L'incidenza delle scelte operate dai coniugi nel corso del matrimonio sul diritto all'assegno divorzile

08 Giugno 2018

Il revirement giurisprudenziale in tema di assegno divorzile, applicabile anche in caso di modificazione delle condizioni di divorzio, non esclude, ai fini del riconoscimento del diritto all'assegno divorzile, la necessità di perequare le condizioni dei coniugi alla luce delle scelte economiche effettuate dagli stessi in costanza di matrimonio.
Massima

Il reciproco apporto dei coniugi al reddito familiare complessivo, le ragioni dell'apporto stesso e la durata del matrimonio sono fattori che rilevano, anche in sede di modificazione delle condizioni di divorzio, non soltanto ai fini delle statuizioni sulla misura dell'assegno divorzile eventualmente dovuto, ma ancor prima in relazione alla decisione in ordine alla debenza di quest'ultimo, in funzione del conseguimento dell'esigenza di perequazione in favore della parte più debole; ciò anche dopo il mutamento interpretativo di cui alla sentenza Cass. n. 11504/2017.

Il caso

In conseguenza del peggioramento delle proprie condizioni economiche, oltre che del mutato orientamento di legittimità di cui alla sentenza di Cass. n. 11504/2017, l'ex marito ha chiesto di modificare le condizioni di divorzio relativamente all'assegno divorzile da lui versato per effetto della sentenza pronunciata nel 2014 su congiunte conclusioni, richiesta cui l'ex moglie si è opposta.

Il Tribunale ha accertato una diminuzione di reddito per entrambi le parti, il possesso di un patrimonio comune da dividere allo stato sostanzialmente improduttivo di reddito e una durata trentennale del matrimonio nel corso del quale la moglie, per dedicarsi alle esigenze familiari e segnatamente alla prole, ha penalizzato le proprie prospettive professionali e, quindi, reddituali.

La pronuncia commentata muove dal presupposto della necessità di applicare l'insegnamento della citata sentenza Cass. n. 11504/2017 anche al procedimento per la modificazione delle condizioni di divorzio qualora, per effetto di sopraggiunti mutamenti fattuali, delle predette condizioni si imponga comunque la modifica.

Il Tribunale ha valorizzato in quest'ottica anche le scelte di vita operate dai coniugi in costanza di matrimonio in funzione del comune benessere familiare, che assurgono nella ricostruzione esegetica del giudice ad antecedente logico - giuridico del dovere di attuazione giudiziale della parità fra gli stessi coniugi la quale, a sua volta, è la premessa per l'individualizzazione del parametro dell'indipendenza economica.

In considerazione dei maggiori sacrifici professionali che nel caso di specie sono stati riconosciuti alla moglie in costanza di matrimonio (compresa la fase della separazione concordata) per il conseguimento degli obiettivi stabiliti di comune accordo tra i coniugi, l'indagine sulla reciproca autosufficienza economica dei divorziandi è stata dunque preceduta da una perequazione necessariamente ripristinatoria della parità di condizioni.

La decisione sul diritto alla corresponsione dell'assegno divorzile è stata a tal fine utilizzata per contemperare gli effetti di una valutazione altrimenti troppo rigida della nozione della rispettiva indipendenza economica.

La questione

Nel divorzio di due coniugi dalla comune elevata professionalità (due notai) che in corso di matrimonio hanno scelto di privilegiare le prospettive di carriera del solo marito, liberandolo maggiormente da impegni familiari attribuiti viceversa alla moglie, le cui potenzialità professionali sono state (e sono tuttora, per l'esistenza di prole ancora minore) così compresse, il giudice del merito ha affrontato fra le altre la questione della sussistenza del diritto all'assegno divorzile per il coniuge debole non solo per la sua più ridotta potenzialità reddituale, comunque certamente sussistente, ma altresì per la sua diminuita redditualità conseguente alle scelte di vita matrimoniale.

La vicenda è venuta all'attenzione del tribunale per effetto della presentazione da parte del marito di una domanda di modificazione delle condizioni di divorzio a causa dell' (incontestato) peggioramento delle sue condizioni economiche ed ha assunto rilievo in conseguenza del fatto che, dopo il divorzio, è intervenuto il mutamento giurisprudenziale di legittimità in ordine ai presupposti per la sussistenza del diritto all'assegno divorzile.

Di tale nuovo orientamento si deve infatti, ad avviso del tribunale, tenere conto nel momento in cui, come nella fattispecie che ci occupa, la modificazione delle condizioni di fatto impone una rivisitazione della precedente statuizione sull'assegno.

Le soluzioni giuridiche

La questione affrontata dal tribunale di Treviso non è che uno dei mille rivoli nei quali si è indirizzato il dibattito apertosi in dottrina e in giurisprudenza dopo il recente novum interpretativo adottato dalla giurisprudenza di legittimità in ordine al significato da attribuire ai criteri dettati dall'art. 5, comma 6, l. 1 dicembre 1970, n. 898 e successive modificazioni.

In particolare, non essendo messa in discussione l'esistenza di una bipartizione fra l'individuazione, all'interno del citato art. 5, dei presupposti per la concessione dell'assegno e quella dei criteri per la sua quantificazione, sono esaminati i primi in un'ottica espansiva rispetto all'insegnamento di cassazione.

I presupposti per il riconoscimento del diritto all'assegno divorzile, tenuti comunque distinti da quelli che presiedono alla sua quantificazione in caso di provvedimento concessorio, sono nell'ordinanza rivisitati dal tribunale di Treviso, che con la sua decisione ha respinto una visione “meccanicistica” di tali presupposti, ancorata cioè in modo rigorosamente oggettivo al criterio dell'autosufficienza (soluzione fatta sostanzialmente propria dal recente orientamento di legittimità), giudicandolo insufficiente a cogliere gli aspetti peculiari dell'istituto matrimoniale, squisitamente solidaristici.

Il giudice di merito ha preferito viceversa aggiungere al predetto parametro oggettivo, così contemperandolo, un secondo criterio, di natura etico/riequilibratrice e con funzione perequativa, consistente nel rilievo assunto sulle posizioni reddituali dei coniugi dagli effetti delle scelte operate di comune accordo nel corso della vita matrimoniale, per poter effettuare un apprezzamento in fatto delle rispettive situazioni reddituali che tenga conto di ambedue i fattori (parametro per lo più ignorato dalla prevalente giurisprudenza di merito, che ha a più riprese ribadito che «il diritto all'assegno di divorzio è eventualmente riconosciuto all'ex coniuge richiedente esclusivamente come persona singola e non già ancora come parte di un rapporto matrimoniale, dal quale scaturiscono anche obblighi di assistenza materiale, in quanto ormai estinto anche sul piano matrimoniale»,Trib. Varese, sent., 17 giugno 2017, n. 602).

La soluzione adottata dal giudice del merito, in altre parole, muove dalla necessità dell'individuazione, per decidere sul diritto all'assegno divorzile, dei reciproci sacrifici economico - professionali effettuati in costanza di matrimonio, valorizza tale esigenza attraverso una perequazione (equitativa e non altrimenti specificata) delle rispettive posizioni reddituali, oltre a doverosamente esaminare sotto il profilo reddituale le capacità economiche di ciascun coniuge, decidendo ai fini del riconoscimento del diritto all'assegno solo tenendo conto, in proporzioni inevitabilmente non specificate perché troppo legate al caso concreto, di entrambi i parametri.

A soluzioni ancora più decise giunge Trib. Udine, sez. I civ., sent., 1 giugno 2017, che, criticando il parametro del raggiungimento dell'indipendenza economica ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile, in quanto non ancorato ad alcun criterio effettivo, ribadisce la centralità del canone del tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio, posto che la «distinzione tra adeguatezza dei mezzi e criteri che attengono alla misura dell'assegno non appare appagante dovendo invece il testo normativo essere letto in maniera congiunta nel senso che l'adeguatezza dei mezzi deve essere valutata insieme ai criteri premessi dal legislatore (...) onde pervenire ad un'equa ponderazione di quello che è lo scioglimento di un precedente legame solidaristico, con effetti ex nunc e non ex tunc (...) come sembrerebbe voler accreditare l'ultimo arresto giurisprudenziale».

Osservazioni

Il Tribunale di Treviso, posto di fronte alla necessità di pronunciare sul diritto del coniuge giudicato “debole” a percepire un assegno divorzile pur essendo nella sostanza economicamente autosufficiente (si tratta di un notaio che, per effetto della necessità di accudire la prole, ha dedicato e necessariamente dedica meno energie e meno tempo alla professione, donde un reddito inferiore a quello del marito, anch'egli notaio) ha posto in essere, pur affermando di condividerne l'impostazione innovativa, un sostanziale aggiramento, in nome di ravvisate esigenze equitative derivanti dalle peculiari caratteristiche etiche dell'istituto del matrimonio, dell'orientamento di legittimità che negli ultimi anni ha affermato la necessità di individuare nella non autosufficienza economica il presupposto essenziale per la sussistenza del diritto all'assegno divorzile.

In tal modo il Tribunale ha finito, peraltro, per vanificare in larga parte gli effetti dell'orientamento di legittimità cui si è affermato contemporaneamente di prestare sostanziale ossequio.

Nel caso di specie, infatti, l'autosufficienza economica del coniuge beneficiario dell'assegno è di fatto tanto palese, per potenzialità come per effettività, quanto subvalente nel quadro valutativo del giudice di merito, la parte più significativa della cui motivazione è infatti dedicata all'inquadramento dei valori solidaristici dell'istituto e alla deduzione, direttamente derivata da questi, ove ingiustamente lesi dal contesto della crisi matrimoniale, dell'esistenza di un diritto alla perequazione delle condizioni economiche dei coniugi.

É ben vero che il tribunale di merito non ha valorizzato quello che maggiormente era stato l'oggetto delle critiche rivolte alla più risalente interpretazione dell'art. 5, comma 6, l. 1 dicembre 1970, n. 898 e successive modificazioni, vale a dire l'importanza centrale data in giurisprudenza al tenore di vita in costanza di matrimonio non come parametro per la quantificazione dell'assegno divorzile, bensì come presupposti, in caso di sopraggiunta sua riduzione, per riconoscere il diritto stesso.

É altrettanto vero però che la scelta esegetica adottata dal tribunale di Treviso nella fattispecie, al netto della sua innegabile valenza etica (cfr., in termini sul punto, Trib. Roma, sez. I civ., sent., n. 11723/2017, che valorizza il principio di “solidarietà postconiugale”) e del fatto che, in sé considerata, essa mantiene le distanze dai rischi di legittimare una funzione “speculativa” del contributo al mantenimento in favore del coniuge divorziato, funzione che il revirement di legittimità ha evidentemente inteso scongiurare, riapre la strada, per il suo peculiare percorso interpretativo, inevitabilmente “aperto”, alla valorizzazione di tutti i criteri di valutazione enunciati dal più volte citato art. 5 anche in chiave di qualificazione come presupposti per il riconoscimento del diritto. Un'impostazione ermeneutica di tal fatta è stata apertamente censurata dalla recente Cass. civ., sez. I, ord., 16 marzo 2018, n. 6663, che ha evidenziato che nella fase del giudizio concernente l'an debeatur il coniuge richiedente l'assegno è tenuto a dimostrare la propria personale condizione di non indipendenza o autosufficienza economica quale “persona singola”, potendosi porre il guardo, anche in chiave comparativa, alle condizioni reddituali dell'altro coniuge soltanto nella successiva ed eventuale fase della quantificazione dell'assegno. Ad opinare diversamente si finirebbe, secondo la Suprema Corte, per invertire l'ordine logico-giuridico, imposto dalla struttura della norma, tra il criterio di attribuzione (che è quello dell'inadeguatezza dei mezzi o della impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive) e i criteri di quantificazione dell'assegno nella stessa norma indicati.

In conclusione, il percorso argomentativo seguito dalla pronuncia commentata finisce per rimettere in gioco a questi fini, potenzialmente, anche il rilievo del tenore di vita, nonostante il fatto che proprio la volontà di affermarne la sostanziale irrilevanza ai fini di decidere se il diritto all'assegno sussista o meno costituiva, ad avviso di chi scrive, il principale obiettivo della nuova giurisprudenza di cassazione in argomento.

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