giudiziale in forza di una sentenza di separazione o divorzio che preveda assegni di mantenimento o comunque obbligazioni economiche. La norma in esame, costituisce per la dottrina un rafforzamento della tutela, ribadendo con specifico riferimento a tali obbligazioni un rimedio comunque previsto per le obbligazioni in genere. E casomai il problema è stato che il richiamo avrebbe potuto essere più specifico con riferimento agli atti in forza dei quali iscrivere l'ipoteca, tanto è vero che si è reso necessario l'intervento della Corte costituzionale per estendere la tutela alle obbligazioni derivanti da una separazione consensuale; con tanto di due sentenze: una relativa ai coniugi e una relativa ai figli. La giurisprudenza della Corte di cassazione, tuttavia, nell'unico precedente noto (Cass. civ., sez. I, 6 luglio 2004, n. 12309) non è stata di questo avviso, in quanto, in perfetta contraddizione con l'indirizzo sopra riferito, ha affermato il principio secondo cui, nello specifico caso delle obbligazioni economiche derivanti da una sentenza di separazione o divorzio o da un verbale di separazione consensuale, per poter legittimamente iscrivere l'ipoteca giudiziale occorre che vi sia un concreto pericolo che il debitore possa sottrarsi all'adempimento delle sue obbligazioni. La Corte di cassazione arriva alla predetta soluzione sulla base di una lettura sistematica dell'intero art. 156 c.c. e della speculare norma costituita dall'art. 8 della legge sul divorzio, in considerazione del fatto che tali disposizioni prevedono gli altri rimedi contro l'inadempimento, sopra citati, o per l'ipotesi che sussista il pericolo dell'inadempimento (è il caso dell'idonea garanzia reale o personale disposta dal giudice con la sentenza), o per l'ipotesi che l'adempimento si sia effettivamente verificato (è il caso del sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato o dell'ordine ai terzi di versare direttamente all'avente diritto somme di denaro che siano tenuti a corrispondere, anche periodicamente, all'obbligato, ordini entrambi disposti dal giudice in caso di inadempienza). La Corte sostiene, in altre parole, che il rimedio dell'iscrizione dell'ipoteca debba essere analizzato alla luce dei presupposti previsti per gli altri rimedi disciplinati dalla norma, nel senso che se per gli altri rimedi la legge prevede che vi debba essere un pericolo attuale o potenziale di inadempimento, tale pericolo deve costituire anche il presupposto per poter iscrivere legittimamente l'ipoteca. Afferma infatti la Corte che «la valutazione del creditore, ai fini dell'iscrizione ipotecaria, circa la sussistenza di siffatto pericolo resta sindacabile nel merito, onde la relativa mancanza, originaria o sopravvenuta, determina, venendo appunto meno lo scopo per cui la legge consente il vincolo, l'estinzione della garanzia ipotecaria già prestata e, di conseguenza, il sorgere del diritto dell'obbligato ad ottenere dal giudice, dietro accertamento delle condizioni anzidette, l'emanazione del corrispondente ordine di cancellazione ai sensi dell'art. 2884 c.c.». Tale indirizzo della Corte, per quanto meritevole di attenzione nella prospettiva di una diversa formulazione della norma, a giudizio di chi scrive, appare non rispettoso del tenore letterale della norma, e bene ha fatto la Corte di appello di Firenze a discostarsene. Si consideri, peraltro, che la legge sulla negoziazione assistita che consente ai coniugi di definire la separazione e il divorzio con accordi privati effettuati dai rispettivi avvocati (almeno uno per parte), con gli stessi effetti di un provvedimento giudiziale, prevede che «l'accordo che compone la controversia, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale». Ebbene, tale norma, prevista in via generale per tutte le negoziazioni assistite (comprese quindi anche quelle di separazione e di divorzio), non si accompagna ad altri rimedi quali quelli sopra previsti, per l'ovvia ragione che gli stessi richiedono necessariamente un provvedimento del giudice; eppure, per evitare un vuoto di tutela normativa, il legislatore ha ritenuto di dover ribadire, anche con riferimento alla negoziazione assistita, che l'accordo che ne scaturisce costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale. La legge sulla negoziazione assistita è successiva di dieci anni alla sentenza della Cassazione sopra richiamata e quindi non può essere utilizzata per confutare il ragionamento della Corte, che è fallace in sé per le ragioni sopra dette. Tuttavia, alla luce di tale norma, va da sé che a questo punto non vi possano essere dubbi circa il fatto che il rimedio dell'ipoteca giudiziale non richieda, per il suo utilizzo, una valutazione ex ante o ex post del pericolo attuale o potenziale dell'inadempimento, essendo al contrario un rimedio che consente una automatica applicazione. Detto questo, la Cassazione, con un orientamento non seguito da tutti i giudici di merito (in senso adesivo v. Trib. Vicenza 9 febbraio 2010; in senso difforme oltre alla sentenza in commento anche Trib. Roma, 21 marzo 2007) ha sollevato una questione meritevole di attenzione, laddove ha cercato di individuare una applicazione del rimedio in questione che tenga conto della specificità dei provvedimenti di diritto di famiglia. Il problema, infatti, nella fattispecie che ci occupa, è che le obbligazioni derivanti dai provvedimenti di famiglia sono solitamente periodiche e destinate a durare per un numero elevato di anni, anche tutta la vita nel caso dei coniugi e per più di due decenni nel caso di figli piccoli. Vi è quindi una differenza sostanziale tra una obbligazione scaturita da una normale sentenza di condanna, che ove adempiuta risolve alla radice il problema, e le obbligazioni di diritto di famiglia, che in teoria possono anche durare per tutta la vita dell'obbligato. Le norme in esame, per come sono scritte, non consentono una applicazione che tenga conto del pericolo dell'inadempimento e quindi comportano il rischio di una iscrizione di ipoteca perpetua. Tuttavia, sarebbe forse opportuna una riflessione al fine di individuare soluzioni normative idonee a mitigare il peso di un rimedio come quello dell'ipoteca giudiziale sul patrimonio del debitore, in fattispecie come quelle del diritto di famiglia in cui tale peso potrebbe risultare se non perpetuo comunque molto lungo. Va da sé, infatti, che una cosa è la garanzia patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c., secondo cui «Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri», e ben altra cosa è un peso come quello dell'ipoteca che, se perpetuo o comunque protratto per un tempo molto lungo, potrebbe costituire un vincolo eccessivo per i beni del debitore, tale da comprometterne alla radice il diritto di proprietà. La qual cosa non appare, ad una attenta valutazione, rispettosa dei principi fondamentali del nostro diritto privato. |