Tommaso Iannaccone
11 Maggio 2020

Con l'espressione “consecuzione di due o più procedure concorsuali” si fa riferimento ad un principio introdotto in giurisprudenza nell'ambito della normativa concorsuale anteriore alle riforme del 2005-2007 e, successivamente, previsto dal legislatore mediante l'introduzione nel 2012 del secondo comma dell'art. 69-bis l. fall.

Inquadramento

Avvertenza – Bussola in aggiornamento  

Con l'espressione “consecuzione di due o più procedure concorsuali” si fa riferimento ad un principio introdotto in giurisprudenza nell'ambito della normativa concorsuale anteriore alle riforme del 2005-2007. In particolare, la giurisprudenza costante della Suprema Corte riteneva che la dichiarazione di fallimento che seguisse all'esperimento infruttuoso del concordato preventivo o dell'amministrazione controllata (ora abrogata) desse luogo ad un fenomeno non di mera successione cronologica, bensì di “consecuzione di procedimenti”, i quali, sebbene formalmente distinti, costituivano, sotto il profilo funzionale, due fasi di un procedimento unitario (la sentenza che probabilmente meglio descrive questo fenomeno è: Cass. 18 luglio 1990 n. 7339).

Dall'impostazione così assunta, veniva fatto discendere (tra l'altro) che:

  • i termini per l'esercizio delle azioni revocatorie fallimentari decorressero dalla data del decreto di ammissione al concordato preventivo, non già dalla dichiarazione di fallimento;
  • la sospensione degli interessi convenzionali e legali prodotta dalla presentazione della domanda di concordato preventivo continuasse ad operare nel successivo fallimento;
  • il divieto di compensazione tra i crediti anteriori alla proposta di concordato ed i debiti successivi permanesse anche nel fallimento dichiarato successivamente;
  • gli atti compiuti dal debitore nel rispetto di quanto stabilito dall'art. 167 l. fall. non potessero essere assoggettati all'azione revocatoria fallimentare.

Il processo riformatore del 2005-2007 aveva messo in seria discussione la “stabilità” del principio della consecutio: al di là della abrogazione della procedura di amministrazione controllata, il legislatore aveva infatti, da un lato, mutato il presupposto oggettivo del concordato preventivo (ora individuato nello “stato di crisi” al posto dlel'insolvenza), e, dall'altro, aveva previsto che, in caso di esito infausto del concordato preventivo, la successiva dichiarazione di fallimento non potesse essere dichiarata senza una previa istanza da parte dei creditori o del pubblico ministero. In aggiunta, quindi, al problema della diversità del presupposto oggettivo del concordato preventivo rispetto al fallimento, si doveva tenere conto del fatto che, nelle ipotesi di esito infausto del concordato preventivo, la dichiarazione di fallimento potesse non essere più contestuale al provvedimento di chiusura della precedente procedura.

L'opinione di chi riteneva che il fenomeno della consecuzione del fallimento al concordato preventivo non fosse più applicabile al nuovo contesto normativo (in questo senso, tra gli altri, A. Nigro e D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese: le procedure concorsuali, Bologna, 2009, 376-377) veniva disattesa, dapprima, dalla Suprema Corte (cfr. Cass. 6 agosto 2010, n. 18437) e, successivamente, anche dal legislatore: con la riforma del 2012, è stato infatti introdotto un secondo comma all'art. 69-bis l. fall., il quale prevede che, nel caso in cui alla domanda di concordato segua la dichiarazione di fallimento, i termini per l'esercizio delle azioni revocatorie decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese.

Le ipotesi di consecuzione nell'attuale normativa

Le ipotesi ormai consolidate di consecuzione del fallimento al concordato preventivo sono oggi individuabili nei seguenti casi:

(i) deposito della domanda prenotativa e mancata ammissione al concordato e successiva dichiarazione di fallimento;

(ii) presentazione della domanda completa, dichiarazione di inammissibilità del concordato e successiva dichiarazione di fallimento;

(iii) revoca del concordato e successiva dichiarazione di fallimento;

(iv) mancata approvazione del concordato e successiva dichiarazione di fallimento;

(v) mancata omologazione del concordato preventivo e successiva dichiarazione di fallimento;

(vi) risoluzione o annullamento del concordato e successiva dichiarazione di fallimento.

A tal proposito, è opportuno svolgere alcune necessarie precisazioni.

(Segue): fallimento dichiarato successivamente ad una domanda di concordato dichiarata inammissibile

Per quanto riguarda i casi in cui il fallimento sia consecutivo alla declaratoria di inammissibilità della domanda (con riserva o “piena”) di concordato [ipotesi sub (i) e sub (ii)] in passato era in realtà pacifico che non si potesse configurare una consecuzione di procedure quando alla domanda di concordato preventivo non fosse seguita l'apertura della procedura, sul presupposto che, prima del decreto ex art. 163 l. fall., non vi sarebbero (si badi: nel vigore delle norme previgenti) “effetti di concorsualità”: in tal caso, il fallimento si sarebbe posto, quindi, come prima ed unica procedura concorsuale.

Nell'attuale quadro normativo, si deve tuttavia considerare l'impostazione di recente assunta dalla Suprema Corte, secondo cui (nell'attuale normativa) “la domanda di concordato produce effetti anche prima dell'eventuale provvedimento di ammissione (cfr., così, la norma della L.Fall., art. 161, comma 7)” (Cass. 16 aprile 2018, n. 9290); per l'effetto, il fenomeno della consecutio si configura oggi anche nel caso in cui alla presentazione della domanda di concordato non abbia poi fatto seguito il decreto di ammissione alla relativa procedura.

Nello stesso senso, si è pronunciato il Tribunale di Reggio Emilia (Trib. Reggio Emilia, 11 marzo 2015, in Fall. 2015, 813, con nota di A. Patti, Quale compensazione nella consecuzione del fallimento a proposta di concordato preventivo inammissibile?), secondo cui “non può sussistere alcun dubbio sul fatto che quando l'imprenditore presenti un ricorso ai sensi dell'articolo 161 sesto comma della legge fallimentare si trovi già in procedura di concordato preventivo”; sin da tale momento, infatti, “il patrimonio dell'imprenditore è soggetto a vigilanza e ad autorizzazione: in altre parole, sin da tale momento si è aperto il concorso tra i creditori”.

In evidenza: Cass. 16 aprile 2018, n. 9290

La Cassazione, nella pronuncia in esame, ha chiarito che il fenomeno della consecuzione delle procedure può oggi venirsi a configurare anche nel caso in cui alla presentazione della domanda di concordato non abbia poi fatto seguito il decreto di ammissione alla relativa procedura.

Tale arresto giurisprudenziale muove dall'assunto che gli effetti caratteristici della procedura concorsuale si producono con la presentazione della domanda di concordato.

In precedenza, e nello stesso senso, si veda la già citata Cass. 6 agosto 2010 , n. 18437.

A ciò si aggiunga un'ulteriore considerazione. L'introduzione dell'art. 69-bis, comma 2,l. fall. si pone come norma di chiusura rispetto al disposto di cui all'art. 161, comma 6, l. fall. (i.e.: concordato con riserva): una volta introdotta la possibilità di una dissociazione tra la domanda e la proposta di concordato preventivo, la tutela degli interessi dei creditori verrebbe, infatti, ad essere “irrimediabilmente elusa ove si negasse il principio della consecuzione a decorrere dalla pubblicazione del ricorso” (G.B. Nardecchia, Sub art. 69-bis, in Codice commentato del fallimento, Milano, 2013, 805; in questo senso, si veda anche Cass. 14 dicembre 2016, n. 25728). L'introduzione del nuovo istituto della domanda di concordato con riserva ha dunque reso indispensabile la previsione di una norma (art. 69-bis, comma 2,l. fall.), la quale, essendo proprio volta a contrastare possibili usi strumentali del pre-concordato, non può che trovare applicazione anche quando la domanda di concordato venga dichiarata inammissibile, ai sensi dell'art. 162 l. fall.

(Segue): eventuale soluzione di continuità tra il termine della procedura concordataria e la declaratoria di fallimento

In tutte le ipotesi sopra individuate di successione del fallimento al concordato preventivo, è possibile che vi sia uno iato temporale (più o meno ampio) tra la chiusura anticipata del procedimento di concordato e la successiva dichiarazione di fallimento.

Ciò, come si è anticipato, in quanto:

  • in primo luogo, il presupposto oggettivo delle due procedure non è più identico;
  • in secondo luogo, è venuta meno l'iniziativa officiosa nella dichiarazione di fallimento.

Si tratta, a ben vedere, di una questione non nuova in tema di consecuzione di procedure concorsuali.

In passato, infatti, si era ritenuto che la consecutio si fondasse sul presupposto dell'esistenza di un rapporto di continuità tra le procedure, di natura non tanto temporale ma piuttosto causale: così, la Suprema Corte (26 giugno 1992, n. 8013) precisava che la consecuzione dei procedimenti non era esclusa dal mero frapporsi di un intervallo di tempo tra due procedure prese in considerazione, purché la seconda fosse espressione della medesima crisi economica della prima procedura che aveva avviato la sequenza.

Tale principio è stato ritenuto dalla giurisprudenza valido anche nell'attuale contesto normativo (in questo senso, si vedano: la già citata Cass. 16 aprile 2018, n. 9290; Cass. 9 settembre 2016, n. 17911; Trib. Forlì 3 novembre 2015, in Fall. 2016).

Il punto, ovviamente, rimane quello di capire in concreto se la dichiarazione di fallimento sia causalmente e direttamente ricollegabile a quella stessa crisi economica che aveva determinato l'apertura (o anche solo il deposito della domanda di) concordato preventivo.

A tal fine, occorre verificare la durata dello iato temporale che si frappone tra la chiusura anticipata del concordato preventivo e la dichiarazione di fallimento: tanto più questo intervallo temporale è ampio, tanto più difficile sarà desumere l'esistenza dell'identità della crisi. Così, in giurisprudenza, è stata negata la sussistenza di una consecuzione di procedure in presenza di una soluzione di continuità tra le due procedure di diversi mesi: precisamente otto, nel caso esaminato da Cass. 19 aprile 2010, n. 9289, e dodici, nel caso esaminato da Trib. Forlì 3 novembre 2015, sopra citata (il quale rileva una possibile ulteriore caratteristica di discontinuità nella mancata coincidenza delle masse passive).

In evidenza: Cass. 16 aprile 2018, n. 9290

La Cassazione, nella pronuncia in esame già in precedenza richiamata (in relazione alla configurabilità della consecutio anche nei casi in cui il concordato preventivo non sia stato ammesso), ha sul punto precisato che:

- è vero che un mero lasso temporale tra il termine di una procedura e l'inizio di quella successiva, di per sé, non esclude il fenomeno della consecuzione delle procedure concorsuali; tuttavia, quest'estensione temporale “non è senza confini o limiti”;

- “Lo <stesso lasso di tempo> trascorso si manifesta elemento che non può essere trascurato, ma che deve invece essere apprezzato in relazione alla dimensione che in concreto è venuto ad assumere: la misura della quale ben può risultare <elemento dimostrativo della variazione dei presupposti> richiesti per predicare effettivamente il fenomeno di unificazione delle procedure concorsuali. E in ogni caso deve trattarsi di lasso temporale di estensione non irragionevole” (sottolineatura aggiunta);

- in quel caso specifico, il Giudice a quo non aveva “tenuto conto della dimensione dello iato temporale corrente, nella fattispecie concreta, tra l'una e l'altra procedura”; iato, in quel caso, “quantificato in <quasi un anno>” (quindi, elevato).

(Segue): la problematica della consecuzione tra fallimento e accordo di ristrutturazione omologato

Le ipotesi di consecuzione sopra contemplate si riferiscono alla sola eventualità che il fallimento sia consecutivo ad un precedente concordato preventivo. In quest'ottica, va ricordato che l'art. 69-bis l. fall. si riferisce espressamente alla sola sequenza rappresentata dal concordato preventivo sfociato in fallimento.

Si è, di conseguenza, sostenuto che tale norma e, più in generale, l'istituto della consecuzione delle procedure non dovrebbe ritenersi applicabile al caso in cui il fallimento sia successivo all'esito infausto di un piano di risanamento attestato di cui all'art. 67, comma 3, lett. d) l. fall. o di un accordo di ristrutturazione di debiti omologato ex art. 182-bis l. fall.: ciò, in quanto tali istituti non sarebbero qualificabili quali “procedure concorsuali” (Bonfatti, La disciplina dell'azione revocatoria fallimentare, in Trattato delle procedure concorsuali, Milano, 2014, 137).

In realtà, tale impostazione è da considerarsi consolidata per il solo piano di risanamento attestato, il quale pacificamente non è una procedura concorsuale. Per quanto attiene invece gli accordi di ristrutturazione dei debiti, è noto il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla (controversa) natura degli stessi.

In estrema sintesi:

  • ad avviso di un primo orientamento, gli accordi di ristrutturazione dei debiti non sarebbero definibili come procedura concorsuale in senso proprio, in quanto questi non prevedono l'applicazione del principio della par condicio, un provvedimento di apertura recante la nomina di un organo deputato alla gestione della procedura, l'universalità degli effetti sia sul piano attivo (tutto il patrimonio del debitore) sia sul piano passivo (la generalità dei creditori); in questo senso, tra gli altri, si veda M. Vitiello, Le soluzioni concordate della crisi di impresa, Milano, 2013, 66 e ss.;
  • secondo un'altra impostazione, diffusasi soprattutto all'indomani del d.l. 83/2012, gli accordi di ristrutturazione sarebbero una vera e propria procedura concorsuale, pienamente riconducibile al modello del concordato preventivo, di cui costituirebbero una variante; si tratterebbe di un iter di risoluzione della crisi “che può essere, in alternativa, quello dell'accordo con la maggioranza vincolante per la minoranza dissenziente [concordato preventivo] o dell'accordo con una maggioranza con soddisfacimento integrale della minoranza non aderente all'accordo [accordi di ristrutturazione]” (L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2012, 356);
  • in via “mediana”, si è sostenuto che “ogni disputa definitoria che non tragga espressa conferma in norme di legge abbia poco senso. La questione è semmai di verificare se con il riferimento alle procedure concorsualiil legislatore avesse effettivamente in mente tutti i requisiti sopra menzionati, che effettivamente negli accordi di ristrutturazione non sono presenti. Va però ora osservato che non solo gli accordi di ristrutturazione sono un procedimento diretto a porre rimedio ad una situazione di crisi o di insolvenza alla pari del concordato preventivo e del fallimento, .. prevedono l'omologazione da parte del giudice e producono effetti anche nei confronti dei creditori estranei, che, con le modifiche introdotte dal d.l. 83/2012 all'art. 182-bis, hanno diritto non più al regolare pagamento dei loro crediti, vale a dire secondo le condizioni negozialmente pattuite, ma all'integrale pagamento, con una dilazione di centoventi giorni dall'omologazione o dalla scadenza, a seconda che essi siano o non siano già scaduti a tale data. E ancora va aggiunto che il meccanismo creato dal legislatore prevede ora l'intercambiabilità delle due procedure, di concordato preventivo e di accordo di ristrutturazione, quanto meno nella fase iniziale, con soggezione del debitore sin dal principio al controllo del giudice” (L. Panzani, Il concordato in bianco, in questo portale).

Sulla questione, si è di recente pronunciata la Suprema Corte con due sentenze che, pur con una motivazione assai stringata per la delicatezza della questione, hanno chiarito che l'accordo di ristrutturazione rientra nei “procedimenti concorsuali”: Cass. 18 gennaio 2018, n. 1182; Cass. 25 gennaio 2018, n. 1896 (per un approfondimento, si rinvia ai seguenti commenti: M. Vitiello, La nuova stagione degli accordi di ristrutturazione: dalla Cassazione la definitiva spinta verso la natura concorsuale? in questo portale; S. Ambrosini, Nota a Cass. 18 gennaio 2018 n. 1182, in www.osservatorio-oci.org; C. Ravina, La natura giuridica degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in questo portale; S. Bonfatti, La natura giuridica degli accordi di ristrutturazione, in Diritto Bancario, gennaio 2018).

In evidenza: Cass. 18 gennaio 2018, n. 1182; Cass. 25 gennaio 2018, n. 1896

La Cassazione, con le due sentenze in esame, si è in particolare pronunciata sulla incerta applicabilità agli accordi di ristrutturazione della disciplina di cui all'art. 111, comma 2, l. fall., a mente del quale “sono considerati crediti prededucibili .. quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge”.

Ebbene, la Cassazione ha affermato l'equiparabilità degli accordi di ristrutturazione al concordato preventivo, sottolineando come la disciplina degli accordi di ristrutturazione “in punto di condizioni di ammissibilità, deposito presso il tribunale competente, pubblicazione al registro delle imprese e necessità di omologazione”, nonché in punto di “meccanismi di protezione temporanea, esonero dalla revocabilità di atti, pagamenti e garanzie posti in essere in sua esecuzione”, presupponga“forme di controllo e pubblicità sulla composizione negoziata, ed effetti protettivi, coerenti con le caratteristiche dei procedimenti concorsuali”.

Applicando i principi affermati dalla Suprema Corte (i.e.: di inclusione tout court degli accordi di ristrutturazione nel novero delle procedure concorsuali), si dovrebbe allora concludere che il principio della consecutio (come normativamente disciplinato dall'art. 69-bis l. fall.) operi anche nel caso in cui:

(a) il fallimento sia consecutivo ad una domanda di concordato modificata poi in una domanda di omologazione di accordo di ristrutturazione dei debiti;

(b) il fallimento sia consecutivo ad un accordo omologato direttamente ex art. 182-bis l. fall.

Peraltro, per quanto riguarda quantomeno la sola ipotesi sub (a), è lecito svolgere un'ulteriore considerazione.

Anche a voler seguire la tesi della natura non concorsuale degli accordi di ristrutturazione, ciò non esclude comunque un'interpretazione analogica dell'art. 69-bis, comma 2, l. fall. all'ipotesi in cui il fallimento sia consecutivo ad una domanda di concordato modificata poi in una domanda di omologazione di accordo di ristrutturazione dei debiti.

Se, infatti, il periodo sospetto legale decorre, in forza della norma appena richiamata, dalla pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese e se questa domanda può essere sostituita da una domanda di omologazione di accordo di ristrutturazione dei debiti, non può negarsi detta retrodatazione anche nel caso in cui il fallimento sia consecutivo ad una domanda di concordato, modificata poi in una domanda di omologazione di accordo di ristrutturazione di debiti. Diversamente, vi sarebbe un'asimmetria ingiustificabile, tenuto conto che l'art. 69-bis, comma 2, l. fall. è, come si è detto, una norma volta soprattutto a contrastare usi strumentali dell'istituto del pre-concordato. Finalità, questa, che sarebbe chiaramente elusa ove si negasse il decorso dell'azione revocatoria nel caso in cui il fallimento fosse dichiarato all'esito infausto di un accordo di ristrutturazione, a propria volta inserito nell'iter avviato con la domanda di pre-concordato.

(Segue): successione di più concordati e fallimento finale

Da ultimo, occorre domandarsi se sia possibile ipotizzare una consecuzione fra vari successivi concordati (infruttuosamente succedutisi) e un fallimento finale.

Si pensi al seguente caso, che si è verificato in giurisprudenza (Trib. Verona 26 luglio 2012, citata, in questo portale, da E. Bertacchini, Consecuzione tra concordato e fallimento e rischio revocatoria):

(i) il debitore presenta una prima domanda di concordato, che viene dichiarata inammissibile, senza che ad essa segua la declaratoria di fallimento;

(ii) il debitore, a questo punto, presenta una nuova domanda, alla quale questa volta segue l'ammissione alla procedura di concordato;

(iii) successivamente, il concordato si chiude anticipatamente e, contestualmente, viene dichiarato il fallimento.

In tale ipotesi, l'appena citato tribunale ha ritenuto applicabile il principio della consecuzione del fallimento al concordato preventivo, con retrodatazione di taluni effetti della sentenza di fallimento alla data della presentazione della prima domanda di concordato: ciò, in quanto il tribunale aveva ritenuto che, in quel caso, il fallimento fosse stato dichiarato all'esito della naturale evoluzione della medesima crisi che aveva portato al deposito della prima domanda di concordato.

In definitiva, occorrerà nel caso specifico verificare, con riguardo a ciascun concordato, se ogni procedimento si ponga o meno in rapporto di continuità con il fallimento finale: il principio della consecutio troverà quindi applicazione a partire dalla prima domanda di concordato nel solo caso in cui il fallimento sia riconducibile alla medesima situazione di crisi/insolvenza che aveva determinato la presentazione della prima domanda di concordato preventivo (in questo senso, in dottrina, cfr. A. Pazzi, L'infinito mondo della consecuzione fra procedure concorsuali, in Fall. 2015).

I principali effetti della consecuzione delle procedure

Precisato l'attuale ambito di applicazione del fenomeno della consecuzione di procedure, occorre soffermarsi ora sui principali effetti.

Si è detto che il legislatore, introducendo l'art. 69-bis, secondo comma, l. fall., ha riconosciuto la retrodatazione del periodo sospetto ai fini della revocatoria a partire dalla pubblicazione della domanda di concordato. Peraltro ed a rigore, si deve considerare che tale norma non è l'unica che ha preso atto di una continuità delle procedure concorsuali consecutive.

Più precisamente:

  • relativamente alla fase di “pre-concordato”, va ricordato che l'art. 67, comma 3, lett. e), l. fall. prevede che “non sono soggetti a revocatoria .. gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all'articolo 161”; secondo l'art. 161, comma 7, l. fall., poi, “il crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore” dopo il deposito del ricorso per l'ammissione al concordato preventivo con riserva “sono prededucibili ai sensi dell'articolo 111”: in sostanza, i crediti sorti da atti legalmente compiuti dopo la presentazione della domanda “con riserva”, se non pagati, sono “prededucibili” nel successivo fallimento; se pagati, sono esenti da revocatoria nel successivo fallimento.

Nel caso in cui, invece, gli atti posti in essere nella fase di “pre-concordato” non siano “legalmente compiuti”, si dovrebbero ritenere non più esenti da revocatoria e, quindi, revocabili: il che, per inciso, obbligherebbe a configurare una diversa decorrenza dei termini per l'esercizio delle azioni revocatorie (i.e.: dalla pubblicazione della domanda di concordato per gli atti ad esso precedenti e dalla dichiarazione di fallimento per gli atti compiuti nel corso del pre-concordato);

  • per quanto riguarda gli atti compiuti dopo l'ammissione al concordato ex art. 163 l. fall., questi vanno ritenuti intangibili se compiuti nell'osservanza dell'art. 167 l. fall.; al riguardo, valga ricordare che i crediti venuti ad esistenza nel corso della procedura di concordato sono prededucibili nel successivo fallimento a norma dell'art. art. 111 l. fall., in quanto sorti in occasione ed in funzione del concordato preventivo.

Al contrario, gli atti compiuti dopo l'ammissione al concordato ex art. 163 l. fall., ma in violazione alla legge o senza l'autorizzazione dal giudice delegato, saranno da ritenersi nel successivo fallimento inefficaci ai sensi dell'art. 167 l. fall (in questo senso, nella pregressa normativa ma con considerazioni tuttora valide, cfr. L. Panzani, Risoluzione e annullamento, in Fall. 1992, 309);

  • per quanto riguarda gli atti posti in essere dal debitore successivamente all'omologazione del concordato, l'art. 67, comma 3, lett. e) l. fall. sancisce l'irrevocabilità dei pagamenti e delle garanzie poste in essere in esecuzione del concordato preventivo omologato; sempre nell'ottica del favor legislativo per le procedure di composizione della crisi alternative al fallimento, l'art. 182-quater l. fall. ha inteso disciplinare la prededuzione dei crediti sorti in esecuzione ed in funzione (tra l'altro) del concordato preventivo (sul tema del rapporto sistematico tra l'art. 111 l. fall. e l'art. 182-quater l. fall., si veda la recente Cass. 10 gennaio 2018, n. 380 ed il commento di G. B. Nardecchia, La prededuzione e la lesione della par condicio, in Fall. 2018).

Diversamente, se nell'arco di tempo che va dall'omologazione del concordato alla pronuncia della risoluzione o dell'annullamento del concordato vengono compiuti dal debitore atti non esecutivi del piano omologato, questi atti non potranno essere considerati “esenti da revocatoria” ex art. 67, comma 3, lett. e) l. fall.; per l'effetto, tali atti sono da ritenersi revocabili e/o inefficaci ex artt. 64-70 l. fall.; in questo senso, si è giustamente osservato che “L'applicazione del principio della consecuzione obbliga a configurare una diversa decorrenza dei termini per l'esercizio delle azioni revocatorie e di inefficacia, e cioè dalla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di concordato preventivo per gli atti ad esso precedenti e dalla dichiarazione di fallimento per gli atti successivi all'omologazione (cui non sia applicabile l'esenzione prevista dall'art. 67 comma 3 lett. e)” (A. Audino, Sub art. 186, in Codice breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, 1323).

Il fenomeno della consecuzione di procedure si estende poi anche ad ipotesi ulteriori rispetto a quelle tradotte in norme positive. Al riguardo, peraltro, occorre svolgere una considerazione preliminare.

Nella normativa precedente alle riforme del 2005-2007, si riteneva che il principio della consecutio non comportasse una automatica e generalizzata retrodatazione di tutti gli effetti propri del fallimento; come si è detto, la giurisprudenza aveva elaborato una complessa (e non sempre univoca) costruzione logica che tendeva, da una parte, a fare decorrere alcuni effetti tipici del fallimento (in particolare, ci si riferisce al regime delle azioni revocatorie) sin dal momento dell'apertura del procedimento che dava l'avvio alla sequenza delle procedure consecutive; dall'altra, ad assicurare che taluni effetti giuridici prodottisi nelle fasi intermedie, utili anche nell'ottica della procedura concorsuale conclusiva, venissero mantenuti nonostante la trasformazione del procedimento che aveva dato loro luogo.

A quest'ultimo proposito, si era in particolare ritenuto che:

(a) la sospensione degli interessi convenzionali e legali prodotta dalla presentazione della domanda di concordato preventivo (art. 169 l. fall.) continuasse ad operare nel successivo fallimento;

(b) il divieto di compensazione tra i crediti anteriori alla proposta di concordato ed i debiti successivi (cfr. sempre art. 169 l. fall.) permanesse anche nel fallimento dichiarato successivamente.

Nell'attuale normativa, l'applicabilità del principio della consecutio alle due ipotesi appena riportate è stata riconosciuta in giurisprudenza, anche (lo si è detto al precedente paragrafo 2) laddove alla domanda di concordato non sia seguita l'ammissione della procedura richiesta ma la dichiarazione di fallimento (in questo senso, si rinvia alle già citate Cass. 6 agosto 2010 n. 18437 e Trib. Reggio Emilia 11 marzo 2015).

Si deve peraltro considerare che l'attuale art. 169 l. fall. richiama anche l'art. 45 l. fall., che disciplina le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi. È utile sul tema segnalare che, nella normativa anteriore al 2005, l'anzidetto art. 45 non era invece richiamato dall'art. 169 l. fall.; per l'effetto, si era ritenuto che tale norma non fosse applicabile, neppure in via analogica, nell'ambito del concordato preventivo. Da tale impostazione derivava che, ad esempio, le alienazioni di immobili sarebbero state opponibili ai creditori concordatari anche se trascritte nel corso della procedura di concordato. Quale ulteriore conseguenza di tale impostazione, la giurisprudenza aveva ritenuto che, qualora al concordato preventivo fosse seguito il fallimento, l'art. 45 l. fall. non avrebbe potuto essere operante a decorrere dall'inizio della procedura concordataria (Cass. 22 settembre 1990, n. 9650). Dal punto di vista pratico, il compimento di tali atti nel corso della procedura concordataria sarebbe stato quindi opponibile anche nel fallimento successivo.

Con il D. Lgs. n. 5/2006, nell'art. 169 l. fall. è stato inserito il richiamo all'art. 45 l. fall. ed è stato quindi espressamente previsto che le formalità dettate dalla legge per rendere opponibili gli atti ai terzi sono prive di effetto rispetto ai creditori se compiute dopo il deposito della domanda di concordato.

Il fatto che tale norma sia ora richiamata dall'art. 169 l. fall. e la conferma legislativa del fenomeno della consecutio implicano che, nelle ipotesi in cui alla domanda di concordato preventivo abbia fatto seguito la dichiarazione di fallimento, l'art. 45 l. fall. è da ritenersi applicabile a far tempo dalla domanda di concordato. In questo senso, si segnala Trib. Rovigo 4 maggio 2016, in Fall. 2016, 1347, con nota di E. Staunovo Polacco, Sulla insostenibilità della consecutio tra il concordato preventivo non ammesso ed il fallimento dichiarato senza soluzione di continuità, in Fall. 2016, 2453.

Assai più delicato il tema della applicabilità della consecutio in relazione al novellato terzo comma dell'art. 168 l. fall.

Tale norma, introdotta come noto dal d.l. 83/2012, prevede che le ipoteche giudiziali, iscritte sui beni del debitore nei novanta giorni che precedono la pubblicazione della domanda di concordato, “sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato”.

Si tratta di una inefficacia automatica, ex lege, che non necessita di una pronuncia giudiziale. Qualora questa intervenga, tale pronuncia avrà carattere meramente dichiarativo. La ratio della disposizione in esame risulta ispirata dall'esigenza di “tutelare più intensamente il debitore che intenda definire la propria posizione debitoria complessiva con lo strumento concordatario” (M. Vitiello, Le soluzioni concordate della crisi di impresa, Milano, 2013, 44). Tale nuovo effetto della pubblicazione della domanda di concordato viene meno in tutte le ipotesi in cui la procedura concordataria si chiude anticipatamente, senza pervenire all'omologa e senza condurre alla dichiarazione di fallimento del debitore, con la conseguenza che “le iscrizioni interessate dalla previsione di legge riprenderanno efficacia con effetto ex tunc” (M. Vitiello, ibidem; F.S. Filiocamo, Sub art. 168, in La legge fallimentare Commentario teorico pratico, Padova, 2014, 805).

Incerta invece la “tenuta” della inefficacia in parola in caso di consecuzione del fallimento al concordato preventivo (A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2014, 383, i quali giustamente osservano che il “silenzio” del legislatore costituisce una grave lacuna, attesi i problemi di coordinamento tra i due plessi normativi).

Sul punto, si registrano due diverse letture interpretative, senza che, allo stato, si riscontri un orientamento prevalente.

Precisamente:

(i) secondo una prima impostazione, allorquando al concordato preventivo faccia seguito la declaratoria di fallimento l'inefficacia in esame verrebbe meno, non già per limiti all'applicabilità del principio della consecuzione delle procedure, ma perché (detta inefficacia) sarebbe destinata ad esaurire la propria funzione nel contesto del solo concordato preventivo (P. Pototschnig, Consecuzione tra procedure concorsuali e nuovi scenari applicativi nella stagione riformatrice, in Fall. 2016, 785; nello stesso senso, A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2014, 383, i quali rilevano peraltro che nel fallimento esiste una specifica disciplina della revoca delle ipoteche giudiziali, con la conseguenza che “non si vede per quale ragione la stessa non dovrebbe applicarsi per il mero fatto che il debitore abbia preventivamente presentato la domanda di concordato preventivo”);

(ii) secondo un'altra impostazione, invece, allorquando al concordato preventivo faccia seguito la declaratoria di fallimento, l'inefficacia in esame si estenderebbe, in forza del principio della consecuzione del fallimento al concordato preventivo, anche ai creditori successivi, ma anteriori alla sentenza dichiarativa di fallimento (F.S. Filiocamo, Sub art. 168, in La legge fallimentare Commentario teorico pratico, Padova, 2014, 805). In questo senso, in giurisprudenza, si veda Trib. Forlì 22 ottobre 2014, in www.ilcaso.it.

Da ultimo, pare utile segnalare che sembra ormai pacifica l'inapplicabilità del principio della consecuzione tra il concordato preventivo e il fallimento con riferimento ai creditori personali dei soci illimitatamente responsabili di società di persone (cfr. Cass. 13 aprile 2016, n. 7324, in Fall. 2016, 1208, con nota di F. Cannazza, Consecuzione di procedimenti, revocatoria fallimentare e fallimento dei soci illimitatamente responsabili); tale assunto si fonda sul presupposto che ai soci illimitatamente responsabili non può essere esteso il concordato preventivo delle società, con la conseguenza che, a tal riguardo, non rileva la data di apertura del concordato preventivo, ma quella della dichiarazione di fallimento dei soci medesimi.

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