L’ammissione di nuove prove prima della conclusione dell’istruzione dibattimentale
12 Giugno 2018
Può assumersi una prova ex art. 507 c.p.p. prima che sia terminata l'istruzione dibattimentale ?
A mente della disposizione in epigrafe, il giudice, terminata l'acquisizione delle prove, può disporne di nuove ove ciò risulti assolutamente necessario. Tuttavia, la giurisprudenza, in modo pressoché costante, ritiene ammissibile l'assunzione di mezzi di prova ex art. 507 c.p.p. anche prima che sia terminata l'istruzione probatoria (Cass. pen., Sez. III, 9 ottobre 2014,n. 45931, Cass. pen., Sez. V, 11 maggio 2010, n. 26163; Cass. pen., Sez. IV, 8 febbraio 2005,n. 12276). Infatti si è rilevato che la tempistica disegnata dalla norma – terminata l'acquisizione delle prove – non è presidiata da alcuna sanzione, sicché la sua violazione costituisce una mera irregolarità procedimentale. Tale approccio pare coerente con una diffusa lettura estensiva della disposizione in parola. Infatti l'assunzione di ulteriori prove ex art. 507 c.p.p. è stata ritenuta ammissibile anche lì dove difetti radicalmente qualsivoglia attività probatoria (Cass. pen., Sez. I, n. 24490/2013, nonché Cass. pen., Sez. unite, 6 novembre 1992, n. 11227, contra però Cass. pen., Sez. V, n. 15631/2004). Del pari si è affermato che il giudice possa disporre l'assunzione di ulteriori mezzi di prova anche all'esito della camera di consiglio svolta per decidere il processo (Cass. pen., Sez. III, 19 agosto 1993, n. 8528, Poluzzi, nonché Cass. pen., Sez. III, 19 dicembre 2014,n. 37077). Né è di ostacolo alla applicazione del potere di integrazione probatoria de quo la circostanza che trattasi di mezzi di prova da cui le parti «siano decadute - per mancata o irrituale indicazione nella lista di cui all'art. 468 c.p.p. - dovendo intendersi per prove "nuove" ai sensi dell'art. 507 […] tutte quelle precedentemente non disposte, siano esse preesistenti o sopravvenute, conosciute ovvero sconosciute» (Cass. pen., Sez. unite, 6 novembre 1992, n. 11227). E, del resto, la soluzione offerta dalle menzionate sentenze pare armonica con la esegesi della norma avallata dalla giurisprudenza costituzionale(cfr. Corte cost., 24 marzo 1993, n. 111), secondo cui l'art. 507 c.p.p. manifesta nel nostro ordinamento «l'inesistenza di un potere dispositivo delle parti in materia di prova», conferendo al Giudice «il potere-dovere d'integrazione, anche d'ufficio, delle prove per l'ipotesi in cui la carenza o insufficienza, per qualsiasi ragione, dell'iniziativa delle parti impedisca al dibattimento di assolvere la funzione di assicurare la piena conoscenza da parte del giudice dei fatti oggetto del processo, onde consentirgli di pervenire ad una giusta decisione» (ibidem). Non ci si può tuttavia esimere dal notare che le pronunce richiamate sembrano porsi in aperta antitesi con il disposto dell'art. 124 c.p.p., secondo cui nel nostro ordinamento anche le norme sprovviste di sanzione debbano essere osservate; anzi le pronunce menzionate finiscono di fatto per ricavare dalla mancanza di una sanzione processuale la possibilità di violare la norma.
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