Figlio maggiorenne supera l'esame di abilitazione professionale: il padre è ancora tenuto al mantenimento?

11 Giugno 2018

Se un figlio, dopo la laurea, consegue l'abilitazione professionale e si iscrive al relativo albo, il genitore è ancora tenuto al suo mantenimento?
Massima

Non compete alcun assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne quando lo stesso abbia terminato gli studi ed iniziato a svolgere la libera professione, dopo aver superato l'esame di abilitazione, con iscrizione allo specifico albo.

Il caso

Un padre chiede ed ottiene la revoca dall'obbligo di versare l'assegno di mantenimento al figlio maggiorenne che aveva terminato gli studi, superato l'esame di abilitazione ed iniziato a svolgere libera professione, con iscrizione allo specifico albo.

La questione

Se un figlio, dopo la laurea, consegue l'abilitazione professionale e si iscrive al relativo albo, il genitore è ancora tenuto al suo mantenimento?

Le soluzioni giuridiche

Come è noto, gli artt. 30 Cost. e 147 c.c. obbligano i genitori a mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli. L'obbligo sussiste anche se i figli sono nati fuori dal matrimonio, ovvero anche in caso di crisi della coppia genitoriale. Il mantenimento economico della prole notoriamente prosegue dopo il raggiungimento della maggiore età come in oggi prevede espressamente l'art. 337-septies c.c..

Deve infatti farsi riferimento all'intervenuta autosufficienza del figlio (o comunque al raggiungimento, da parte dello stesso, di un'età tale da esigere detta autosufficienza). Si tratta di un criterio da valutarsi caso per caso, tenuto conto delle peculiarità di ogni singola fattispecie. Il dovere di mantenere istruire ed educare la prole non può procedere ad libitum senza alcuna limitazione, pur considerando la difficile congiuntura economica del momento storico vigente e le difficoltà dei giovani a reperire un'attività lavorativa che li renda indipendenti dalle famiglie di origine.

Il concetto di autosufficienza economica, seppur vada valutato caso per caso, ha visto ultimamente impegnate dottrina e giurisprudenza nel tentare di definire questo aspetto collegandolo implicitamente a due fattori, uno oggettivo e l'altro soggettivo. In particolare, in ambito di valutazione dell'autosufficienza o autoresponsabilità economica, elemento venuto in auge anche relativamente al fine di individuare l'idoneità dell'ex coniuge a percepire assegno divorzile con la recente sentenza Cass. 10 maggio 2017 n. 11504, si fonda sulla oggettiva assenza di fonti di reddito e sulla soggettiva impossibilità per il soggetto di procurarsi mezzi di sostentamento.

Osservazioni

Sebbene l'obbligazione al mantenimento del figlio da parte del genitore non debba cessare con il raggiungimento della maggiore età di quest'ultimo, la recente giurisprudenza di merito e legittimità ha sancito che prevarrebbe il dato oggettivo, salvo comprovati problemi di salute del figlio maggiorenne. Il figlio che ha superato i 34 anni, età anagrafica che per convenzione si è assunta come tale da esprimere il momento in cui il giovane sarebbe comunque da considerarsi autonomo ed emancipato economicamente, che è sano e che abbia o meno completato un ciclo di studi, va considerato non più titolare di alcuna forma di mantenimento da parte del genitore, a maggior ragione se ha trovato una qualche occupazione lavorativa. A prescindere dalla condizione di essere privo di mezzi e di non riuscire a reperirli, il figlio maggiorenne ultra trentaquattrenne quindi, non può pretendere il mantenimento ad libitum da parte dei genitori. Diverso il concetto di autoresponsabilità economica dell'ex coniuge che non abbia mezzi di sostentamento, a prescindere dal precedente tenore di vita mantenuto in costanza di matrimonio, e non possa contare su propri beni o sul reperimento di attività lavorativa per raggiunti limiti di età o per particolari condizioni psico fisiche. Questi può invece trovare titolo a percepire contributo economico, perché oggettivamente più “fragile”. É possibile dunque affermare che per un concetto di “giustizia sostanziale” dottrina e giurisprudenza trovino più “accettabile” che l'ex coniuge che abbia dedicato molta parte della propria esistenza al rapporto matrimoniale ormai finito e che oggettivamente non abbia mezzi di sostentamento abbia la titolarità a percepire il contributo economico dato dall'assegno divorzile, per una sorta di “ristoro” sebbene in via equitativa e non per equivalente. Il figlio adulto e maggiorenne, con età anagrafica ben superiore alla maggiore età (34 anni) viene invece considerato come autonomo a prescindere, e quindi tenuto al proprio mantenimento senza null'altro a che pretendere dai propri genitori. Una cosa quindi è il concetto di autosufficienza economica o autoresponsabilità per l'ex coniuge più debole economicamente e un'altra è quello nei confronti del figlio maggiorenne ultratrentaquattrenne che non è ammissibile faccia ancora conto sul mantenimento genitoriale.

É allo stato quindi possibile individuare più filoni alla base delle interpretazioni in materia di mantenimento di figli maggiorenni. Secondo un orientamento più risalente, l'autosufficienza economica del figlio maggiorenne non poteva considerarsi effettiva solo sulla base del raggiungimento del titolo di studio ma doveva essere dimostrata dall'effettiva capacità economica del soggetto e non escludeva che si potesse ritenere che il giovane anche se laureato e lavoratore, conservasse ancora uno stato di bisogno legato a particolari condizioni personali. Per l'esonero dal mantenimento si richiedeva la prova provata che il figlio non solo avesse concluso il corso di studi ma anche che effettivamente svolgesse il lavoro per il quale aveva studiato, con le adeguate entrate economiche oppure, in senso qui più squisitamente punitivo, per l'esonero dall'obbligo del pagamento, si richiedeva la dimostrazione che il figlio volutamente non volesse emanciparsi economicamente.

Secondo invece un orientamento più recente, espresso da un'ordinanza del Tribunale di Milano 29 marzo 2016, il raggiungimento dell'età adulta, sarebbe fondata su dati ottenuti da statistiche ufficiali, nazionali ed europee: lo stato di non occupazione del figlio non può più essere considerato come giustificazione del mantenimento «oltre la soglia dei 34 anni». Oltre questo limite infatti, il mantenimento diventerebbe «un vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani». L'inesistenza di particolari problematiche personali che portino alla necessità di un sostegno economico, anche in assenza di un'attività lavorativa, determinano comunque il cessare dell'obbligo del genitore di mantenere il figlio, dovendo presumersi una capacità lavorativa oggettiva che non vuole o non può concretizzarsi ma che non può giustificare il mantenimento ad libitum dei figli a carico dei genitori. Correttamente il Tribunale di Milano, nella pronuncia annotata, conferma questa visione, volta all'emancipazione dei figli, proprio per evitare forme di parassitismo reiterate, nella specie anche oggettivamente ingiustificate a causa dell'inizio dell'attività professionale del giovane, conclamata dall'iscrizione del giovane all'albo degli avvocati, condizione sine qua non per l'esercizio effettivo della professione.

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