Riconoscimento di debito fra coniugi in comunione legale dei beni

Nelson Alberto Cimmino
07 Giugno 2018

Il riconoscimento di debito fra coniugi in regime di comunione legale dei beni relativamente alla costruzione/acquisto/ristrutturazione della casa coniugale deve essere trascritto?

Il riconoscimento di debito fra coniugi in regime di comunione legale dei beni relativamente alla costruzione/acquisto/ristrutturazione della casa coniugale deve essere trascritto?

Al quesito deve darsi risposta negativa.

Infatti, con la trascrizione si dà pubblicità a mutamenti giuridici (tassativamente indicati dal legislatore) relativi a beni immobili (art. 2643 c.c.); ciò è confermato dal disposto dell'art. 2645 c.c., in base al quale va trascritto, ai fini di cui all'art. 2644 c.c., ogni atto o provvedimento che produce, in relazione a beni immobili o a diritti immobiliari, taluni degli effetti dei contratti menzionati nell'art. 2643 c.c..

Il riconoscimento del debito, invece, attiene a un rapporto di natura obbligatoria e produce l'effetto indicato dall'art. 1988 c.c.: la ricognizione di debito dispensa colui a favore del quale è stata fatta dall'onere di provare il rapporto fondamentale, la cui esistenza si presume fino a prova contraria.

In altri termini, la ricognizione di debito produce l'inversione dell'onere della prova.

Pertanto, a seguito del riconoscimento, il coniuge a favore del quale esso è stato effettuato si considera creditore nei confronti dell'altro coniuge e non ha più l'onere di dimostrare il proprio credito, come accadrebbe se mancasse il riconoscimento.

L'inversione dell'onere della prova comporta che è invece il coniuge che ha effettuato il riconoscimento a dover dimostrare di non avere (o di non avere più) il debito.

Ad esempio, nel caso di costruzione della casa coniugale edificata durante il matrimonio da entrambi i coniugi sul suolo di proprietà esclusiva di uno solo di essi, il fabbricato appartiene a quest'ultimo in forza del principio di accessione e, pertanto, non entra a far parte della comunione legale (in tal senso Cass., S.U., 27 gennaio 1996, n. 651; Cass. 12 maggio 1999, n. 4716; Cass. 3 aprile 2008, n. 8662 e, da ultimo, Cass., S.U., 16 febbraio 2018, n. 3873).

In siffatta ipotesi, la tutela del coniuge non proprietario del suolo opera non sul piano del diritto reale (nel senso che in mancanza di un titolo o di una norma non può vantare alcun diritto di comproprietà, anche superficiaria, sulla costruzione), ma sul piano obbligatorio, nel senso che a costui compete un diritto di credito relativo alla metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione.

L'altro coniuge, che pretenda di ripetere le somme spese, è onerato della prova d'aver conferito il proprio apporto economico per la realizzazione della costruzione attingendo a risorse patrimoniali personali.

Ebbene, se il coniuge proprietario del suolo e della costruzione operasse il riconoscimento del debito a favore dell'altro coniuge, si avrebbe l'inversione dell'onere della prova per cui il coniuge non proprietario verrebbe dispensato dall'onere di dimostrare il proprio credito e sarebbe invece il coniuge proprietario a dover fornire la prova della inesistenza o del pagamento del debito.

È opportuno precisare che il riconoscimento effettuato da un coniuge in merito al fatto che il denaro utilizzato per l'acquisto della casa coniugale (in regime di comunione legale dei beni) è stato fornito solo dall'altro, non dà a quest'ultimo alcun diritto alla ripetizione del corrispettivo.

La Cassazione (Cass. 9 novembre 2012, n. 19454) ha infatti stabilito che il denaro personale o i proventi dell'attività separata non possono essere restituiti se impiegati nell'acquisto di un bene caduto in comunione legale ai sensi dell'art. 177, comma 1, lett. a), c.c. stante il principio inderogabile di cui all'art. 194, comma 1 c.c., il quale impone che, in sede di divisione, l'attivo e il passivo siano ripartiti in parti eguali, indipendentemente dalla misura della partecipazione di ciascuno dei coniugi agli esborsi necessari per l'acquisto dei beni caduti in comunione.

Allo scioglimento della comunione legale tra i coniugi, ai sensi dell'art. 192, comma 3, c.c., devono invece essere restituite le somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti per il patrimonio comune già costituito.

In altri termini, il diritto alla restituzione sorge solo nel caso in cui i beni già facenti parte della comunione legale e, conseguentemente, del “patrimonio comune” siano oggetto di spese o investimenti con denaro personale di uno dei coniugi finalizzati all'incremento del loro valore in epoca successiva all'acquisto, mediante lavori di ristrutturazione o miglioramenti (Cass. 4 febbraio 2005, n. 2354; Cass. 24 maggio 2005, n. 10896).